venerdì 13 maggio 2011

15 Maggio 2011 – IV Domenica di Pasqua

«Io sono la porta delle pecore».
Gesù, per spiegare le grandi verità di Dio, usa le semplici immagini del suo tempo. Il recinto era una specie di muretto che circondava uno spazio utilizzato da più pastori. Alla sera ognuno vi conduceva le pecore, che di notte erano guardate da un unico custode. Al mattino il pastore tornava, chiamava le proprie pecore per nome e queste, riconoscendone la voce, lo seguivano fuori dal recinto. Ecco il perché del buon pastore e delle pecore: era quello che succedeva ogni giorno e che tutti conoscevano. Le pecore conoscevano la voce del loro pastore perché tutto il giorno stavano con lui: lui le proteggeva, lui le difendeva, lui le portava al pascolo. Si creava tra di loro un rapporto di conoscenza e di relazione. Oggi a noi, figli della civiltà industrializzata, questa immagine del pastore dice poco: ma a quel tempo riproponeva una situazione molto comune, chiara e comprensibile.
Le parole di Gesù del vangelo di oggi, inoltre, a noi sembrano dolci, tranquille, rassicuranti, zuccherine: forse perché le colleghiamo alle tante immagini di un buon pastore molto patinato, con barba curatissima e capelli fluenti, un grazioso agnellino sulle spalle, il bastone in mano, che precede, con sguardo sognante, un numero sparuto di pecorelle belanti e mansuete.
Ma non è proprio così: le sue sono parole dure, critiche, di aperta denuncia; parole pronunciate in un clima di particolare tensione, in un clima di feroce avversione nei suoi confronti: una situazione molto difficile che, tuttavia, non riesce a condizionarlo; Gesù non si lascia intimidire, non usa guanti di velluto, non parla per mezzi termini, non ha esitazioni, ma colpisce giù, dritto nel segno.
Siamo in prossimità di una delle porte del Tempio, di quella chiamata “Porta delle pecore”; un particolare che sicuramente ha offerto a Gesù lo spunto per parlare di greggi e di pastori. Davanti e intorno a lui c’è schierata tutta la classe religiosa, forte, arrogante, particolarmente agguerrita, sentendosi nel proprio ambiente, in quel nuovo e grandioso tempio ricostruito da Erode: sono gli scribi, conoscitori della scrittura e della Legge, i sacerdoti, detentori di quel che rimaneva del potere giudeo, i farisei, gli ultras della fede, i puri e duri.
E Gesù, con voce tonante, in sostanza dice loro: Avete imprigionato il popolo in un recinto fatto di prescrizioni, di lacci e di lacciuoli, di regole e di interdizioni. Lo avete ridotto a un gregge di pecoroni, costretti ad obbedire senza riflettere. Avete scordato l'essenziale, il volto amorevole del Dio di Israele. E lo avete fatto perché avete tutti il vostro tornaconto in termini di potere, di denaro, di influenza politica, di dignità recuperata. Non vi importa nulla di come e di cosa vive la gente, la giudicate e basta, la usate. Ma la gente non vi ascolta più, parlate due lingue diverse, non ha più fiducia in voi. La gente aspetta un nuovo re-messia, come quel Davide che da pastore è diventato condottiero, senza mai montarsi la testa, senza mai scordarsi la sua origine e la sua missione.
Questo dice Gesù: consapevole della gravità delle sue parole, cosciente della durezza del suo giudizio. La gente è stanca di mercenari. La gente vuole ascoltare altre parole, parole dette con amore, dette con passione, dette con la forza della verità. Le sue parole, appunto. La gente vuole ascoltare il suo messaggio, il suo “Vangelo”. E cosa dice Gesù, il messia-pastore? Che Lui è l’unico pastore in grado di far uscire le pecore dal recinto in cui sono rinchiuse e portarle al Padre. Perché egli solo è il “buon” pastore: anzi egli solo è “
é poimÑn é kalçv
”, come dice il testo greco: “il pastore quello bello”, quello integro, quello capace di amare da adulto, di servire l'umanità, di prendere sul serio il proprio ruolo perché profondamente appassionato del bene dell'uomo. Gesù è il pastore che conduce verso la vita, verso il pascolo, verso il nutrimento; è colui che difende, che protegge dagli attacchi esterni, che aiuta nei momenti di difficoltà; è il riferimento per sapere dove andare e quale strada percorrere.
