giovedì 21 febbraio 2008

24 Febbraio 2008 - III DOMENICA DI QUARESIMA


Cristo, acqua per la nostra sete di assoluto
É facile, leggendo lentamente questa pagina di Giovanni, socchiudere gli occhi ed immaginare la sassosa terra di Palestina: il sole cocente, l'aria che evapora, il caldo che si appiccica alla pelle. Mezzogiorno in Palestina equivale ad una frustata di aria calda e polverosa nei polmoni. Qui, al pozzo di Sicar, nel brullo deserto di Giuda, Dio siede, stanco. Stanco di cercarci, stanco di elemosinare attenzione dalle sue creature.
É lo strano destino di un Dio che per amore accetta la nostra indifferenza. Nel deserto cocente anche Dio prova sete. Sete della nostra fede, sete di vedere colmato il suo infinito desiderio di amare ed essere amato.
La Samaritana viene al pozzo ad attingere acqua. Un' ora inconsueta per far acqua, che rivela il suo desiderio di non incontrare nessuno. Non incontrare soprattutto gli occhi e i giudizi degli abitanti di quel minuscolo paesino che conosce e disapprova la sua frammentata vita sentimentale.
E lì, in questo affresco che Giovanni sa descrivere con grazia e pudore, avviene l'incontro. Un incontro di sete e di acqua, di attenzioni e di scoperte, d'interrogativi e di frescura che riempie il cuore. L'incontro della sete di Dio che brama di dissetarsi della fede della donna, e dell'acqua della presenza di Dio che, sola, placherà la sete di felicità di questa donna inquieta.
Gesù inizia, prende l'iniziativa, ci interpella: "Dammi da bere".
Una richiesta che rimanda ad un'altra richiesta – tragica – che Gesù farà dall'alto del legno a cui è inchiodato: "Ho sete". Sì: Dio ha sete di noi, della nostra fede, della nostra attenzione. Ci chiama, ci parla di senso e di pienezza, risveglia la nostra ricerca. La Samaritana non ci sta, non si scopre, gira intorno all'essenziale. "Chi è mai - pensa - questo sconosciuto che mi parla? Che vuole?".
Lei come noi, sta sulle difensive, come se Dio fosse un avversario, un concorrente.
Il dialogo continua, e rivela alla donna il volto di un Dio sempre meno duro, un volto sempre più attento e rispettoso. Gesù la sa condurre sapientemente, passo dopo passo, dentro a se stessa. La porta, con sbalorditiva delicatezza, a mettersi in discussione, a riconoscere il suo limite, a superarlo.

La donna ora accetta una domanda personale, che coinvolge la sua affettività e rivela la sua allergia all'incontro con i compaesani: è una donna fragile, giudicata, che incontra solo sguardi e commenti offensivi e che ora – invece – incontra uno sguardo buono sul serio, che non giudica e ama.
Anche lei ha sete, una sete tormentata che ha creduto placare offrendo amore disperatamente, usata nei suoi affetti e nel suo corpo, una sete che nessun abbraccio ha colmato, ma solo temporaneamente zittito. Quella sete, sentendo parlare quel maschio straniero che la tratta come una persona, che la guarda con amore rispettoso e virile, ora esplode nel suo cuore. Prima timidamente e con durezza (troppe cicatrici nel suo cuore), poi come un urlo tanto a lungo compresso e negato.
Imparassimo – noi educatori, genitori, insegnanti – a saper ascoltare chi ci parla, a forzare con delicatezza e rispetto il suo cammino, a fidarci della capacità di cambiare che abita il cuore di ogni uomo come fa Gesù con questa donna.
Gesù rivela un'inconsueta capacità di dialogo, di relazione, nel rispetto e nell'amore. La Samaritana passa dalla discussione accademica sulla "religione" ("E' qui che dobbiamo adorare?") alla percezione che davanti a questo sconosciuto può aprirsi, di lui può fidarsi, perché parla di Dio come mai nessuno le ha parlato.
Tace, la donna. Mai nessuno le aveva detto di essere un tempio, di essere amata. Mai nessuno l'aveva amata. Il mondo si era diviso in chi l'aveva usata e in chi l'aveva condannata. Nessuno, mai, le aveva detto di essere amata senza condizioni. Beve, ora, la samaritana, beve come se mai avesse assaporato il gusto dell'acqua, come sei mai avesse assaggiato l'acqua fresca di sorgente. Beve e sente in lei aprirsi la sorgente, spezzare la roccia del dolore, come quella che Mosè diede al popolo nel deserto.
Corre. E crede. La peccatrice diventa discepola, la donnaccia, un'opera d'arte. Il suo limite diventa il trono della gloria di Dio, la sua vita disordinata l'epifania del volto di Dio. Beve, ora, e lei stessa diventa sorgente.
Lascia la brocca - che importa ormai? - e corre dai suoi sospettosi vicini. Non ha più paura, non si vergogna, non si difende. Ha capito, ha trovato l'acqua viva, ne parla, contagia col suo stupore chi l'ascolta.
Il suo limite diventa addirittura mezzo di evangelizzazione: le persone che prima guardava con sospetto diventano persone da contagiare: lei ha incontrato qualcuno che le ha letto la vita, che sia lui il Messia tanto atteso? E in questo crescendo di grazia, l'acqua corre, come un rivolo, prima, poi sempre più energica, come un torrente in piena.
É l'acqua della presenza di Dio che da quel giorno ha sostituito il limaccioso pozzo di Giacobbe. L'acqua, la stessa acqua nella quale siamo stati immersi, il giorno del nostro Battesimo. L'acqua della Presenza di Dio, la sola che può dissetarci.
Pagina semplice, fresca, luminosa, che non necessita di troppi commenti.
A te che leggi, fratello, sorella, il Signore chiede di dargli da bere, di chiacchierare, di passare dalle belle definizioni astratte su Dio al coinvolgimento della tua e della nostra storia, anche della più oscura. Il Dio che disseta, il Dio che stanco ci attende al pozzo delle nostre giornate, il Dio che non ci giudica quando tutti puntano l'indice, il Dio che riempie e cambia la vita della Samaritana, il Dio che cambia il volto di quel minuscolo paese che spalancherà le proprie case al fiume di grazia, ti attende.
Un Dio da incontrare, alla fine del cammino del deserto, da ammirare stupiti sul Tabor, che ci cerca, stanco, per dissetarci, il Dio bellissimo di Gesù.
No, nessuna sete potrà mai essere spenta se non dall'incontenibile sguardo di Dio.

