mercoledì 30 novembre 2011

4 Dicembre 2011 – II Domenica di Avvento – Anno B

«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri, vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati».
Oggi il vangelo si concentra sulla figura di Giovanni Battista, il cui compito è quello di preparare la strada alla venuta del Signore. Marco ci offre un Giovanni Battista singolare, vestito secondo l’usanza di quei profeti che esercitavano la loro missione ai margini delle città, predicando conversione e penitenza. Il suo vestito, come quello di Elia, è fatto di peli di cammello, con una cintura ai fianchi: una tenuta in netto contrasto con le prescrizioni giudaiche di purezza.
Il Battista non dà alcun valore al suo aspetto esteriore perché è coerente con se stesso: non ha bisogno né di vestiti, né di maschere sotto cui nascondersi. Certo, vestirsi bene è bello, vestirsi bene è segno di decoro e anche di amore per sé stessi, ma quando il vestirsi bene è più importante della persona o il vestirsi bene serve a nascondere ciò che siamo dentro, allora è schiavitù. Quegli uomini che sono sempre e solo vestiti bene, a puntino, “perfetti”, in genere sono uomini che si nascondono dietro il vestito. Valorizzano il contenente a discapito del contenuto. Mia nonna diceva sempre: “Ricordati che un asino vestito da re rimane sempre un asino”. Possiamo quindi metterci addosso tutto quello che vogliamo, ma il vestito non cambia in alcun modo quello che siamo dentro.
Giovanni Battista è consapevole di ciò: fa quello che deve fare e non guarda in faccia nessuno. È un uomo che non si lascia né condizionare né intimorire. Un uomo autonomo. Non segue nessuno e non gli interessa avere seguaci. Ha un modo diverso di concepire le cose: “Convertitevi e fatevi battezzare”. Questo è quello che conta. Punto.
Non si limita semplicemente a dire: “Fai questa cosa, comportati così, osserva questi precetti esteriori e poi sarai a posto (come facevano i farisei); ma ha una visione più ampia delle cose e del comportamento umano. Dice: “Se l’uomo non cambia dentro, nel suo intimo, nella sua anima, tutto il resto è inutile”.
Quando c’è un problema, l’importante non è trovare “una” risposta, ma “la” risposta; ciò che conta è avere la visione d’insieme del problema e affrontarlo alla radice.
Noi - soprattutto oggi - abbiamo bisogno di visioni d’insieme, di grandi visioni. Abbiamo bisogno di uomini che sappiano capire con il cuore, oltre che con la mente, qual è il bene vero per l’umanità. Abbiamo bisogno di uomini che ci insegnino a cercare, a perseguire e a lottare non solo per i nostri diritti ma per i diritti di tutti; non solo per il nostro bene ma per il bene di tutti. Difendere solo i propri diritti si chiama interesse; difendere i diritti di tutti si chiama giustizia; cercare solo il proprio bene si chiama narcisismo, egocentrismo; cercare il bene di tutti si chiama amore.
Oggi però la società ci insegna: “Trovati un bel lavoro e una bella posizione, pensa a te stesso, e gli altri si arrangino”. È pressoché impossibile sentirsi dire: “Ama tutti gli uomini, lotta per la giustizia, non pensare solo a te stesso. Non vedi quante ingiustizie ci sono nel mondo? Fa’ qualcosa”.
Tantissimi giovani non sanno cosa voglia dire battersi per qualcosa di grande, per dei valori universali, per qualcosa di trascendentale. Sanno sì lottare – quando hanno voglia di lottare - ma solo per la loro carriera, per le loro comodità, per il loro benessere, per il loro status symbol. Sono semplicemente degli “idioti”: dove, in greco, il termine “idiota” indica colui che è soltanto concentrato su di sé, che non sa vedere oltre il proprio tornaconto, oltre il proprio interesse, oltre il “se stesso”.
Oggi la quasi totalità delle persone vivono solo per il denaro, per il sesso, per la gloria, per il successo; è difficile trovare chi vive per la verità, chi vive per seguire la voce di Dio; persone insomma che facciano le cose in nome della propria coscienza, perché sono convinte che è giusto fare così, fedeli a se stesse e a Dio.
