martedì 6 settembre 2011

11 Settembre 2011 – XXIV Domenica del Tempo Ordinario

«Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?».
Il Vangelo di oggi continua a proporci insegnamenti per la nostra vita “comunitaria”. Domenica scorsa ci ha dimostrato quanto sia importante in una comunità ascoltare le ragioni del proprio fratello, rapportarsi con lui; quanto sia importante aprirgli il nostro cuore e accogliere il suo. Oggi ci offre un ulteriore approfondimento del tema: uno dei modi più efficaci per esprimere l'amore, è il perdono.
A Pietro, come al solito, la teoria non basta, egli vuol saperne di più, avere certezze, vuol vederci chiaro, nero su bianco. «Quante volte devo perdonare?». Egli ha capito perfettamente che bisogna perdonare: ma quali sono i limiti di questo perdono? Egli pensa di mettersi in linea con la predicazione di Gesù, andando oltre le tre, quattro volte, previste dall’antica legge come per es. in Amos (2,4) e Giobbe (33,29) e, per tenersi sul sicuro, propone “sette volte”. Ma la risposta di Gesù va ben oltre: rovesciando il canto di Lamech che prevedeva un crescendo di violenza scatenata dal gesto di Caino: «Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette…» (Gn 4,24), Gesù fa capire quali impensabili risorse di misericordia siano legate all’avvento del suo Regno: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette». In altre parole, caro Pietro, non hai scampo: devi perdonare sempre! Perché? Semplice: il perdono non è frutto di un gesto eroico che nasce dal grado di bontà del discepolo, ma è la logica conseguenza di chi si rende conto di quanto perdono, lui per primo, abbia ricevuto dal Signore... Chi si guarda un po’ dentro, e vede quanto male è stato perdonato a lui, non può esimersi dal perdonare a sua volta. Quindi l'unica misura del perdono è perdonare sempre, senza misura e senza calcoli, perché così fa Dio con noi. La nuova giustizia che Gesù introduce nel Regno, infatti, non è quella che ristabilisce la parità, in base alla regola “chi sbaglia paga”; la sua è una giustizia superiore, è la giustizia propria di chi ama senza limiti. Egli sostituisce la giustizia della legge che uccide, con la sua, quella dello Spirito che dona vita.
Perdono incondizionato, dunque. Ma cos'è il perdono? È possibile il perdono? Come si giustifica? Come viverlo? Cercherò di dare una risposta condivisibile a tali quesiti.
Per ciascuno di noi è una cosa naturale, istintiva, reagire alle offese degli altri, offenderci, rimanerci male e in qualche modo vendicarci, anche se si tratta di piccole cose. Se poi subiamo contrasti più gravi, torti o azioni cattive, lesioni alla nostra dignità, alla salute o alla vita nostra e dei nostri cari, sentiamo non solo il bisogno e il diritto di far valere le nostre ragioni (e fin qui può andare bene), ma di affrontare con altrettanta durezza e cattiveria il responsabile, per fargli pagare ad ogni costo quel “male” che abbiamo ricevuto. Ma è una soluzione che non paga. Perché ci fa cadere inevitabilmente in quel meccanismo in cui il male richiama altro male, la violenza (di qualunque tipo) richiama e moltiplica violenza; in questo modo non plachiamo certamente l’odio, ma lo alimentiamo facendolo crescere sempre più; inoltre l’idea della vendetta ci illude, ci corrode l’anima, inducendoci a pensare che è lei, la ritorsione, a rimettere le cose al loro posto; ma il risultato è ingannevole perché ci fa vivere nel tormento, con