venerdì 18 aprile 2008

20 aprile 2008 - V DOMENICA DI PASQUA

Non sia turbato il vostro cuore.
Non ho dubbi su questo: l'immagine spontanea, inconscia che abbiamo di Dio è, mediamente, orribile. L'idea di un onnipotente egoista, bastante a se stesso, misterioso e scostante, irritabile e incomprensibile, da tenere buono, un Dio che ignora la sofferenza, che permette la morte degli innocenti, che si sveglia di malumore, batte un pugno sul tavolo e provoca la morte di centinaia di migliaia di persone travolte da un maremoto.
Gesù è venuto a smentire questa tragica visione di Dio che – ahimè – perdura nel cuore degli uomini, nonostante duemila anni di cristianesimo.
Dobbiamo convertirci dal Dio che c'è nella nostra testa al Dio di Gesù Cristo!
Il Dio che Gesù racconta è il Dio d'Israele, che si è svelato progressivamente, rispettando i tempi di comprensione dell'uomo, attento alla fatica di vivere dell'uomo. È il Dio geloso (Es 20,5), che ama sul serio, non di un amore asettico, ma di un amore talmente viscerale da esigere attenzione, e spesso la Bibbia usa immagini umane per descrivere la gelosia e la passione di Dio che sente contorcersi le interiora per i suoi figli (Ger 31,20). Un Dio che svela agli uomini la strada per essere felici, le famose dieci parole (noi abbiamo tradotto "dieci comandamenti") che indicano all'uomo il percorso verso la felicità. Un Dio che conosce la sofferenza del popolo (Nm 20,16) e che vuole liberarlo attraverso l'opera di altri uomini, che sa pazientare (Sap 15,1) e scuotere, intervenire e sostenere, amare e forzare. Un Dio che sa perdonare e dimenticare, che è ostinato nel suo amore, che perseguita Israele con i suoi benefici (Sal 103,2), un Dio bellissimo, che non si riesce a vedere se non di spalle (Es 33,23), e la cui visione provoca la morte, talmente è glorioso. Un Dio che – come dicevamo – stanco di essere frainteso si fa uomo, corpo, sguardo.

Un Dio che suda e impara, si stanca e ride, fa festa e lutto, lavora e gioisce della famiglia e dell'affetto dei suoi. Un Dio che si piega sull'umanità ferita, come un buon samaritano (Lc 10,33ss) versa sulle sue ferite l'olio della consolazione e il vino della speranza, che si prende in carico l'uomo dolorante e lo conduce alla locanda del regno. Un Dio che, come un padre (Lc 15), accetta che il figlio minore se ne vada di casa con i suoi soldi, rischiando di perderlo, purché egli faccia le sue scelte, che lo accoglie con rispetto, senza chiedere ragione della sua fallimentare esperienza e gli restituisce dignità, che fa festa ed esce a convincere il rancoroso fratello maggiore ad entrare con lui. Un Dio che si commuove fino alle lacrime (Gv 11), che ama l'amicizia e l'accoglienza, che sceglie di donarsi fino in fondo, che non ha paura del rischio, che vuole morire per sigillare le parole "ti amo" rivolte a ciascuno di noi, che piange di paura e chiede qualcuno che lo ascolti, che pende nudo da una croce. La croce svela la misura di un Dio sconfitto per amore, che preferisce morire per dire l'ultima parola. Gesù ci svela il volto di un Dio paziente, silenzioso, timido, rispettoso dell'uomo. Timido, perché egli è come la brezza del mattino (1Re 19) e rispetta (lui almeno!) la libertà dei suoi figli. Un Dio adulto che ci tratta da adulti, che dice a Mosé: "ho visto la sofferenza del mio popolo... và, io ti mando" (Es 3,7-8), quando tutti avremmo preferito sentirci dire: "Ho visto la sofferenza del popolo, ora intervengo". Dio non ti allaccia le scarpe, né ti risolve i problemi: ti aiuta ad affrontarli, ti spiega che non è poi così fondamentale superarli, che la storia ha un tesoro nascosto che sei chiamato a scoprire. Gesù ci svela un Dio discretamente vittorioso nella resurrezione, che ha un piano per l'umanità, che ha un sogno, la Chiesa, i suoi discepoli, chiamati non a salvare il mondo, ma a vivere da salvati, costruendo quel regno che lui è venuto ad inaugurare, regno di giustizia e di pace, di amore e di luce, di sguardo verso l'altrove. Un Dio che viene là dove la sua comunità si raduna e si rende presente nell'amore che si scambiano i discepoli e nei Sacramenti.