“Convertitevi e fatevi battezzare” ci grida Giovanni. “Convertirsi” vuol dire uscire appunto dal proprio egocentrismo, dal proprio infantilismo. Sì, perché siamo peggio dei bambini: avete presente? Il bambino rivendica tutto per sé; dice di ogni cosa: “È mio”. Tutto il mondo deve girare intorno a lui. Non esiste nient’altro che lui. I giocattoli sono tutti suoi. Il cibo è tutto suo. Tutti devono vivere in funzione sua.
Ecco: “convertirsi” significa diventare adulti, rendersi conto cioè che c’è un mondo più grande, più ampio, più vasto, che va oltre il nostro ridottissimo orizzonte. È accorgersi che non ci siamo solo noi al mondo. “Convertirsi” vuol dire appunto aprirsi a questo mondo, perché noi non siamo il mondo, ne facciamo solo parte; vuol dire anche combattere contro questo mondo, quando vuole imporsi con le sue discriminazioni. È capire che dobbiamo concorrere attivamente ad aiutare gli altri abitanti di questo mondo, perché sono nostri fratelli, anch'essi affamati di amore e di libertà.
Giovanni è l’icona della libertà, dell’uomo libero; non ha paura di stare da solo, di essere rifiutato, di non essere accettato. È un uomo autentico, vero, autonomo, uno che ha una strada davanti a sé e la percorre, senza esitazioni. Non gli interessa cosa diranno gli altri o se si attirerà le ire dei potenti (come Erode). Lui è portatore di un messaggio; ha un compito ben preciso: quello di essere “voce di uno che grida nel deserto”.
Egli sa bene che, nonostante siano in molti (tra cui Gesù) quelli che si fanno battezzare, la sua predicazione non avrà molto seguito, sarà disattesa, trascurata dai più; egli sa perfettamente di predicare “nel deserto”: e chi lo sente nel deserto? Chi può aderire al suo invito? Nessuno! Ciò nonostante egli non ha l’ansia dei risultati: “La gente non viene più in chiesa! Nessuno ascolta più! Ognuno si fa i fattacci suoi! Non è più come una volta! Che sto a fare qui? Perdo il mio tempo; non c’è più nessuno che voglia saperne di Dio!”.
Egli conosce i suoi limiti, che per lui non sono un problema. A lui importa svolgere a puntino, nel migliore dei modi, quello che è il suo compito, la sua missione, la sua “chiamata”: i frutti non dipendono da Lui: sarà un Altro che raccoglierà.
Anche per questo non ha molti riguardi: egli è un padre che sferza, che va giù dritto sapendo di far bene, un padre che lascia il segno, che ferisce in profondità:
“Raddrizzate i vostri sentieri, convertitevi, fatevi battezzare”. Cioè: “Svegliatevi una buona volta, non vedete che vi state prendendo in giro da soli? Vi state ingannando, state mentendo a voi stessi; siete degli “idioti”, state vivendo una vita completamente falsa! Cambiate, rinnovatevi!”.
Parole dure le sue, parole che scuotono gli ascoltatori di sempre: è un po’ come mollare loro dei sonori ceffoni. Ma ciò non significa che Giovanni Battista non ami i suoi discepoli: egli li “ama in maniera dura”: li provoca, li ferisce, mette ciascuno davanti alla propria verità; li costringe a prendersi le loro responsabilità; li avvisa che se non vogliono crescere, se non vogliono capire, si tagliano fuori da soli, rimangono lì, sono fuori.
Esattamente il contrario di quanto fa il mondo di oggi; la nostra società è falsamente buonista. È permissiva. È ipocrita, ingannatrice. Noi oggi abbiamo bisogno più che mai di tanti Giovanni Battista, di padri veri che ci mettano, senza tanti fronzoli, di fronte alle nostre responsabilità e che ci costringano a scegliere, a crescere, ad accettare le conseguenze del nostro vivere.