l'inferno nel cuore. Possiamo cogliere tanti piccoli esempi intorno a noi: vicini di casa che hanno litigato per un nonnulla e lasciano passare anni e decenni senza riprendere un dialogo, una parola, un saluto; genitori e figli che interrompono ogni rapporto per cause spesso futili e banali; fedeli che collaborano nella parrocchia, impegnati nella chiesa, che si dilaniano l’anima per immaginari soprusi o per sgarbi di “lesa maestà” subiti da altri collaboratori; confratelli e consorelle in grave disaccordo che, pur assistendo quotidianamente all’Eucaristia, al momento della pace si riducono alla finzione, lasciando intatto nell’intimo del loro cuore il sentimento corrosivo del rancore, chiudendosi in maniera totale all’invito di Gesù di usare amore e misericordia. Ciascuno rimane orgogliosamente arroccato sulle proprie posizioni, su versanti diametralmente opposti. Eppure il perdono è l'unica strada, umana e cristiana, che consente, cristianamente e umanamente, di condurre una vita vera, autentica, serena e felice. Abbiamo anche tanti esempi di situazioni umanamente molto più dolorose e strazianti: quando per esempio qualcuno ti porta via il marito o la moglie e rovina la tua di vita e quella della tua famiglia, dei tuoi figli; quando qualcuno con grande superficialità, anche se involontariamente, causa la morte di una persona cara. Cosa fare allora? Come gestire queste situazioni gravissime? Come continuare a vivere, dopo aver subito azioni così distruttive? Ebbene, fratelli, non ci sono appelli, non ci sono eccezioni: anche in questi casi dobbiamo perdonare. Dobbiamo farlo noi per primi e indurre anche gli altri, che ci sono vicini, a farlo. Sembra impossibile, non è vero? Certo, umanamente parlando, visto dall’esterno, il perdono può sembrare un gesto eroico, irrazionale. Ma a ben vedere, non è altro che un gesto di equità, un concedere all’altro lo stesso beneficio che noi abbiamo già ricevuto in larghissima misura. Difficile da praticare, questo si. Ma Gesù ci dimostra continuamente che tutto quello che gli uomini non riescono a fare da soli, lo possono sempre fare con il Suo aiuto. Per questo dobbiamo chiedergli tutta la forza di cui abbiamo bisogno. Dobbiamo aprirci, anche se è difficile, alla rassegnazione, aprirci alla pace del cuore. Dobbiamo insomma aprirci a nuove dimensioni che rasentano il “divino”, diventando capaci di lottare contro l'odio, di santificare il dolore, di ritrovare la pace, di vivere, in una parola, il perdono. Gesù lo lascia intendere con estrema chiarezza: “perdonare” deve essere un distintivo per quanti vogliono seguirlo sul Suo cammino.
Come ho detto, molti pensano che il perdono sia un sentimento che nasce dal cuore, un gesto spontaneo di chi è già avanti nel difficile cammino della perfezione. No, fratelli. Il perdono è un atto di volontà che tutti possono e devono fare: un impegno forte, che deve regolamentare la nostra vita, il nostro modo di pensare, il nostro relazionarci, il nostro vivere da cristiani. Non è una cosa naturale, spontanea, semplice; ma è un gesto contro natura, irrazionale, incomprensibile: irrazionale e incomprensibile, del resto, come lo è tutto il messaggio evangelico di Gesù. Egli, perdonando e scusando contro ogni logica umana i suoi torturatori, i suoi carnefici, ci ha lasciato il più sublime esempio di perdono: le sue non sono quindi raccomandazioni astratte, ma sono vita vissuta, scuola pratica da seguire e basta.
