martedì 14 settembre 2010

19 Settembre 2010 - XXV Domenica del Tempo Ordinario

Andando avanti con gli anni mi accorgo sempre più di quanto Dio mi abbia rivoluzionato la vita. Si, fratelli miei, perché frequentandolo – per carità, con tutte le dovute proporzioni rispetto ai santi! – uno riesce a capire un pochino chi è lui "dentro", quale immenso progetto di amore Egli abbia su tutti noi. E allora tutte le cose, o quasi, cambiano, acquistano una coloritura diversa. Incontrare Dio, il Dio di Gesù, significa cambiare ordine alle cose, dare delle priorità alla propria vita, infondere nuova energia alle proprie scelte. È in questo senso che i veri seguaci di Cristo devono essere protagonisti nella storia. Essi devono (o dovrebbero) essere determinanti protagonisti nella storia reale di questo nostro mondo inquieto e alla deriva; un mondo che abbandona superficialmente la profondità del messaggio evangelico per lasciarsi sedurre dai gossip di turno, che scorda le verità essenziali trasmesse dai padri per cedere ad una logica piccina e opportunista, superficiale ed inquietante.
Quando tutti, seriamente avvinti dal Maestro e affascinati dal suo Vangelo, dovremmo invece portare una domanda conficcata nel cuore: come cambiare il destino del mondo? Come arginare la sua deriva che spazza la dignità degli uomini, come evitare questa spietata e indolore dittatura dell’anticristo?
In altri tempi ci sono state altre risposte, da parte dei discepoli del Risorto: comunità solidali, la carità come dimensione necessaria alla vita interiore, opere di carità, ospedali. Erano altri tempi, tempi ambigui forse, ma evidenti, leggibili, rintracciabili: un padrone cristiano era tenuto a comportarsi prima da cristiano e poi da padrone.
Ma oggi tutto è complesso, contorto: la new economy, la globalizzazione, il mercato che impera e divora, un sistema basato sul guadagno, costi quel che costi, e di lì organizza la politica, le guerre, pianifica il futuro. Cosa dobbiamo fare, noi cristiani, cittadini del mondo?
Il Vangelo di oggi una traccia ce la lascia, debole, ma è pur sempre una traccia.
Prima considerazione da fare: la ricchezza, il potere, non sono questioni di portafoglio ma di cuore, non di quantità, ma di atteggiamento. Nessuno di noi è uno dei "grandi" del mondo, e questo potrebbe in qualche modo falsamente rassicurarci. Però, anche se possediamo poco, su quel poco possiamo avere un atteggiamento di attaccamento tale che ci distoglie dall'obiettivo della nostra vita che è la pienezza del Regno. Amos, nella prima lettura, guarda alla situazione del suo tempo con amarezza: un potere corrotto e un'ipocrisia diffusa, anche se in presenza di una osservanza scrupolosa nelle pratiche religiose, determinano comunque l'oppressione del povero.
Quanto tristemente attuale è questa pagina: ma davanti alla perfida logica in atto nella nostra società in cui vince il più forte, la coscienza cristiana di ciascuno deve reagire; non certo ricorrendo a pie elemosine, ma affrontando onestamente la realtà per contribuire, entro i nostri limiti, alla realizzazione di un sistema di vita in cui prevalga l'uomo e la persona sul capitale: in altre parole una economia più "personalista", condivisa. Facendo cosa? Beh, prima di tutto informandoci di come va il mondo e non chiudendoci nel nostro guscio: perché la conoscenza è il primo passo verso la condivisione! Del resto occasioni di condivisione, per essere di aiuto e conforto a quanti soffrono nel mondo se ne presentano continuamente.
Paolo ammonisce a non pensare che la fede si occupi solo del "sacro". Fino a che la fede non diventa contagiosa, illuminante, strumento per costruire un mondo nuovo, non abbiamo realizzato il Regno.
L'amministratore delegato della parabola di oggi è lodato da Gesù per la sua sagacia (non per la sua disonestà!) e Gesù sospira tristemente: "Se mettessimo la stessa energia nel cercare le cose di Dio!"; se mettessimo anche in questo la stessa intelligenza, lo stesso tempo, lo stesso entusiasmo che mettiamo nei nostri interessi! La scaltrezza dell'amministratore è l'atteggiamento che manca alle nostre stanche comunità cristiane: pensiero debole che si adagia su quattro devozioni e un po' di moralismo, senza l'audacia della conversione, del dialogo, della riflessione.
Io, discepolo, posso vivere nella pace, ma anche nella giustizia: libero dall'ansia del denaro, libero da mammona, per essere vero discepolo.
Ecco, la sostanza è questa: se sono discepolo di Cristo so quanto valgo, so quanto valgono gli altri e vado all'essenziale nei miei rapporti, dall'onestà nello svolgere il mio lavoro, alla solidarietà, ad uno stile di vita retta e consona al Vangelo. Chi è il padrone dell'umanità? Dio o mammona? Oggi forse è quella mammona dai mille seducenti nuovi volti: mercato, profitto, auto-realizzazione. Eppure Gesù non è moralista: il denaro non è sporco, è solo rischioso per cui il discepolo, il figlio della luce, ne deve usare senza diventarne schiavo.
Concludo unendomi a Paolo, nostro fratello nella fede. Rileggiamo l'invito fatto a Timoteo, preghiamo con fede, alziamo al cielo mani libere da odiose contese, dall'ira, dall'odio, e invochiamo il dono della pace per la nostra terra; impegniamoci a trascorrere una vita calma e tranquilla, con grande pietà e dignità, con un occhio di riguardo ai nostri fratelli più deboli e bisognosi. Amen.



Nessun commento: