giovedì 2 aprile 2009

5 Aprile 2009 - Domenica delle Palme

La settimana che oggi iniziamo, così grande, così importante da essere chiamata "santa", è il gioiello dell'anno liturgico, una perla troppo spesso dimenticata da noi cristiani, a vantaggio di feste forse più sentimentali ma intrise di tanto consumismo, come le feste di Natale.
Qui no. Un morto in croce non si vende, non suscita sentimenti di bontà.
Anzi: se ne parla poco e male di questo Dio che sale su di una croce e muore.
Ancora oggi ci rimane difficile da capire il mistero di una tomba vuota e del significato profondo della parola "resurrezione". Difficile al punto che la Chiesa si ferma stupita a meditare per tutta la settimana sulla grandezza dell'amore di Dio.
Allora fermiamoci anche noi, giorno per giorno, ora per ora, regoliamo i nostri orologi e il nostro tempo a questi momenti cruciali per la storia dell'umanità.
Ammiriamo, in silenzio, il vero volto di Dio, un Dio che si prepara a morire: Cristo celebra la sua presenza nell'ultima Pasqua, la nuova; viene arrestato, condannato, ucciso, sepolto, vive.
In questa preziosa settimana, qualunque cosa faremo, in ufficio, a scuola, a casa, potremo fermarci, socchiudere gli occhi e pensare a Cristo, ai suoi sentimenti, alla sua angoscia, alla sua bruciante passione, al suo desiderio.
Ora per ora assisteremo, con gli occhi della fede, allo spettacolo di un Dio che muore per amore.
Ironia dell'incoerenza umana: nel volgere di pochi giorni le stesse voci, le stesse braccia, non più con le palme aperte verso il cielo, ma con i pugni serrati, trasformeranno la loro gioia per il Messia, in una invocazione terrificante, in un agghiacciante sete di morte, "Crocifiggilo!".
Quanto è sciocco l’uomo! come sciocchi e tardi nel credere siamo anche noi, che ancora non ci rendiamo conto del tesoro che abbiamo tra le mani, disposti anche noi a trasformare velocemente con il nostro comportamento la preghiera di benedizione in grido di “morte”!
Eppure da quella croce pende il destino dell'uomo, con quel sangue è firmato il patto dell'Amicizia eterna di Dio, in quel pane è conservato il Cuore di Colui che desidera ardentemente di mangiare la Pasqua con noi.
Ma che razza di Re era Gesù?
Un re da burla che entra a Gerusalemme cavalcando un asinello e non un cavallo bianco, un re oltraggiato e preso in giro da annoiati soldati romani, un re senza armate, senza potere, senza rabbia, senza delirio di onnipotenza. Un re nudo, appeso ad una croce, cinto da una corona di spine; un re talmente sconvolto da avere necessità di un cartello che lo identifichi, che lo renda riconoscibile almeno alle persone che l'hanno amato.
Ecco: questa è la non festa che celebriamo in questa settimana: una festa che abbandona i trionfalismi, per lasciare spazio alla meditazione, allo stupore.
Questo è il nostro re, discepoli del Nazareno. Questo è il nostro Dio.
Un Dio che rischia, un Dio che – per amore – accetta di farsi spazzare via dall'odio e dalla violenza; un Dio che rischia tutto, anche di essere per sempre dimenticato, pur di mostrare il suo vero volto.
Un Dio che accetta di restare nudo, cioè leggibile, incontrabile, osteso, palese, evidente, perché ogni uomo la smetta di costruirsi improbabili devozioni, scure e distorte visioni di un Dio personale!
Questo è dunque il nostro Dio: un Dio amante, un Dio ferito, un Dio che fa dell'amore l'unica misura, l'ultima ragione, la sola speranza. Amen

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