Sì, fratelli, perché la vita è nelle nostre mani e nelle nostre scelte. Smettiamola dunque di fare le vittime, gli incompresi, gli offesi! Diventiamo finalmente responsabili di noi stessi. “Raddrizza la tua vita e convertiti”: che vuol dire: “Rischia una buona volta!”. Rischia questa tua vita insignificante; osala, giocala, insegui un sogno, persegui un ideale, credi con tutto il cuore a qualcosa di grande. Rischiare vuol dire “trascendersi”, andare oltre noi stessi, non accettare di essere solo “quel che siamo”, sapendo bene che possiamo essere di più. Molto di più. “Convertirsi”, allora, vuol dire anche “rischiare”: Vuol dire lasciare qualcosa di certo, di acquisito, qualcosa che conosciamo, per andare verso qualcosa di nuovo, che non conosciamo, che va oltre la nostra esperienza. A noi invece piace vivere in una botte di ferro! Ci piace non correre rischi. Non avere imprevisti. La nostra società moderna si regge su grandi dispensatori di certezze: sullo stipendio fisso, sulla pensione, sulla previdenza, sulle assicurazioni, sugli allarmi che ci proteggono, sulle droghe e sui psicofarmaci che ci danno la felicità. Istituzioni, partiti, associazioni, media, tutti tentano di venderci sicurezze, garanzie, certezze. Ma la vita non è così; quantomeno la vita dell’anima. La “nostra” vita, quella che Dio ci ha dato in gestione, è ben altra cosa: dobbiamo perciò rompere con questa mentalità, dobbiamo fare un taglio netto.
Se il bambino non avesse il coraggio di lasciare le sue sicurezze di bambino, non diventerebbe un adolescente; e se l’adolescente non avesse a sua volta il coraggio di lasciare le sue sicurezze, non diventerebbe mai un adulto. Così, se noi non tronchiamo con le ideologie del mondo, del perenne “bambino”, se non abbandoniamo le sue idee, le sue convinzioni, le sue fissazioni, non capiremo mai chi siamo realmente, non diventeremo mai noi stessi, non potremo realizzare mai la nostra vita “divina”.
Rischiare tutto per Gesù, pertanto, è crearci nuove possibilità, è diventare più forti, diversi, diventare nuovi: è ri-nascere. Allora rischiare vuol dire affrontare i problemi che contano; vuol dire mettersi in discussione e vedere i punti di vista del fratello, dell’altro; vuol dire fare una cosa che non abbiamo mai fatta; una che abbiamo paura di fare; prendere noi l’iniziativa, correre il pericolo di essere ridicolizzati dal mondo, di essere rifiutati o esclusi. Noi dobbiamo credere: credere in Lui, anche se nessuno ci crede. Tutto questo è rischiare; è andare con fiducia verso la Luce; è andare senza esitazioni verso Colui che sappiamo essere la vera Sapienza, la Fiducia, l’Amore, Dio. Rischiare è provare a vivere senza farsi condizionare e imprigionare dalla paura del mondo. Perché questa paura uccide. Dio invece è Vita, è Spirito purificatore. Giovanni l’aveva capito molto bene allora, e questo continua a ripeterci oggi.
«Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
È il battesimo del fuoco dell’Amore. Vivere senza lasciarsi dominare dal mondo, impedire che la sua paura ci domini, ci uccida, impostare la nostra esistenza su altri parametri, ecco, questo è il battesimo del fuoco.
Il battesimo d’acqua è rendersi conto, prendere consapevolezza di essere figli di Dio. È il sentirsi amati da Lui, è il percepire la nostra dignità, le nostre potenzialità: “Io sono figlio dell’Altissimo”. Il battesimo d’acqua è sapere ciò che Dio ha fatto per noi, spontaneamente, senza alcun nostro coinvolgimento. È un dono gratuito. E tutti siamo stati battezzati nell’acqua.
Ma il vero battesimo, fratelli, è quello di fuoco; è, cioè, il modo con cui noi sviluppiamo il battesimo d’acqua, è il modo in cui noi viviamo concretamente la nostra vita, se, per dirla secondo il vangelo, ci lasciamo guidare e penetrare dallo Spirito.
