martedì 10 giugno 2008

15 giugno 2008 - XI Domenica del Tempo Ordinario

Pecore senza pastore
Levi il pubblicano è rinato, ora è diventato Matteo apostolo, ha visto nello sguardo del Nazareno, ospite di Pietro e Andrea, la possibilità di una vita diversa, libera, nuova. La misericordia lo ha convertito, solo la misericordia che ha visto in fondo allo sguardo sereno del Rabbì Gesù lo ha cambiato.
Trent'anni sono passati da quell'incontro, e Matteo ancora indugia nello scrivere, rotto a tratti dall'emozione che serra la gola. La misericordia era il tesoro nascosto nel campo che Levi, infine, ha trovato.
Non è stato il solo a fare questa esperienza: ci racconta che Gesù aveva lo stesso identico sguardo su ogni uomo, sulla folla intera. L'amore che Dio provava per l'umanità era struggente e incontenibile.
Gesù vede nel profondo le persone che gli stanno di fronte, sa dell'infinito bisogno di felicità che ci troviamo piantato nel cuore e della fatica che facciamo a dare una risposta all'inquietudine che offusca il nostro sguardo. Venderemmo l'anima per essere amati, daremmo un braccio per conoscere - infine - cosa davvero può colmare durevolmente il nostro bisogno di pace.
Questa ricerca appassionata di felicità è ciò che ci fa simili, ciò che unisce ogni uomo, in ogni tempo. Gesù vede che siamo sbandati, come pecore senza pastore, perché non abbiamo in noi stessi la risposta a tutte le domande.
Peggio: in questo delirante e fragile tempo in cui siamo chiamati a vivere, la felicità ce la si vende a caro prezzo e noi, spaesati, finiamo col seguire l'idea più seducente, più luccicante, che sembra appagare quel bisogno profondo di bene e di vero che alberga nel nostro cuore.
Gesù si commuove perché ci vede faticare più del dovuto nello sbrogliare la matassa della felicità. Forse anche Dio ha dei ripensamenti.
Non era questo il suo progetto quando ci aveva donato la libertà dono difficile da gestire, superiore alle nostre forze, che volentieri cediamo all'incantatore di turno.
Pecore senza pastore: così ci vede il Maestro, commuovendosi.
Nel suo amore infinito Gesù decide di agire.
Al solito ci spiazza: la pagina finisce nel modo più inatteso e incredibile.
Tutti ci aspetteremmo: Gesù si commuove e quindi si propone come un Buon pastore.
Macché: Gesù si commuove e inventa la Chiesa.
Lo so, lo so, la stragrande maggioranza di voi ha un'esperienza di Chiesa povera e contraddittoria, si è scontrato duramente col volto incoerente e severo di qualche cattolico più devoto di Dio.
Gesù pensa ad una compagnia, ad una ricerca comune, ad un sogno realizzato: uomini e donne, suoi discepoli, capaci, insieme, di cercare senso e pienezza, misura e gioia.
Lui è il Pastore che ci guida a pascoli erbosi, ma insieme possiamo fare esperienza di gregge, di comunità.
Non è facile capire e amare la Chiesa. troppe le fragilità, troppe le contro-testimonianze, troppe le persone che si dicono credenti e che vivono senza neppure essere uomini, troppe le incoerenze, troppi gli errori nella storia per non essere dubbiosi quando si parla di Chiesa.
Gesù sceglie dodici persone per iniziare a costruire il Regno, dodici che stiano con lui, per diventare poi capaci di condurre ai pascoli erbosi nei quali loro per primi saranno condotti.
Nessuno si sognerebbe di mettere insieme dodici persone così radicalmente diverse per realizzare un progetto! Pescatori abituati alla concretezza e alla rudezza insieme ad intellettuali come Matteo e Giovanni; tradizionalisti come Giacomo insieme a pubblicani, peccatori pubblici, terroristi come Simone del gruppo degli Zeloti, disposti ad uccidere l'invasore romano. C'è l'intero Israele in questo gruppo, l'intera umanità nella sua vivace diversità. La Chiesa è la comunità dei discepoli di Gesù, diversi tra loro in tutto se non nell'amore del Maestro, chiamati ad annunciare il vangelo con semplicità e verità.
Questa è, nel sogno di Dio, la Chiesa.
Paradosso di Dio! All'umanità ferita e fragile che necessita di una guida, Gesù propone un pezzo di umanità, altrettanto fragile e ferita, trasfigurata dall'Amore.
La missione dei dodici è sconcertante: rivolgersi alle pecore perdute di Israele.
Un invito attuale e urgente: la Chiesa ha bisogno di testimoni che la riconducano all'ovile del Padre. I primi destinatari dell'annuncio del Vangelo siamo proprio noi cristiani. Troppo cattolici per diventare discepoli, troppo convinti di saperne abbastanza per ascoltare il Vangelo, troppo riempiti di cristianesimo socio-culturale per credere – sul serio! – che la Chiesa abbia a che fare con Dio, siamo proprio noi cristiani del terzo millennio, nelle nostre società che riconoscono un campanile e ignorano le parabole, che apprezzano gli oratori e ignorano l'interiorità, che celebrano le feste dimenticando il festeggiato, siamo noi i chiamati a ricevere – ancora e ancora – la buona notizia di un Dio che si fa vicino.

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