mercoledì 18 gennaio 2012

22 Gennaio 2012 – III Domenica del Tempo Ordinario

«Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono».
Anche oggi parliamo di “chiamata”, di vocazione. Gesù passa e guarda. E vede Simone e Andrea. Due pescatori che gettavano le reti. Ma cosa avrà mai visto Gesù di tanto interessante in quei due, da poter dire: “Questi due possono essere miei discepoli?”. In fondo stavano facendo soltanto il loro lavoro, un lavoro umile e ordinario, che nulla aveva a che vedere con quanto avrebbero poi dovuto fare. Ma Gesù ha capito al volo chi erano veramente, proprio da come preparavano il loro lavoro, da come riassettavano le reti, da come si preparavano alla pesca. Lo ha capito dalle piccole cose, dai piccoli gesti. Perché è proprio da come viviamo l’ordinario, fratelli, che gli altri possono capire chi siamo. Lo possono capire da come parliamo con chi ci sta vicino, da come trattiamo il prossimo, da come gesticoliamo, da come ci muoviamo: sono questi piccoli e insignificanti particolari che rivelano subito agli altri se siamo soddisfatti oppure no, se siamo arrabbiati con noi stessi e con la vita, oppure se viviamo “dentro” la nostra vita. È dall’ordinario del nostro vivere che appare chiaramente se siamo disponibili a seguire il Signore: dalla passione che mettiamo nel fare le cose umili, dai particolari del nostro comportamento, dalle reazioni spontanee, non studiate, incontrollate, istintive; dalla gioia e dalla serenità che naturalmente riusciamo a trasmettere.
Sì, perché la nostra felicità, la nostra gioia, non dipende tanto dal numero di cose che possediamo, dalla quantità delle nostre ricchezze, dall’opulenza, dal lusso sfrenato, quanto dal saper apprezzare quel poco che abbiamo, dal saperlo gustare, dal condividerlo con i fratelli, dal saperci accontentare sempre, dal capire che possiamo essere felici anche senza niente.
Del resto, come uno si comporta nel poco, così si comporterà anche nel molto; chi è fedele nel poco, sarà fedele anche nel molto, perché l’uomo che affronta le piccole cose quotidiane, è lo stesso che affronterà le grandi cose della vita; la stessa forza, la stessa passione, la stessa energia, lo stesso desiderio e amore che mette nelle cose piccole, li metterà anche nelle grandi.
Gesù dunque ha osservato questi uomini nella loro quotidianità, nelle piccole cose di tutti i giorni, ed è qui che ha visto la loro grandezza. Perché non è mai ciò che facciamo che ci rende grandi, ma è la cura, l’amore che ci mettiamo nel farlo, che rende grandi e importanti noi e ciò che facciamo. Gesù non aveva bisogno di chiedere a chi incontrava per la strada dei curricula studiorum o degli attestati di frequenza alle scuole rabbiniche del tempo. Nulla. A Gesù è bastato vedere queste persone nella vita di tutti i giorni per capire benissimo chi erano anche nel cuore, nell’anima. “Voi – dice Gesù – pescate con passione, pescate con amore i pesci: se lo fate con loro, sicuramente lo farete anche con gli uomini”. E fa loro a bruciapelo una proposta sconvolgente: da pescatori di pesci, diventare pescatori di uomini. Un cambiamento radicale, totale. E loro accettano. Piantano tutto e lo seguono.
Eppure, continuando a leggere il vangelo, li ritroviamo più avanti a fare lo stesso lavoro alle reti, vediamo ancora, e più volte, che continuano tranquillamente a pescare (Lc 5,1-11; Gv 21,1-8), a condurre esattamente la vita di prima, ad avere ancora rapporti con le loro case, con i loro familiari (Mc 1,29-31, ecc). Ma allora viene spontaneo chiederci: “Dov’è la differenza? In che cosa sono cambiati? Cos’è che hanno abbandonato?”
Ecco, fratelli: è la loro vecchia mentalità che essi hanno abbandonato; è il loro modo di vedere le cose, che è cambiato: è cambiato completamente il loro modo di rapportarsi col mondo. Se prima la barca (il lavoro) e la casa (la famiglia) erano l’assoluto, ora non lo sono più. Hanno capito che nella vita la cosa più importante, l’unica, è l’amore; e l’amore lo puoi ricevere solo dalle persone, non dal lavoro, non dalla casa!