Ogni uomo è chiamato a percorrere la via che è Gesù per scoprire il vero volto di Dio. Ci vuole l'intera vita per farlo, e continua conversione. Ci vuole passione ed ostinazione, intelligenza e costanza, umiltà e autenticità. Non seguiamo una regola di vita, non una teoria, ma una persona. Gesù non ci indica la via, si fa lui stesso strada da percorrere, seguendo le sue parole.

Per vivere, però, in comunione col Padre è assolutamente necessaria la relazione con Gesù. In effetti, dopo aver parlato del suo ritorno alla casa del Padre, ora Gesù parla della via che i suoi amici devono percorrere per raggiungerla. I discepoli non soltanto vengono condotti da Gesù al Padre, ma essi stessi devono mettersi in cammino. La via però è di nuovo Gesù stesso. Egli aveva già affermato: "Io sono la porta" ( Gv 10, 7.9: scorsa domenica). "Io sono la via, la verità e la vita".
Come è l'unica porta, Gesù è anche l'unica via verso il Padre: "Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me".
E' l'unica via al Padre poiché è l'unica verità, l'unica vita. E' "la verità". La "verità" significa la "rivelazione". Gesù non è soltanto colui che rivela Dio come Padre, ma in tutto quello che dice, in tutto quello che fa', in tutto quello che è, è rivelazione di Dio, è manifestazione palpabile di Dio Amore. E non è una rivelazione parziale di Dio, ma la rivelazione completa, totale, definitiva del Padre. Per conoscere Dio non hai bisogno di nessun altro, se non di Gesù soltanto. Gesù è necessario e sufficiente. Il motivo? Gesù è il Figlio unico e in tutto quello che è e dice e fa si rivela come il Figlio in relazione perfetta d'amore col Padre. Ecco la verità, cioè la rivelazione del Padre in Lui.
Gesù è "la vita": la vita divina, cioè la comunione eterna d'amore tra il Padre e il proprio Figlio nello Spirito Santo. Chi può misurare e anche solo immaginare la qualità, l'intensità, la pienezza traboccante di tale vita che il Padre comunica al Figlio? Vita che Gesù fin d'ora dona ai credenti, immettendoli nel circuito della comunione trinitaria. Ecco allora in che senso Gesù è l'unica "via" per giungere al Padre. Egli è la "verità", cioè la rivelazione del Padre. Egli è la "vita", cioè tramite l'unione con Gesù, il Figlio, noi abbiamo l'unione con Dio Padre e quindi la vita eterna, che è la vita stessa del Padre partecipata al Figlio. In quanto soltanto Gesù è il Figlio unigenito pari a Dio, solo Lui è la porta e la via di accesso al Padre, nel quale l'uomo trova la perfetta realizzazione di sé e la felicità suprema.
Lo intuisce oscuramente Filippo quando chiede a Gesù: "Mostraci il Padre e ci basta".
Questa richiesta esprime l'anelito più profondo del cuore umano: poter vedere Dio e soprattutto Dio come Padre. Vedere Dio è, appunto, il massimo che un uomo possa desiderare. Filippo, però, pensa a una manifestazione eclatante di Dio, a una esperienza straordinaria. Non sa invece che la sua attesa e la sua preghiera Dio le ha già esaudite donando Gesù. Per questo Gesù non può nascondere la sua delusione: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre".