Il battesimo di fuoco, è il battesimo dello Spirito, è diventare “altri”, è far crescere in noi quel progetto iniziale con cui la bontà di Dio ci ha segnati con il battesimo d’acqua. Dobbiamo diventare noi quel progetto, dobbiamo svilupparlo, completarlo, meritarlo. Non un dono, ma un guadagno sudato. È la nostra trasformazione. È raggiungere l’Amore, purificarci con il suo fuoco, toglierci le impurità (pur, in greco = fuoco); è partorirci tra fatiche, pianti, lotte e dolore; è insomma diventare a tutti gli effetti, meritatamente, quelli che eravamo già, figli di Dio; ma questa volta diventandolo di nostro, volendolo a tutti i costi, contro tutto e contro tutti.
Anche Gesù, dopo il suo battesimo d’acqua, avrà il suo battesimo di fuoco, nel deserto. Dovrà confrontarsi anch’Egli con il demonio, con la possibilità di rinunciare alla sua missione, di abdicare a ciò che era: il Figlio di Dio. Ed è proprio per diventare se stesso, che dovette diventare fino in fondo ciò che era: il Figlio di Dio.
Battesimo di fuoco è dunque far crescere in noi il Figlio dell’Uomo, è dare spazio (convertirsi, diventare nuovi) al Dio che è già in noi. È di fuoco, questo battesimo, perché “ci brucia”, ci saggia, ci prova, ci purifica, ci riscalda, ci illumina, ci appassiona, ci prende l’anima. È di fuoco perché è l’incontro con Dio, sono le nozze con Lui, è la percezione della nostra missione, è il lasciarsi condurre e trasformare da Lui: “Fidati di me e lasciati condurre dove io ti mostrerò. Lascia che io cresca e divenga in te”.
Questo è Natale, fratelli: far nascere, far crescere il Figlio di Dio dentro di noi. Dio nasce; la sua parte la fa sempre; continuamente e puntualmente. Ma noi, noi i suoi prescelti, gli permettiamo di crescere? Noi, la facciamo la nostra parte? Dio, di suo, nasce in tutti. Nasce, per esempio, in Erode ma non trova in lui possibilità di crescita perché è un uomo schiavo del potere e del piacere. Dio nasce in Giuda Iscariota, ma anche qui non ha spazio per svilupparsi, per crescere, perché Giuda è imprigionato dalla paura, e dall’avidità. Dio nasce in Pilato ma anche in lui non può crescere perché stritolato dalle sue manie di grandezza e di potere. Dio nasce nel giovane ricco, senza trovare neppure in lui possibilità di crescita, perché questa gli avrebbe comportato un radicale cambiamento di vita, lasciare le amicizie, i modi di pensare, di agire. Dio nasce nel fariseo ma anche in lui non può svilupparsi perché troppo preoccupato di non perdere la faccia davanti agli altri, di fare brutta figura, di non risultare gradito o di essere escluso.
Dio nasce proprio in tutti: ma sono pochi quelli che sono disposti a riceverlo e a consentirgli di crescere.
Ebbene fratelli: anche quest’anno Dio continua a nascere nel nostro cuore. Puntualmente come sempre. Gli faremo anche noi problema per svilupparsi? Lo soffocheremo ancora con la nostra indifferenza? Lo abortiremo con il nostro egoismo? Oppure in questo Natale, riusciremo finalmente a cambiare qualcosa di essenziale nella nostra vita? Coraggio, fratelli, guardiamoci bene dentro il cuore, dentro l’anima: sicuramente abbiamo ancora spazio per Gesù, per quello che di nuovo egli intende portarci. Non occupiamolo questo spazio, non sprechiamolo anche questa volta, non soffochiamolo, caricandolo di superfluo, di indifferenza, di ingratitudine. Prepariamoci dunque con grande cura e per tempo a questo importantissimo evento. Anzi, pensiamoci già da oggi. Da subito. Amen.


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