Il cristiano è pertanto chiamato a perdonare, sempre e in ogni caso, proprio perché Dio lo ha sempre fatto con lui e continua a farlo. La sproporzione del debito dei due servi, magistralmente sottolineata nella parabola di oggi (migliaia e migliaia di talenti contro pochi denari) sta ad indicare l’enorme divario che esiste fra il perdono di Dio e il nostro. Ecco, fratelli: noi siamo chiamati a perdonare perché siamo dei “perdonati”, perché noi per primi abbiamo fatto e facciamo esperienza continua del gratuito perdono divino e non certo perché siamo più buoni degli altri. Cosa che difficilmente riusciamo a capire, perché spesso siamo convinti che se perdoniamo, lo facciamo perché in fondo in fondo siamo migliori degli altri, migliori sicuramente di quei “disgraziati” che ci hanno offeso. Non dobbiamo perdonare per dimostrare qualcosa a qualcuno, fratelli; ma solo perché noi per primi abbiamo bisogno assoluto di perdono, e perché portare rancore, fa più male a noi che agli altri... Siamo poi chiamati a farlo gratuitamente, senza pensare ad un qualche tornaconto, magari sperando che il nostro gesto cambi l'atteggiamento di chi ci ha offeso. Sicuramente il nostro perdonare, come quello di Gesù, rischierà di essere ridicolizzato dalla gente, forse ci verrà rinfacciato come un segno di debolezza, di meschinità. Poco importa: chi ha incontrato sulla sua strada il grande perdono di Dio, non può più fare a meno di guardare all'altro, al suo fratello, senza comprensione, senza amore e verità.
Con questo, fratelli, non voglio dire che il perdono debba cancellare, oltre ai torti e alle ingiustizie subiti, anche il loro ricordo; sarebbe umanamente impossibile. Ma il ricordo deve rinvigorire e riconfermare il nostro impegno, deve essere motivo di gratitudine verso quel Dio, che per la sua infinita bontà ci rinnova quotidianamente il suo di perdono. Molti dicono: “Vorrei perdonare, ma non ci riesco. Non riesco a dimenticare; appena vedo quella persona, il sangue mi torna a ribollire. Non posso farlo!”. Beh, provare simili sentimenti, come ho detto, è naturale, è umano; ma a queste persone dobbiamo dire: “Perdona, perdona sempre e comunque: l'importante non è ciò che senti, ma ciò che tu vuoi nel tuo cuore. Perché se tu vuoi perdonare, se lo desideri, hai già perdonato”.
E allora: come figli di Dio, dobbiamo avere verso i nostri fratelli gli stessi sentimenti di misericordia che Dio ha usato con noi: in altre parole, grazie al nostro perdono i torti e le ingiustizie che sopportiamo ci fanno diventare, paradossalmente, come Dio; il male che noi facciamo agli altri, diventa perdono di Dio a noi; il male che gli altri fanno a noi, diventa perdono nostro, che ci rende simili a Dio!
È in questo senso che dobbiamo leggere il famoso detto di Paolo: «dove abbonda il peccato, sovrabbonda la grazia!» (Rm 5,20). Il perdono che riceviamo e che accordiamo, da peccatori perdonati, è esattamente il “respiro di Dio”, quello Spirito divino che diventa nostra vita. Del resto possiamo definire una comunità “osservante”, “santa”, non perché i suoi membri sono perfetti, perché non sbagliano mai o non offendono gli altri; ma perché tutti si sentono dei “perdonati” e perdonano di cuore amando gli altri. Il male reciproco che inevitabilmente si fanno, non costituisce quindi un elemento dirompente, ma nel reciproco perdono diventa il collante che li unisce saldamente in Cristo.
Davanti a Dio, fratelli miei, noi tutti siamo debitori, eccome! Tutti siamo peccatori, assolutamente insolvibili; mai, in tutta la nostra vita, potremo rendergli l’amore che gli è dovuto, quell’amore che invece noi, con tanta disinvoltura, gli sottraiamo continuamente con i nostri peccati. Eppure egli è sempre pronto a condonarci tutto, a perdonarci senza limiti, indicandoci la strada del perdono che dobbiamo percorrere nei confronti dei nostri fratelli.
E nella parabola di oggi, Gesù ci offre proprio una dimostrazione pratica dei suoi insegnamenti, attraverso le vicissitudini dei due servi: riconsideriamola brevemente.