Quest'ultima dichiarazione esprime in sintesi tutto il messaggio del IV Vangelo: Colui che vede l'uomo Gesù, cioè non si ferma a ciò che è esterno e corporeo, ma attraverso le opere, le parole e la vita di Gesù - tutta donata al Padre e agli uomini -, arriva a riconoscere in Lui il Figlio di Dio, vedrà, riconoscerà il Padre nel Figlio.
Gesù precisa ulteriormente: "Credetemi: io sono nel Padre e il Padre in me". Vale a dire, il Padre e il Figlio sono legati reciprocamente da una perfetta unione, per noi inimmaginabile. Ciò significa che quando Gesù parla, il Padre parla, quando Gesù compie qualche gesto, il Padre lo compie. Tali opere di Gesù sono i suoi miracoli, le sue azioni, la sua intera esistenza, che manifestano il suo rapporto filiale col Padre e l'amore del Padre che attraverso di Lui salva gli uomini. Perciò chi guarda con fede al Figlio vede, in Lui e per Lui, il Padre. Incontrare Gesù è incontrare semplicemente il Padre.
La conseguenza è anche che chi crede in Gesù "compirà le opere che Gesù compie". Cioè continua ad amare come Gesù ha amato e a operare come Gesù ha operato. Anzi, nell'esistenza e nella attività di coloro che per la fede sono uniti a Cristo, Egli stesso continua a rivelare il Padre e a condurre gli uomini a Lui. Addirittura, Gesù aggiunge che i discepoli faranno opere "più grandi" ancora di quelle compiute da Lui. Cioè il Risorto in loro continuerà la sua opera di manifestare l'amore del Padre in un raggio sempre più vasto.

Che cosa oggi turba il nostro cuore? Che cosa ci sta togliendo la pace e la gioia? Il Vangelo di questa domenica lega il turbamento al non avere un posto dove poter essere. E, in effetti, è proprio così. Quello che ci turba, che mette a soqquadro le nostre esistenze è la precarietà, non avere un posto, un luogo nel cui perimetro essere noi e soltanto noi. Un posto nel cuore degli altri, delle persone più vicine, come la moglie, il marito, l'amico, il fidanzato o la fidanzata, o anche di quelle meno prossime.
E invece è come se sbagliassimo posto, viviamo e cerchiamo di vivere nel luogo sbagliato.
"L'uomo può vivere rivolto verso l'alto, egli è capace dell'altezza. Di più: l'altezza che sola corrisponde alla misura dell'uomo è l'altezza di Dio stesso. A questa altezza l'uomo può vivere e solo da questa altezza possiamo comprenderlo davvero. L'immagine dell'uomo è elevata, ma noi abbiamo la libertà di tirarla verso il basso e strapparla oppure di lasciarci elevare, innalzare verso l'alto. Non si comprende l'uomo se ci si chiede solo da dove viene. Lo si comprende solo se ci si chiede anche dove può andare. Solo dalla sua altezza risulta chiara davvero la sua essenza. E solo quando questa altezza viene percepita, nasce un rispetto incondizionato verso l'uomo, un rispetto che lo considera sacro anche in tutte le sue profonde umiliazioni. Solo partendo da qui si può imparare ad amare l'umanità in sé e negli altri". Queste parole del Cardinal Ratzinger tratte da un'omelia sull'Ascensione ci guidano a comprendere la profondità di quanto oggi il Signore ci dice: l'unico luogo della nostra vita è il Padre, il luogo dove Gesù è andato, ci ha preparato un posto, e dal quale è tornato per prenderci e farci essere dove Lui è. Nel Padre.
Sbagliamo sempre luogo, non siamo mai tranquilli, ci manca sempre qualcosa, partoriamo progetti, aborriamo la precarietà perchè viviamo come orfani, non abbiamo Padre. Ogni luogo che ci costruiamo, spesso con fatica, non è mai il nostro luogo. Tutto alla fine ci va stretto, non possiamo digerire il verso che prende il lavoro, facciamo fatica ad accettare la relazione con i figli, con chi ci è accanto. In fondo non sopportiamo neanche noi stessi. Tutto questo costituisce la nostra esperienza quotidiana perchè il Padre, Dio, non è il luogo della nostra vita.