In pratica….
È questo allora il suggerimento stupendo che ci viene dalla Parola di Dio di questa domenica: per prepararci bene alla Pasqua dobbiamo lasciarci dissetare dall'acqua viva che è l'amore di Dio.
Dobbiamo tuffarci in quest'acqua viva, spruzzarci a vicenda, bere a sazietà!
E come si fa?
Chi ha già la possibilità di accostarsi al sacramento della Riconciliazione, sa perfettamente che ogni incontro con il perdono del Signore è una lunga sorsata dell'acqua viva del suo amore.
Non perdiamo le occasioni in Quaresima per tuffarci nella gioia di vivere il perdono del Padre Buono, lasciandoci sommergere dall'acqua viva del suo amore!
E poi, tutti, possiamo mantenere sempre fresca la sorgente dell'acqua viva che Dio Padre ha messo in noi con il Battesimo. Ci ha detto Gesù che anche in noi zampilla l'acqua viva dell'amore e questo zampillo è alto, limpido, fresco, ogni volta che doniamo amore.
Ogni volta che diciamo una parola gentile, un incoraggiamento, una frase che consola chi è triste, facciamo zampillare l'acqua viva dell'amore. Ogni volta che sorridiamo a qualcuno, che siamo accoglienti, che scacciamo via i musi lunghi e trattiamo tutti con bontà e simpatia, ecco che zampilla la sorgente dell'acqua viva. Tutte le volte che sappiamo essere generosi, in famiglia, a scuola, con gli amici; quando sappiamo condividere i nostri giochi, il nostro tempo, ci stiamo spruzzando allegramente con l'acqua viva.
Ogni volta che siamo capaci di perdonare uno sgarbo o una presa in giro, ogni volta che siamo capaci di non offenderci per un dispetto o una cattiveria, stiamo tuffandoci profondamente nell'acqua viva.
Adesso restiamo un istante in silenzio, ripetendo nel segreto della mente le parole della Samaritana: "Signore, dammi quest'acqua".
Sì, Signore Gesù, dacci sempre l'acqua viva che solo tu sai donare. Dissetaci con il tuo amore, o Maestro e Signore, e il nostro cuore sarà nella felicità che non finisce mai.

Meditiamo…
«La samaritana crede nel miracolo, nel miracolo più che nella felicità, come tutte le donne. Per questo, solo le donne sanno attendere, sperare e forzar la mano del Signore con parole e slanci che costituiscono una delle meraviglie del vangelo.(…) I motivi della samaritana sono buoni, ma il primo è espresso in modo sbagliato, il secondo in modo incompleto. Dio, è vero, acqueta e vince la nostra sete, ma non la spegne: non vuole spegnerla, essendo una nota sostanziale della nostra spiritualità. Come non ci toglie la croce, così non ci toglie la sete. Senza croce cesseremmo di progredire e di assomigliargli: senza sete non lo cercheremmo più. “Come il cervo cerca le fonti, così l’anima mia cerca te, o Signore”. Egli leva alla mia sete il tormento, ma me la lascia. Nell’acqua viva che egli mi dà, c’è anche di più di quanto la mia sete richieda: io però vi attingo di continuo per un bisogno che, cessando di essere un tormento, è divenuto il mio gaudio: “La mia anima ha sete di te, Dio forte e vivo”.(…) Molti pretenderebbero di ridurre la religione ad una forma assicurativa di quiete. Non mi pare che il Signore possa essere soddisfatto di gente che arrivi a lui con animo dimissionario e di pensionato.(…) l’adorazione in spirito e verità, voluta dal vangelo, c’impegna di più dopo che prima dell’arrivo. Anche la grazia di arrivare in porto non è di esclusivo godimento di colui che arriva. Ogni possesso è un dono in funzione di carità, perché anche gli altri abbiano e in maniera anche più abbondante di noi stessi. Oltre la mia sete c’è la sete dei fratelli: oltre la mia stanchezza, la loro stanchezza» (Don Primo Mazzolari).

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