venerdì 25 novembre 2011

27 Novembre 2011 – I Domenica di Avvento - B

«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento…».
Dio vuole incontrarsi con l’uomo. È il motivo chiave di queste domeniche che precedono il Natale, e che fa da filo conduttore per tutto il periodo d’Avvento. “Avvento” deriva infatti dal latino “ad-venio” che letteralmente significa: “Ti vengo incontro”.
Il vangelo di questa prima domenica, ci vuol ricordare appunto la “venuta” di Gesù: non tanto quella storica, verificatasi oltre duemila anni fa in quel di Betlemme, e neppure quella finale, la “parusia”; ma quella privata, la venuta personale, quella che farà per ciascuno di noi, quando deciderà di prelevarci da questo mondo. È la venuta che decreterà il nostro passaggio da questa vita a quella eterna, cui nessuno può sottrarsi, e che ci viene presentata oggi come il “ritorno del padrone”.
Un ritorno assolutamente certo, di cui però ignoriamo sia la data che l’ora. È questa incertezza, quindi, che ci impone una costante preparazione: dobbiamo cioè essere sempre pronti ad accogliere il ritorno di Gesù, in qualunque momento della nostra vita. Non possiamo correre il rischio di farci sorprendere impreparati, di farci cogliere di sorpresa: anche se qualunque evento della nostra vita, indipendente dalla nostra volontà, implica sempre una qualche “sorpresa”. Tutto ciò che ci viene incontro d’improvviso, anche se pensato e aspettato, non è mai come noi ce lo siamo immaginato, pianificato. Ha sempre qualche margine di imprevedibilità che ci sfugge, che va oltre. Bene: la venuta di Dio per noi, quella che stabilisce la nostra “fine”, non deve assolutamente essere un finale a “sorpresa!”. Richiede tassativamente del “nostro”.
Questo “ad-venio”, questo “ti vengo incontro” non si riferisce pertanto alla sola disponibilità di Gesù: anche noi siamo invitati, siamo sollecitati a muoverci nella sua direzione, a preparare il nostro cammino per raggiungerlo all’appuntamento finale. E come? Dobbiamo prima di tutto attutire l’effetto “sorpresa”: non possiamo cioè pretendere di essere gli unici artefici del nostro futuro, del nostro domani; dobbiamo permettere che ci sia anche Dio ad occuparsi della nostra vita, dobbiamo lasciargli volutamente un po’ di spazio, perché sia Lui a condurci, a suggerirci i comportamenti idonei. Inutile quindi voler pianificare ad ogni costo l’ignoto, finendo magari per impegnare il nostro tempo, la nostra volontà, le nostre facoltà, in cose superflue, inutili, transitorie, trascurando di proposito quelle importanti, quelle essenziali, quelle legate appunto alla imponderabilità e all’effetto sorpresa della sua venuta.
La nostra vita cristiana deve essere sì un’av-ventura: un cammino verso qualcuno che non conosciamo: ma deve essere anche un andare incontro prudente, ragionato, ponderato; dobbiamo arrivare assolutamente preparati a questo “rendez vous” finale, a questo “summit” riservatissimo e segretissimo tra Lui e noi. Io e Lui, faccia a faccia, completamente soli.
È difficile, fratelli, pensare a queste cose. È innaturale: chiudere la nostra esistenza, troncare improvvisamente la nostra vita, abbandonare i nostri affetti, i nostri cari, rinunciare al compimento di tutti i nostri progetti, prospettarci nella mente l’istante ultimo in cui, volenti o nolenti, saremo costretti a passare definitivamente la mano. È impensabile. È questo il motivo per cui molte persone non pensano mai a questo momento, preferiscono non approfondire la loro ricerca interiore: rimangono sempre a livelli superficiali: “E se poi scopro di aver vissuto a vuoto, di non aver concluso granché, di dover per questo cambiare radicalmente vita, di dover rinunciare ai piaceri che allietano i miei giorni?”. Troppa fatica; non vogliono sorprese, vogliono soltanto certezze, soltanto le “loro” certezze: e non si accorgono che finiranno col dover affrontare solo “sorprese”!
Come deve essere allora la nostra “attesa”? Ce lo insegna il Vangelo: deve essere vigile; un’attesa paziente; un’attesa proficua, mirata, cosciente.
Del resto tutti gli avvenimenti di questo mondo hanno un tempo di attesa, di germinazione, di incubazione, di fermentazione. Prima del loro tempo le cose non nascono: per fare un figlio ci vogliono nove mesi; prima che arrivi la primavera, dobbiamo passare attraverso il freddo e il niente dell’inverno; perché arrivi la luce del giorno, ci vuole prima il buio della notte.