Una barca non ci può amare. Una casa non ci può amare: può essere grande o piccola, in ordine o in disordine, in centro o in campagna, ma non ci può amare. Ci può ospitare, accogliere, ma non amare. E allora, fratelli, perché continuiamo a sognare case e ville sontuose, perché continuiamo a condizionare la nostra felicità al possesso di una siffatta casa, al possesso di vetture lussuose, di beni incalcolabili? La casa, le vetture, i beni, non ci possono amare e non c’è felicità senza amore! Il lavoro stesso non ci può amare. Il lavoro semmai ci fornisce i mezzi per campare, ci garantisce una certa stabilità, un qualche prestigio sociale. Ma non ci può amare. E perché allora continuiamo a lavorare come dissennati, ponendo il lavoro, la carriera, la produzione al di sopra di tutto e di tutti? Molti vivono solo per lavorare, come se non ci fosse nient’altro: non è una battuta, fratelli, è la pura verità: c’è chi è convinto che il lavoro sia l’unico scopo della loro vita; salvo poi a pentirsene quando è troppo tardi e si scoprono vecchi, depressi, tristi, ansiosi, arrabbiati; non hanno saputo mai aver tempo per Dio, per loro stessi e per gli altri!
Ecco, questo è il nostro cambiamento, fratelli; in questo consiste la grande conversione della nostra vita. Se noi crediamo che tutto quello che facciamo o abbiamo, ci renda felici, stiamo costruendo la nostra vita su una bolla di sapone. Abbiamo mai provato ad accarezzare i nostri soldi? Forse ci comunicano amore? Eppure la nostra società consumistica di oggi continua a bombardarci di messaggi fasulli, in cui ci ripete ossessivamente che il denaro, la ricchezza, il piacere, è tutto; paroloni che si rincorrono incessantemente, sempre gli stessi, con frequenza e precisione maniacale: lavoro, produzione, orari senza fine, tutti i giorni della settimana, tempi ristretti, carriera, soldi, concorrenza, libero mercato, globalizzazione.
Leggiamo il vangelo, fratelli: c’è mai scritto che Gesù lavorasse senza sosta, che fosse ansioso o angosciato per le consegne, intrattabile per la produzione o le scadenze? Che perdesse la calma per non aver raggiunto qualche “target”? No, fratelli; lo troviamo invece spesso a dare e ricevere amicizia, usare carità, tenerezza, comprensione, sicurezza, contatto a uomini e donne. Sicuramente Gesù non era ricco: ma di certo come uomo era felice e tanto amato.
Non si può essere autentici discepoli di Cristo, se non si è “liberi”. “Ecclesia” vuol dire letteralmente “i convocati fuori”. La chiesa quindi dovrebbe essere non un gruppo di persone che agiscono per piacere agli altri, per avere la loro approvazione; ma un gruppo di persone, “libere” da pressioni interiori, che non hanno altro interesse se non quello di fare umilmente e fedelmente quello per cui sono chiamate, con amore e generosità, spinte non dalle sete di consensi, ma dalla sicurezza di fare la volontà di Dio.
“Il tempo è compiuto. Il regno è vicino; convertitevi e credete al vangelo” (1,15).
I primi discepoli hanno accolto l’invito di Gesù. Il tempo di scegliere, di lasciare le barche, di lasciare la loro casa, di convertirsi, cioè di cambiare vita, di cambiare modo di vedere, era proprio il loro “adesso”. Non si poteva rimandare, non si poteva far finta di nulla: e loro hanno seguito Gesù, per costruire il regno di Dio.
Quando si parla del regno di Dio, le persone sono disorientate: “Cosa vuol dire? In che consiste?”. C’è chi pensa al paradiso, all’altra vita, chi pensa a chissà cosa. Niente di tutto questo fratelli: il regno di Dio è la Vita Vera, quella reale, quella che dobbiamo vivere oggi seguendo fedelmente gli insegnamenti di Gesù. Ogni scelta, ogni sforzo, ogni azione che noi facciamo per vivere questa Vita vera, serve per realizzare il regno di Dio in noi. Ecco perché è importante scegliere adesso, perché non possiamo rimandare: perché è la scelta che cambia decisamente la nostra quotidianità. La scelta realizza, concretizza, trasforma in vita vissuta ciò che è mera possibilità.
Il Regno di Dio è agire adesso, subito: mettiamo finalmente ordine al nostro disordine interno. I discepoli hanno ricevuto una proposta: era ardita, rischiosa, provocante e fuori dai loro schemi; era controcorrente. Ma le parole di Gesù riempirono la loro anima. Sentirono i loro cuori incendiarsi di amore per Lui.
E noi che facciamo? Dio aspetta una nostra risposta,il tempo a nostra disposizione ormai sta per esaurirsi; ecco perché è importante agire adesso. Altrimenti il Regno di Dio rimane nei libri, il nostro voler ritornare ad essere “sua immagine” rimane un pio desiderio, un progetto mentale, ipotetico, mai realizzato.