Il primo servo doveva al suo re una cifra enorme, “diecimila talenti”, una somma che non avrebbe mai potuto pagare al suo padrone: giusto per avere un’idea, un talento era pari alla paga di seimila giornate lavorative; diecimila talenti corrispondevano quindi a sessanta milioni di paghe quotidiane: una somma che per restituirla, quel servo avrebbe dovuto lavorare duecentomila anni senza mangiare. Un’assurdità. Consapevole di questo, egli tenta il tutto per tutto: si getta a terra e supplica tra le lacrime il suo creditore. E il re prova compassione per lui; si immedesima talmente nella sua angoscia, nella sua disperazione, al punto da considerarle più importanti della somma ingente che quel derelitto gli doveva. E in uno slancio di misericordia gli apre il suo cuore e gli condona tutto il debito. Un condono tombale, senza penalità alcuna. 
Bene: quello stesso servo, cui era stato condonato il suo mostruoso debito, “appena uscito”, trova un suo pari che gli doveva pochi denari... “Appena uscito”, fratelli; non una settimana dopo, non il giorno dopo, non un'ora dopo. “Appena uscito”, quindi ancora emozionatissimo per quanto gli era capitato, ancora frastornato dalla gioia irrefrenabile per aver scampato un grave pericolo, per essere stato liberato da un incubo insopportabile: lui, che aveva appena fatta esperienza della grandissima misericordia regale, senza alcuna esitazione, sopraffatto dall’ira, prende il suo compagno per il collo e lo strangola gridando: “rendimi ciò che mi devi”; una inezia, poche monete rispetto ai miliardi che gli erano stati appena condonati! E senza pietà alcuna, lo fa gettare in prigione.
Che dire di questo servo, che così tanto ci assomiglia? Senza dubbio non è l'esempio che dobbiamo seguire! Certo, agli occhi del mondo egli si comporta nel rispetto del diritto e della giustizia. Fa cioè valere i suoi diritti, e quindi è nel giusto. Si, fratelli, è nel giusto, ma è un uomo senza pietà. Sarà anche onesto di fronte alla legge, ma è un uomo decisamente cattivo. Non ha saputo riconoscere al compagno, in una situazione decisamente meno impegnativa per lui, la stessa amicizia, la stessa misericordia che lui invece aveva appena sperimentato in misura clamorosa.
Purtroppo, fratelli, anche a noi può capitare spesso, e con facilità, di essere giusti ma spietati, onesti ma cattivi!
Non basta la giustizia umana per essere uomini superiori; e meno ancora per essere figli di Dio. Dobbiamo capire che il perdono guarisce, matura e fortifica chi lo esercita, cioè noi, non coloro che lo ricevono; e che quindi perdonando facciamo soprattutto i nostri interessi!
E concludo: Gesù suggella il suo insegnamento, proponendoci una pietà, una misericordia, un perdono razionalmente incomprensibili quanto si vuole, ma di una coerenza estremamente semplice: «Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?»
Due sono dunque i motivi per cui dobbiamo avere pietà e perdonare: per conquistare il cuore di Dio e per introdurre nell’apparente equilibrio di questo nostro mondo garantista, il “disordine divino”, scompaginante, del suo messaggio d’amore. E dobbiamo farlo col cuore. È difficilissimo perdonare veramente di cuore: comporta un profondo atto di fede, un dare fiducia all'altro senza guardare al passato, mirando solo al futuro; esattamente come fa Dio con noi: Si, fratelli: Dio ci perdona per un atto di fede, perché crede in noi, si fida di noi! Egli è sicuro che perdonandoci, investe su di noi, sul nostro cammino di perfezione. Non vi sembra meraviglioso tutto questo? Se solo sapessimo, se capissimo di quanto amore il Signore è capace di colmarci! Se prendessimo più seriamente l’insegnamento di questa pagina del Vangelo! Allora forse riusciremmo a costruire veramente delle comunità, una Chiesa, di perdonati!
Ecco, preghiamo proprio per questo: che le nostre comunità cristiane diventino luogo di comunione, di accoglienza, di perdono dato e ricevuto; perché tutti diventino testimoni credibili dell'amore infinito e gratuito di Dio. Amen.


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