Gesù è il pastore che chiama le pecore una ad una; immagine bellissima: il suo essere pastore passa attraverso l'intimità del nome di ciascuno di noi. Sembra quasi dirci che per Lui non contano i numeri, i grandi numeri; per Lui contano i nomi, i singoli. I grandi numeri sono belli, danno soddisfazione, ma significano anonimato, estraneità. Gesù conosce ognuno di noi per nome; ognuno viene chiamato individualmente, ognuno si sente conosciuto per nome, amato, convocato, curato, affidato. Ognuno di noi entra nella sua intimità e conosce la sua voce: una intimità così profonda da individuare la sua voce tra migliaia di altre voci.
Per Gesù non contano i ruoli, gli uffici, le gerarchie; per Gesù conta la relazione con lui, conta il riconoscere la sua “voce”. Attenzione: per una volta l'evangelista Giovanni non dice qui “Verbo”, “Parola”, per indicare il Signore, ma semplicemente “Voce”; forse perché si è reso conto che una terminologia più impegnativa poteva confonderci; egli sa perfettamente ciò di cui abbiamo bisogno; l’uomo ha l’assoluto bisogno di sentire la vicinanza costante di Gesù, ha bisogno della sua presenza: e non c'è altro modo che testimoni di più questa presenza, che udirne la sua “voce”.
Per questo, fratelli miei, è così importante l'incontro personale, il conoscere la voce, il dare del “tu” al Signore: per questo dobbiamo recuperare l'importanza della nostra dimensione spirituale, la dimensione affettiva nel nostro cammino di fede: dobbiamo risentire il nostro cuore ardere d’amore, un cuore che, come abbiamo visto domenica scorsa per i due di Emmaus, può riscaldarsi e bruciare soltanto in un rapporto diretto di conoscenza, di desiderio, di fiducia, di amore.
Gesù dunque è venuto a chiamarci per nome, per condurci al Padre. Egli è la porta: e noi dobbiamo passare attraverso di lui, dobbiamo attraversare Gesù per entrare e uscire. Notate bene: egli non dice di essere la “porta dell'ovile”, ma la “porta delle pecore”. Gesù si presenta come colui che noi pecore possiamo incontrare, attraversare, come colui che ci dona accesso ad un mondo “altro”, ad un modo di vedere noi stessi e gli altri completamente diverso. Gesù chiama le pecore per nome e le pecore riconoscono la sua voce, perché è una voce che parla direttamente al cuore, che salva, che riempie, che consola, che scuote, che dona energia, che perdona, che inquieta, che sconcerta, che porta a verità, alla Verità tutta intera.
“Attraversare” Gesù, significa passare per una porta stretta, lo sappiamo; per farlo, dobbiamo essere autentici, essere indifesi come agnelli, essere nudi ma fiduciosi in lui.
Gesù ci chiede di configurarci a lui, di dilatare il nostro cuore, di allargare i nostri orizzonti, di fuggire la piccineria, fosse anche santa e devota; ci chiede soprattutto di perdere la nostra vita per donarla agli altri, come egli ha voluto e saputo fare.
È bello allora che questo Pastore ci conduca fuori. Gesù non è uno che chiude la porta, non è uno che rinchiude dentro, che imprigiona; è il Pastore che fa entrare ma anche uscire. Quante volte, fratelli miei, Gesù ci chiama per nome per farci uscire da quelle situazioni particolari che mortificano la nostra vita, per farci uscire dal nostro io, dalla nostra “chiusura ermeticamente protettiva”, per aprirci agli altri, per guardare all'altro come a un fratello, a una sorella; ci fa uscire dall’eccessiva attenzione per noi stessi, dall’eccessivo ripiegamento su di noi, per aprirci alla gratuità, alla solidarietà, allo spenderci di più per gli altri e un po' meno per noi.
Ma dobbiamo stare in guardia; è Gesù che ci mette in guardia dai ladri e dai briganti: “Stai attento, dice, perché sono molti quelli che vengono in nome di Dio e in nome dell'amore. Molti dicono di venire per il tuo bene: stai attento perché sono briganti e ladri!”.