Anche i primi discepoli si saranno chiesto: “Ma perché proprio noi?”; “Cosa abbiamo di speciale noi?”. Niente! Assolutamente niente. E noi come loro. Dio non ha mai scelto uomini con doti particolari, speciali, super-intelligenti o super-dotati. Ha scelto sempre persone umili, disponibili, persone pronte a farsi coinvolgere, a mettersi in gioco. Gesù non ha mai chiesto ai suoi discepoli di essere perfetti, ma disponibili, aperti: Pietro dubitò e lo rinnegò più volte; era chiamato “roccia” anche per via della sua testa dura. Giacomo e Giovanni erano presuntuosi, ed erano chiamati “figli del tuono”, proprio perché “peperini”, suscettibili, carrieristi, al punto da litigare tra loro per il posto da occupare nel futuro “regno”. Tommaso era sospettoso, dubbioso e diffidente: se non toccava, se non c’era e non vedeva, lui non ci credeva. Giuda era attaccato ai soldi e, addirittura, lo tradì. Ecco fratelli: tutte queste miserie ci confermano che Dio lavora con quel poco che ha a disposizione, e non con quello che vorrebbe. Uomini comuni, pieni di difetti, pieni di limiti e a volte immaturi; uomini, però, che si misero completamente in gioco. Il vangelo dice che “lasciarono”: lasciarono le loro idee, i loro pregiudizi, le loro fissità e lo seguirono.
Gesù passa e ci chiama. Anche a noi chiede sempre e solo una cosa: di lasciare le nostre barche, la nostra sponda, la nostra casa, di fidarci di lui e seguirlo.
Se noi non siamo convinti di poter lasciare ciò che già siamo, ciò che sappiamo, ciò che costituisce la nostra sicurezza, per incamminarci verso qualcosa di nuovo, di sconosciuto, allora, fratelli miei, noi non siamo ancora pronti per seguire Gesù.
La nostra vita, in realtà, è purtroppo un aggrapparci a tutto. Ci attacchiamo a tutto quello che ci capita a tiro - lavoro, famiglia, parenti, amici, soldi, idee - pur di non schiodare dalle nostre posizioni. Cerchiamo ovunque garanzie, certezze, rassicurazioni, vorremmo che il mondo girasse sempre secondo i nostri piani: ma questo è semplicemente assurdo.
Se ci fermiamo a pensare a quello che potrebbe succederci, è la fine; perché potrebbe succederci veramente di tutto. Se ci fissiamo a pensare al domani, al futuro, a cosa accadrà o non accadrà, se avremo o no la forza di affrontare l’imprevisto, beh, allora fratelli, lo ripeto, è davvero la fine! Il segreto della vita è invece abbandonarsi, fidarsi, smettere di pianificare tutto. Smettiamola di preoccuparci, fratelli; comportiamoci come i discepoli del vangelo di oggi: si sono donati alla Vita (l’hanno seguita) e la Vita li ha portati dove mai si sarebbero sognati di andare da soli. La Vita ha compiuto con loro un’opera meravigliosa, perché non hanno voluto essere loro a pianificare la loro vita. Anzi, l’hanno donata alla Vita: hanno cioè smesso di decidere loro, lasciando che la Vita decidesse per loro. Non si appartenevano più: nulla era cambiato, ma tutto era cambiato.
Ecco fratelli: questo è donarsi a Dio; questo è abbandonarsi a Dio; questo è seguirlo: lasciare che sia Lui a portarci là dove ci deve portare. Donarsi a Dio, seguirlo, non è realizzarci in qualcosa o diventare qualcosa; è semplicemente lasciarsi portare, lasciarsi cambiare, ricostruire, plasmare da Lui.
Dobbiamo infine convincerci, fratelli, che quel “vieni e seguimi” è una proposta di felicità, di vita piena, di vita vera, una offerta di enorme valore: non è un invito ad un giro turistico, ma l'invito ad una imitazione, ad una “sequela”: preghiamo allora con tutte le nostre forze per avere il coraggio di “andare”, di non rinunciare mai a vivere e ad essere come lui ci chiede, di non resistergli; preghiamo per avere il coraggio, come i discepoli, di lasciare tutto per diventare anche noi pescatori di uomini. Non temiamo: facciamo pure le nostre considerazioni su questa chiamata; valutiamone le paure, le responsabilità, ma anche la bellezza e la sua attrazione. Ma muoviamoci, non perdiamo tempo. Egli ci ha già chiamato, fratelli: e la risposta è ora solo nelle nostre mani. Amen.


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