L’attesa è il tempo in cui noi lavoriamo, ci diamo da fare, operiamo; indipendentemente dal fatto che tutto sembri fermo, che niente sembri nascere o crescere: “Perché mai dobbiamo insistere così a vuoto, senza poter cogliere risultati immediati ed evidenti?”; ma è nell’attesa che capiremo come insistendo su di una questione, perseverando, non solo la risolveremo, ma ci trasformeremo, impareremo a vivere, ad essere diversi.
La gente invece si stanca subito: vuole risultati, vuole successi immediati, vuole traguardi facili. Quando stanno per iniziare un cammino spirituale, immancabilmente dicono: “Ci vuole troppo tempo, è tutto troppo incerto, i risultati non sono sicuri”. E non capiscono che bisogna invece lavorare a lungo, impegnarsi molto, anche se sembra che non succeda proprio nulla. Il cammino spirituale è un cammino in cui effettivamente non succede mai niente di sensazionale, di strepitoso, di eclatante; ma con pazienza, senza chiasso, quasi per miracolo, improvvisamente qualcosa si muove, qualcosa di nuovo s’innesca nella nostra vita e pian piano tutto cambia radicalmente. Non è un miracolo fratelli: è solo il frutto di un lungo, silenzioso e costante lavoro, di una umile e operosa fiducia in Lui, nell’aver vissuto proficuamente il suo “avvento”. Perché l’attesa è tenacia: è rimanere ancorati nella certezza che la Sua semente è la migliore, che il calore del Suo amore è decisivo per la nascita e lo sviluppo, e che il frutto arriverà sicuramente, in ogni caso.
È la perseveranza, fratelli, che fa la differenza. Una virtù oggi molto trascurata, obsoleta, di altri tempi. Oggi le mode cambiano e noi con esse. Oggi tutto è in divenire, cangiante; se Gesù è “fermo” a duemila anni fa, che possiamo farci? Si adatti anche Lui ai tempi, La Parola ci segua: si allinei anch’essa con le nostre esigenze, si metta al nostro passo, e noi la seguiremo. Illusi! Pensiamo di cambiare il mondo? È il mondo che cambia noi, fratelli, questa è la verità.
Continuiamo invece a lavorare in silenzio, ad arare, a girare la terra, a concimare, a togliere i sassi: e un giorno vedremo finalmente fiorire qualcosa. La vita è tempo di attesa, è il tempo in cui dobbiamo prepararci ad accogliere Colui che verrà. Prepariamoci con cura, lasciamoci forgiare dalla sua Parola, aspettiamo: perché è nell’attesa che la nostra mente, le nostre capacità, le nostre forze si formano, si preparano alla Sua venuta.
Il vangelo di oggi ci ripete proprio questo. Dobbiamo vegliare, aspettare in piedi il ritorno del padrone. L’invito è chiaro per tutti: ognuno deve rimanere vigile, sveglio, non deve prendere sonno. Perché questo è il grande pericolo della vita: prendere sonno, vegetare, sopravvivere.
“Sii presente con la mente, non lasciarla incustodita, non essere altrove. Prega e canta insieme agli altri”, raccomandava l’anziano Maestro a noi piccoli “monaci” adolescenti, per combattere il sonno, grande nemico della preghiera notturna.
È l’invito che tutti dobbiamo accogliere: Preghiamo, rimaniamo svegli, desti, apriamo il nostro cuore a Dio; innalziamo i nostri lamenti, i nostri inni, la nostra rabbia e il nostro stupore a Lui. Facciamolo con la pienezza dell’anima e con tutta la forza del nostro cuore. È così che vivremo l’avvento della nostra vita, è così che veglieremo l’arrivo del padrone.
Non rimaniamo assenti a noi stessi: quando guardiamo, osserviamo bene, entriamo in ciò che vediamo, emozioniamoci, lasciamoci toccare da ciò che vediamo. E quando ascoltiamo, apriamo le orecchie, prestiamo attenzione; e quando piangiamo, piangiamo veramente. Siamo noi stessi in ogni istante, sempre lì, presenti dove siamo.
Lo dico anche a te, che in questo momento stai leggendo queste semplici considerazioni; rimani qui! Non scappare. Non correre via. Vivi, assapora, senti questo momento, anche se lo ritieni poca cosa. Capita a tutti di essere materialmente presenti in un posto, ma con la mente, con i pensieri, stare già altrove. È normale, fratelli: ma,e se Dio ci aspettasse proprio qui, in queste righe?