È questo l’avvertimento del buon pastore, il principio che deve essere fondamentale per la nostra vita: “Chi tenta di rubarci l'anima è un ladro. Chi tenta di rubarci ciò che abbiamo dentro è un brigante. Chi ci imprigiona è un impostore. Non facciamolo entrare! Difendiamoci, se possiamo, oppure scappiamo”. Il vero pastore (genitore, coniuge, prete, confratello, consorella, o amico che sia) entra in noi solo per darci vita, entra perché possiamo crescere, fiorire, evolverci, divenire. Se non fa questo è un ladro: viene per prendere, per sottrarci, per legarci a sé. Il pastore ci invita, ma non ci impone mai nulla, non usa mai la forza; ed è sempre presente nel momento del bisogno; non fugge via come il mercenario. Il ladro invece impone, usa violenza, colpevolizza, ci lega a sé e ci ruba la vita che abbiamo dentro. Il pastore ci conduce alla nostra verità, alla Verità; il ladro ci porta alla sua verità, facendoci credere falso ciò che è vero e vero ciò è falso.
Chi non pratica la carità e la bontà, è un brigante; se qualcuno ci fa sentire cattivi, sporchi, sbagliati, è un brigante; se ci fa sentire idioti, cretini, stupidi, è un brigante; se ci usa per il suo piacere fisico o per i suoi interessi, è un brigante; se ci ruba la gioia di vivere, la nostra personalità e la nostra vitalità, è un ladro.
La vita deve vivere. La vita vuole espandersi. La vita vuole dilatarsi. Noi siamo fatti per crescere sempre più, per realizzarci sempre più, per divenire sempre più ciò che Lui ha pensato per noi. Il pastore è appunto colui che fa rifiorire questa nostra vita; vuole che la nostra vita si espanda, cresca, si realizzi, fiorisca: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza».
Ogni volta che noi non ci difendiamo dai ladri, che non ci proteggiamo, che non lottiamo per noi stessi, che non combattiamo per la nostra vita, che permettiamo agli altri di fare di noi quello che vogliono, noi sviliamo noi stessi, ci trattiamo come se non avessimo valore, come se fossimo una nullità, un oggetto che tutti possono manipolare a loro piacimento.
In certi momenti invece bisogna alzare la voce, farsi forza e lottare con tutte le nostre forze. Dobbiamo difenderci da ladri e briganti, soprattutto se camuffati da pastori.
È un classico: se non lo custodiamo per bene, il nostro tesoro ci verrà inevitabilmente rubato. Ladri e briganti entreranno dentro di noi e calpesteranno tutto ciò che di bello trovano. Guardiamoci intorno, fratelli miei: quanti derubati ci sono nella nostra società; persone che hanno permesso al proprio partner, all’amico, a colui che esse ritenevano un pastore, un fratello, di rubare la loro anima, la loro vita soprannaturale, la loro vitalità, il loro slancio, la gioia di amare Gesù e di essere da lui riamati, il dono preziosissimo della loro vocazione, a cui un tempo erano così tanto legati!
È quindi soltanto su Gesù che dobbiamo contare: è di Lui solo che dobbiamo fidarci, perché è lui l’unica porta del nostro cuore, la porta che dobbiamo oltrepassare per entrare dentro noi stessi e per uscire incontro ai fratelli: perché chi è in contatto con sé stesso è in contatto anche con i fratelli, e chi incontra Gesù, incontra se stesso e gli altri.
Gesù è la porta per entrare in lui, per incontrarlo; ma nel momento stesso in cui lo incontro, egli mi manda fuori, mi fa diverso, mi trasforma, mi cambia, mi manda là dove c’è bisogno della mia presenza; mi apre porte di me che non conoscevo; mi spalanca tutte le stanze della mia anima e del mio cuore, mi apre orizzonti e incontri che prima neppure sognavo.
