martedì 27 luglio 2010

1 agosto 2010 - XVIII Domenica del Tempo Ordinario

Domenica scorsa ci siamo inteneriti e consolati con la riflessione sulla preghiera, quella precedente con la luminosa pagina di Marta e Maria e oggi ci tocca parlare di beghe ereditarie! La Parola di oggi infatti è incarnata nella pesantezza della quotidianità, nella concretezza delle scelte e delle relazioni, nel difficile rapporto con le cose e le fortune.
Alzi la mano chi non ha mai avuto nella sua vita almeno una piccola controversia per questioni di denaro.
È vero, fratelli miei, quante amicizie sono state spazzate via per questioni di soldi, quanti legami di parentela si sono trasformati in odio viscerale per questioni ereditarie, per qualche metro quadro in più di casa, di terra... D'altronde, siamo onesti: se gli affetti, le amicizie, le relazioni di parentela non si concretizzano in atteggiamenti di equità e giustizia, se non passano la prova della solidarietà, diventa davvero difficile capire come si concretizzi il bene che diciamo di volerci.
Ovvio, siamo tutti persone equilibrate e oneste, e quello che pretendiamo è sempre per una questione di principio. Anche il tale della folla – fa un po’ tenerezza questo poveraccio che, non sapendo più cosa fare, chiede a Gesù di intervenire personalmente presso il fratello perché gli riconosca la sua parte di eredità – probabilmente ha ragione: ha subito un torto e vorrebbe essere risarcito.
Ma Gesù sorride e risponde «no, grazie». E non solo a lui, ma a tutti noi. A ragion veduta.
No, grazie: perché possiamo benissimo capire da noi stessi cosa è giusto fare.
No, grazie: Dio ci ha creati sufficientemente intelligenti per risolvere ogni questione pratica.
No, grazie: smettiamola di chiedere a Dio di fare ciò che potremmo fare benissimo da soli.
No, grazie: Dio ci tratta da adulti, evitiamo di considerarlo come un preside che ci risolve i guai.
No, grazie: Dio non ci allaccia le scarpe, né ci soffia il naso come con i bambini piccoli, né ci risolve i problemi che riusciamo a risolvere benissimo da noi stessi.
Il mondo ha una sua armonia, una sua logica, delle leggi che – in ultima analisi – dipendono da Dio, ma che funzionano da sé. Dio non si alza al mattino per dare un giro di manovella perché il mondo si metta in moto, lo ha creato pieno di intelligenza e di bellezza, a noi di scoprirne le leggi intrinseche.
L'atteggiamento della Bibbia, a questo proposito, è adulto e maturo: riconosce in Dio l'origine di ogni cosa, ma lascia all'uomo la capacità di gestire il creato. Non occorre sfogliare la Scrittura per sapere cosa è bene per l'economia, la giustizia, la pace, la solidarietà; è sufficiente ascoltare il nostro cuore, la nostra coscienza illuminata.
Gesù sa che dietro la domanda di quel tale c'è una questione di soldi e ne approfitta per fare una riflessione sulla ricchezza.
A parole, siamo sempre tutti liberi e puri, siamo tutti Francescani doc!
Proviamo tutti un connaturale fastidio nei confronti del denaro: soprattutto quando è degli altri!
Lo consideriamo qualcosa di pericoloso, di sporco, di ambiguo. Una persona ricca è sempre guardata con sospetto, con un certo imbarazzo.
Gesù, paradossalmente, è molto libero in proposito: non dice che la ricchezza è una cosa sporca. Dice solo che è pericolosa. Guardate il pover'uomo della parabola: un gran lavoratore, non ci viene descritto come un disonesto, né come un avido, anzi, fa tenerezza la sua preoccupazione di far fruttare bene i suoi guadagni per poi goderseli in pace... La sua morte non è una punizione, ma un evento possibile, sempre nell'ordine delle autonomie delle cose di cui sopra. Chissà: forse troppo stress, troppo lavoro, troppe sigarette sono all'origine della sua morte improvvisa, non certo l'azione di Dio.
Gesù ci ammonisce: la ricchezza promette ciò che non può mantenere, ci illude che possedere servirà a colmare il nostro cuore. Come leggiamo nell'acida riflessione del Qoelet, anche noi constatiamo come sia inutile affannarsi ad accumulare ricchezze, di cui poi altri godranno.
Se davvero abbiamo incontrato Cristo, accogliendo l'invito di Paolo, l'ordine delle nostre priorità ormai è profondamente cambiato. Il mondo suscita bisogni fasulli per colmare il grido di assoluto che scaturisce dal nostro cuore e che Dio solo può colmare.
Un po' di essenzialità, allora, ci può aiutare a ricordarci che siamo pellegrini, che la ricchezza ci può ingannare, e se qualcuno ha avuto dalla Provvidenza un po' di fortuna economica, gli serva come occasione per accumulare tesori in cielo aiutando i fratelli più poveri.
La Parola di oggi ci propone un grande esame di coscienza collettivo: non dobbiamo farci inutili sensi di colpa, ma dobbiamo essere essenziali nel gestire le cose della terra; assolutamente corretti nei confronti del denaro della comunità, e ancor più di quel denaro che è a servizio dell'annuncio del Regno.
Andiamo all'essenziale, fratelli, come il Signore ci chiede; lasciamo che siano le cose importanti a guidare la nostra vita, le nostre scelte. Perché non di soldi, ma di ben altre ricchezze ha bisogno il nostro cuore: di beni immensi, di tesori infiniti. Della impagabile tenerezza di Dio. Amen.

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