Prendiamo i nostri tempi, le nostre pause di riflessione. Non assecondiamo la nostra mente, che è in continuo movimento, che ci porta sempre in altri posti, in altri pensieri, in altri luoghi, in altri problemi. È sempre altrove. E se noi la seguiamo continuamente, in altre realtà, in altri mondi, in quale mondo finiremo a vivere noi?
Rimaniamo vivi, fratelli. Che non ci succeda di dormire nella vita, di “tirare avanti”, di vegetare. Che non ci succeda che il cuore batta soltanto perché è un muscolo o che la bocca si apra solo perché dobbiamo mangiare. Una vita da morti non si può chiamare vita.
L’invito del vangelo è forte: “Vegliate”, “state in guardia”. Fate come le sentinelle o i guardiani che prevengono possibili intrusioni. Nella vita normale, siamo pieni di allarmi, siamo circondati da telecamere, circondati da custodi, stiamo in allerta su tutto e su tutti; possibile che ci lasciamo sorprendere proprio sulle cose dell’anima?
Cerchiamo di approfondire anche altri significati di quel “vegliate”, ripetuto con tanta insistenza dal Vangelo odierno:
1. “Stai attendo a quando Lui passa”.
Vegliare non vuol dire smettere di lavorare, far finta di niente, tirare avanti aspettando che “qualcosa succeda”: se non facciamo niente, non succederà mai niente; vegliare vuol dire cogliere oggi, nel presente, la voce dell’anima che ci chiama. Vegliare vuol dire non poltrire, non sonnecchiare. Quando Dio, quando la Vita passa, bisogna seguirla. Quando la Vita chiama bisogna rispondere, bisogna andare, costi quel che costi, anche se si ha paura, anche se non si capisce, anche se sembra strano, anche se non siamo d’accordo. Venne un Dio bambino: e molti dissero: “Dio non è lui, non è qui! Tutto questo non c’entra con Lui”. E lo rifiutarono. E si misero “fuori”. Persero l’occasione di riconoscerlo al suo passaggio.
2. “Stai attento a quello che fai passare dentro di te”.
Cosa entra nel nostro cuore? Cosa entra nella nostra anima? Quando andiamo al supermercato per la spesa, stiamo molto attenti al costo del prodotto, alla sua origine, da chi è fatto, dove è confezionato, agli ingredienti, alla scadenza…. Bene: facciamo un sacco di controlli per quello che è destinato ad entrare nel nostro corpo, e poi non facciamo niente per quello che entra nella nostra anima! Non lasciamoci fuorviare; come un buon guardiano della casa, osserviamo attentamente che tipo di pensieri vogliono introdursi nella nostra anima, nel nostro cuore: perché i buoni pensieri ci rendono buoni, mentre quelli cattivi ci rendono malvagi; come siamo dentro, fratelli, così siamo fuori. Cattivi dentro, cattivi fuori. Custodiamo attentamente i nostri “ingressi”: occhi, orecchi, naso, bocca, tatto ecc.! Non comportiamoci da incoscienti. Azioniamo i nostri “buttafuori”.
Spesso i pensieri più velenosi, si affacciano travestiti da buone ispirazioni: dobbiamo fare molta attenzione, fratelli, perché se imprudentemente lasciamo loro spazio, rischiamo di ammorbare completamente la nostra anima. Lo stesso vale anche per le persone, per le amicizie. A volte capita di affidarci a persone apparentemente amabili, disponibili e generose, che poi si rivelano completamente l’opposto: persone che finiscono per essere sempre e soltanto negative, logorroiche, che criticano e sparlano continuamente di tutto e di tutti. Che facciamo? Beh, siamo noi i padroni, siamo noi che dobbiamo avere la massima prudenza nel consentire l’ingresso di chicchessia nell’intimo della nostra casa. Siamo noi che dobbiamo scegliere con oculatezza chi far entrare e chi lasciare fuori; soprattutto siamo noi che dobbiamo sbattere fuori chi si è introdotto con l’inganno. Siamo obbligati a farlo, per il nostro bene.
3. “Stai a contatto con la realtà”.
Non cedere alle illusioni. Non volerti lanciare in voli pindarici; conosciamo tutti cosa ci aspetta poi. Non contrabbandiamo per misticismo semplici devozioni a sfondo maniacale, ripetitive e ossessionanti. Il mistico non è uno sprovveduto, con la testa tra le nuvole, un maniaco che vuol farsi accreditare visioni soprannaturali, catalessi celestiali, soprattutto in presenza di testimoni; il mistico è uno molto concreto, uno che è molto “vigile”, uno che conosce bene con chi ha a che fare; è uno che non dorme sulle cose, che non si inganna sulle motivazioni del suo agire; uno che ama perdutamente, conoscendo bene il destinatario del suo amore; uno che vede le cose che lo riguardano esattamente come sono, con tutti i loro limiti e difetti, uno insomma che ha i piedi ben piantati per terra.