C’è un metodo per vedere se uno ha incontrato veramente Cristo? Sicuro: se uno rimane sempre lo stesso, insensibile verso gli altri, ottuso e incartapecorito, certamente non ha incontrato Cristo. Se uno è di vedute ristrette, egoistiche, e non va mai oltre se stesso, non ha incontrato Cristo. Se uno va regolarmente a Messa, segue attentamente la liturgia, si accosta alla Comunione, partecipa a tutte le funzioni, ma non è capace di perdonare al coniuge, ai figli, al confratello, alla consorella, agli amici, non ha incontrato Cristo. Quelli che si comportano in questo modo sono persone che vogliono entrare nell'ovile da un'altra porta che non è quella di Gesù e di questi il Signore dice: “Sono ladri e briganti; anche se sono Pastori emeriti, Dottori della legge, Teologi, Preti, Frati, Suore, Laici impegnati, sono tutti ladri e briganti!”.
Gesù dunque è la porta: e allora approfittane, esci passando attraverso di Lui, vai, apriti, incontra, impara, non fermarti, non temere, grida, annuncia la sua Parola: Vangelo vuol dire “buona nuova”. È buona proprio perché è sempre “nuova”, non è mai la stessa. Gesù fu ucciso non perché portò un messaggio buono, ma perché portò un messaggio nuovo. Il nuovo ci terrorizza, ci fa paura? Il nuovo ci toglie le sicurezze che avevamo prima? Vuol dire che non passiamo attraverso Cristo. Se uno non diventa nuovo, non si rinnova, è già vecchio in partenza, ha già smesso di vivere. Il Qohèlet dice: «Tutto invecchia». O ti rinnovi o muori. La gioventù non è un'età della vita, ma è una dimensione dell'animo. Ci sono giovani già vecchi e ci sono vecchi sempre giovani. Chi non si rinnova invecchia
[...impara, Mario!]
. Anche una Chiesa, anche una parrocchia, anche una comunità religiosa, possono diventare vecchie. Come? Se i loro componenti sono “vecchi”: se predicano cose che non interessano a nessuno, se non toccano l’anima delle persone, se non parlano al loro cuore, se danno soltanto risposte inutili a domande che nessuno pone, se non sanno rinnovarsi, se non sanno lasciarsi sollecitare dal presente; ecco, fratelli miei: allora abbiamo una chiesa, una parrocchia, una comunità religiosa vecchia, destinata ad estinguersi.
Bisogna lasciarsi interrogare dai tempi, dialogare, confrontarsi, saper cogliere i veri problemi, i veri bisogni del nostro tempo. Lo ha fatto Gesù, lo hanno fatto i Santi, dobbiamo farlo anche noi, con il loro stesso spirito, sempre e comunque passando per la famosa “porta”.
Dobbiamo metterci continuamente in gioco, fratelli miei, senza presunzione; dobbiamo avere il coraggio di far vivere in noi ciò che deve vivere, di far nascere ciò che deve nascere, ciò che è nuovo, con tutta la fatica e il travaglio che comporta. E dobbiamo avere il coraggio di far morire ciò che deve morire, di porre fine a ciò che è finito, di dichiarare concluso ciò che non ha più senso di esistere, ciò che rischia di frapporsi tra noi e il buon pastore, occludendo il passaggio attraverso la “Porta”. Ci vuole molto coraggio per entrare nella porta del tempo presente! Ma se entriamo attraverso di Lui, attraverso Cristo nostra Porta, allora tutto diventerà più semplice.
E saremo felici, fratelli: sì, perché allora ci sentiremo non pecoroni, non beoti, non rassegnati, non storditi dal delirio della contemporaneità, ma amati e chiamati per nome, portati a salvezza e libertà dall'Unico che ci conosce! Perché allora ci sentiremo veramente Chiesa di Dio, sogno del risorto, passione dell'incarnato, tormento dei discepoli! Ci sentiremo Chiesa, capace di Dio, chiamata a vegliare con sincero amore il gregge dell'umanità, guardiana non mercenaria, ansiosa di indicare il Cristo a chi cerca la vita in abbondanza!
In questa domenica siamo chiamati anche a pregare per i nostri pastori: il papa, i vescovi, i sacerdoti: perché possano essere sempre di più a servizio della Chiesa, avendo come modello Gesù che ha dato la sua vita per tutti. Stiamo loro vicini con il nostro affetto, con la nostra preghiera, sapendo che, come noi, anche loro sono persone in cammino. Preghiamo poi in particolare per le vocazioni di speciale consacrazione a Dio: il Signore tocchi i cuori dei giovani perché sappiano ascoltare e rispondere con generosità alla Sua chiamata. Amen.



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