Il Padre non è dove siamo, per questo cerchiamo l'essere in altri luoghi. Così, ovviamente, anche la via che percorriamo è sballata, quello che prendiamo per verità è pura menzogna, la vita che viviamo sa di corruzione e di morte. Ma, se questa è la nostra realtà giunge a noi oggi il Signore Gesù con il Suo Vangelo, la buona notizia che Lui proprio oggi ritorna a noi, per portarci con Lui.
Lui è la via per il nostro luogo, quello che, nel Padre, ha preparato per noi.
Lui fa in noi la verità, cioè una vita vera, solida, bella, piena, una vita perduta per amore.
Lui ci dona la Sua vita, perchè non siamo più noi a vivere ma Lui in noi.
Via, verità e vita, Cristo in noi, per noi, con noi nel pellegrinaggio di ogni giorno verso l'unico luogo che ci si addice e che da senso e pienezza alle nostre eistenze. Lui ci nasconde nel cuore del Padre, da dove attingiamo tutto quello che fa di noi Suoi figli amati, per vivere da figli amati. Comprendiamo allora con l'allora Cardinal Ratzinger il rispetto che ogni aspetto della nostra vita merita, e che ci fa considerare sacra la nostra vita anche in tutte le sue profonde umiliazioni.
Così, scoperto il nostro luogo in Dio nostro Padre attraverso una profonda intimità con Gesù, ogni altro luogo della nostra vita non ci è più estraneo od ostile, da fuggire con orrore. Anzi, con Gesù ogni luogo diviene il nostro luogo, dove tutto è santo, dove tutto è Grazia, perchè tutto reca il profumo di Cristo, che è quello del Padre.
"La fede ci impedisce di dimenticare; desta in noi l'autentica, sconvolgente memoria dell'origine: del fatto che noi veniamo da Dio; e vi aggiunge la nuova memoria che si esprime nella festa dell'Ascensione di Cristo: la memoria che il luogo autenticamente appropriato della nostra esistenza è Dio stesso e che è da lì che dobbiamo guardare l'uomo. La memoria della fede è in questo senso pienamente positiva: libera la dimensione ultima positiva dell'uomo. Riconoscere questo è una difesa ben più efficace contro ogni riduzione dell'uomo rispetto alla semplice memoria delle negazioni che, alla fine, può lasciare dietro di sé solo il disprezzo per l'uomo. L'antidoto più efficace contro la rovina dell'uomo risiede nella memoria della sua grandezza, non in quella della sua miseria. L'Ascensione di Cristo risveglia in noi la memoria della grandezza. Essa ci rende immuni rispetto al falso moralismo che getta discredito sull'uomo. Essa ci insegna il rispetto per l'umanità e ci restituisce la gioia di essere uomini" (Card. J. Ratzinger, ibid.)

Così possiamo scoprire come è profondamente reale e vicina alla nostra vita quotidiana la richiesta di Filippo, che esprime il desiderio più profondo di ciascuno di noi, di ogni uomo: "Mostraci il Padre e ci basta".
Sì, poter vedere nostro Padre, vedere, che secondo il Vangelo di Giovanni significa credere, appoggiare la nostra vita in Dio nostro Padre, questo ci basta. Sapere con certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall'amore di Dio, vivere da figli sussurrando in ogni istante "Abbà, Papà", vivere stretti a Lui. Ecco, questo è tutto.
Non si tratta di ucciderlo il padre, come ci hanno insegnato per decenni in ogni modo, si tratta piuttosto di conoscerlo, e di amarlo. Per questo proprio il Padre ha inviato Suo Figlio, immagine perfetta e nitidissima di Lui, impronta della sua sostanza. E' Cristo che dobbiamo cercare, Lui dobbiamo implorare, a Lui dobbiamo stringerci senza paura. Da Lui lasciarci amare, perdonare, consolare.