Non illudiamoci dicendo: “Ma col tempo le cose cambieranno”. In genere il tempo passa e le cose restano come sono! Il tempo da solo non cambia nulla, scorre soltanto. “Quando sarò più libero, allora mi dedicherò a Dio”: sono parole senza senso; non c’è bisogno di essere liberi da nulla per amare Dio; serve solo volerlo incontrare, volerlo vedere, saperlo riconoscere nel prossimo, assaporarlo, viverlo nel presente. Se non lo amiamo oggi, come pensiamo di farlo domani? Non cambierà nulla, fratelli. Sono solo fantasie e stupidi alibi per giustificare il nostro non far nulla. Soprattutto non illudiamoci: non lasciamoci cullare dalle mille illusioni del nostro vivere da mediocri. A volte ci illudiamo pensando che l’amore basti, che con l’amore si vada dappertutto. No, non basta; se non c’è convinzione, se non c’è la volontà di cambiare, di mettersi in discussione, di evolvere, di migliorare, di essere sempre più onesti e sinceri con noi stessi e con gli altri, anche con l’amore più grande siamo destinati a fare ben poca strada.
Altra illusione è quella di pensare di non essere poi così tanto cattivi, di essere quantomeno migliori di tanti altri, di essere tutto sommato dei buoni, di essere dei “quasi a posto”, bisognosi al più di qualche ritocchino ogni tanto! Facciamo attenzione, fratelli miei, non dimentichiamo che Gesù, con questi “quasi perfetti”, ebbe i suoi problemi più grossi. Fu ucciso proprio dalle persone che pensavano di essere buone, brave, senza problemi e tanto religiose. No, fratelli: non creiamoci ansie inutili, tranquilli: non siamo assolutamente migliori di nessun altro. Convincersi di esserlo, è soltanto superbia.
Evitiamo anche di illuderci pensando che per non avere problemi, sia sufficiente non considerarli, non farci caso; tanto, come vengono, così se ne vanno: “chiodo schiaccia chiodo”! Niente di più falso, fratelli: chiodo più chiodo, fanno due chiodi con due buchi distinti che non scacciano un bel niente!
Altra illusione: siamo convinti di fare molta strada soltanto perché ci agitiamo molto, perché siamo sempre in movimento. Ma anche chi sta per annegare in mare si agita tanto, si sbraccia, ma ciò non gli basta per stare a galla, per mettersi in salvo.
Sono solo alcune delle tante illusioni che cercano di sedurci, fratelli: sono inutili tentativi di aggrapparci, per non cadere, a qualcosa che non c’è, che non esiste che, anche se ci fosse, non può tenere, perché non ha consistenza alcuna. La più grande illusione è rifiutarsi di vedere ciò che invece è necessario vedere, perché se non guardiamo tutta la nostra bella costruzione prima o poi crollerà (illusione, da ludere, giocare, divertirsi: il bel gioco è finito)
Quando ero giovane studente, mi capitava di incrociare spesso, anche nello stesso giorno, un monaco molto anziano e sofferente, che invariabilmente ricambiava il mio saluto sussurrandomi: “Sta’ in campana, Mario!”. Nient’altro. Solo queste parole. Una “perla” della sua saggezza, con la quale evidentemente voleva mettermi in guardia dalle illusioni giovanili: “Svegliati, non dormire, stai attento, apri gli occhi!”. Una raccomandazione che ancora oggi mi risuona severa nella mente. 
E chiudo con una storiella che può far sorridere ma che è anche molto indicativa su come anche noi a volte rischiamo di comportarci. «Si incontrano due tipi: “Henry, come sei cambiato! Eri tanto alto, e adesso sei così basso! Eri così robusto, e ora sei magrissimo! Eri tanto biondo, e ora sei castano. Cosa ti è successo, Henry?”. E l’altro: “Non sono Henry, sono John!”. “Oddio, hai cambiato anche il nome!”».
Fratelli miei, non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere!
Bene: il vangelo di oggi ripete anche a noi: “Sta’ in campana”. Sì, fratelli: stiamo tutti in campana, in ogni momento; apriamo bene gli occhi, perché non succeda che Colui che viene all’improvviso “non ci trovi addormentati”.
«Gesù, fammi parlare sempre come se fosse l’ultima parola che dico. Fammi agire sempre come se fosse l’ultima azione che faccio. Fammi soffrire sempre come se fosse l’ultima sofferenza che ho da offrirti. Fammi pregare sempre come se fosse l’ultima possibilità, che ho qui in terra, di parlare con te». Amen.


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