Lui, Gesù, unica nostra vita. In Lui ogni nodo irrisolto della nostra vita trova la mano pronta a scioglierlo, a riconsegnare ad ogni grumo della nostra storia dignità e luce. Tutto in Cristo acquista senso, valore, gioia e gratitudine. Non un secondo della nostra vita è assente dal cuore di Cristo. Di più, ogni istante della nostra storia reca impresse le stimmate del Suo amore. La nostra vita è opera sua, ogni incontro, i genitori, la famiglia, la scuola, il lavoro, i figli, gli amici. Il nostro corpo, gli acciacchi, gli stessi spigoli del carattere, tutto è modellato perchè Lui splenda in noi.
Noi siamo opera sua, opera del Padre. Perchè Lui è nel Padre, le sue opere d'amore compiute per noi, il perdono e la misericordia che ci rigenera testimoniano fin dentro le nostre ore più grigie la tenerezza di nostro Padre. Siamo figli, amatissimi figli. Allora ogni attività non è più nostra, non ci appartiene perchè noi apparteniamo a Dio. Le opere per le quali siamo nati, per le quali oggi ci siamo svegliati sono le opere di Dio, grandi, più grandi di quanto neanche riusciamo ad immaginare. Amare, perdonare, giustificare. Comprendere il collega di lavoro, avere misericordia con il vicino di casa, non resistere di fronte alle ingiustizie sul lavoro, umiliarci e chiedere perdono ai genitori, alla moglie, al marito, al figlio. Queste sono le opere di vita eterna che Dio ha predisposto per noi, queste sono le grazie da chiedere a nostro Padre nel nome di Suo Figlio e nostro fratello Gesù.
Vivere oggi e ogni giorno la vita di Dio, scorgendo in ogni luogo e persona su cui posiamo lo sguardo la traccia inconfondibile di nostro Padre. Tutto è per noi un'eco di Dio, la Sua volontà ove, solo, è nostra pace. Cristo vivo in noi compirà ogni opera, senza alcun dubbio. E questo è il grande mistero dell'Incarnazione che si rinnova in ciascun cristiano, nel battesimo e nei sacramenti.
L'Incarnazione nella Chiesa corpo vivente e visibile del Signore. Così chiunque fissi e guardi la Chiesa può vedere Gesù, e, in Lui, il Padre, l'approdo di ogni vita, il destino di ogni uomo. La missione della Chiesa, e di ciascuno di noi, non è dunque altro che essere quello che già siamo, per incendiare il mondo con la luce di Cristo. Essere suoi. Essere uno con Lui. Rimanere nel suo amore.
Che Dio ce lo conceda, è questa davvero la Grazia più grande da implorare al Padre nel nome di Cristo: lo Spirito Santo che ci faccia intimi a Gesù, una sola carne e un solo spirito con Lui. Per noi, per il mondo. Perchè i figli, i genitori, gli amici, chiunque abbiamo a cuore possa vedere Dio, e credere in Lui. Quante volte soffriamo, ci scoraggiamo, perchè gli altri non si accorgono di Dio, non ne vogliono sapere.
Certo, ognuno è libero, ma per esserlo davvero una volta almeno nella vita deve poter vedere Dio, toccare il suo amore. Poi potrà rifiutarlo.
Per questo siamo stati chiamati nella Chiesa. Per questo prima di tutto, prima ancora che pregare per i figli, o per chiunque, è fondamentale chiedere a Dio d'essere suoi sino in fondo. E' l'evidenza di Dio in noi che aprirà al mondo lo sguardo su Dio. E' questo il fondamento della missione della Chiesa, dell'educazione, della testimonianza, della nostra stessa esistenza.
Esistiamo perchè Gesù possa prendere dimora in noi. Lui il nostro luogo, e con Lui nel Padre, nostra eterna dimora. E noi sua dimora, qui ed ora, nella nostra carne, ed eternamente, in un vincolo d'amore che nulla e nessuno potrà mai distruggere. Anche oggi, e in ogni istante. Che Dio ce lo conceda, al di là di ogni ostacolo frapposto dalla nostra debolezza.

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