mercoledì 29 febbraio 2012

4 Marzo 2012 – II Domenica di Quaresima

«E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole…» (Mc 9,2-10).
Oggi il Vangelo cambia radicalmente la sua ambientazione. Domenica scorsa eravamo nel deserto, nella solitudine, nella fatica, nella tentazione, nella possibilità di fare scelte sbagliate, di imboccare vie apparentemente facili, ma ingannevoli. Oggi siamo invece in una situazione diametralmente opposta: lo scenario è dominato dalla luce, dalla gioia, dalla felicità, dalla pienezza; è come “toccare il cielo, toccare Dio, con un dito”. Domenica scorsa la solitudine, oggi un gruppo di persone (Pietro, Giacomo, Giovanni). Lì la voce e la visione del maligno, qui la voce e la visione di Dio. Allora la sofferenza, oggi la gioia e la festa. Lì il buio e le tenebre, qui tanta luce e il volto luminoso di Gesù. A un Gesù umano che “vive” le tentazioni come tutti noi, si contrappone un Gesù divino che si trasfigura. Che senso ha questo cambiamento così repentino, in una quaresima che noi ancora interpretiamo come triste, funerea, votata ai sacrifici e alla preghiera continua? Cosa vuol dire? La spiegazione sta nell’insegnamento che oggi Gesù vuol darci: ci offre in pratica, già su questa terra, un piccolo assaggio di quella che sarà la felicità futura, quella paradisiaca, fatta di luce, di amore, di contemplazione divina. Ci dice che la quaresima non è tristezza, ma gioia, entusiasmo, un cammino di “con-versione” fatto con il sorriso e la fiducia. Gesù in poche parole ci dice che la nostra vita può diventare radiosa attraverso l’amore; ci dice in pratica che, attraverso l’amore, possiamo pregustare un piccolo anticipo del nostro Tabor eterno. Sì, fratelli, perché è l’amore, solo l’amore, che dà felicità all’uomo: è l’amore che gli offre la possibilità di toccare con mano, già da subito, l’immensità dell’amore che Dio nutre per lui.
La “trasfigurazione”, la nostra “trasfigurazione”, è proprio questo: vedere e sperimentare con gli occhi del cuore, con l’amore, quelle cose meravigliose che nessun occhio umano vide mai e mai potrà percepire.
Trasfigurarsi: ecco a cosa ci porta l’amore. Perché solo gli innamorati autentici, quelli che veramente sono persi d’amore, possono apprezzare le cose più belle: il sole specchiarsi sul volto della persona amata, ammirare la luce negli occhi di un bimbo, cogliere l'universo intero nella faccia rugosa di un vecchio, estasiarsi dei cieli stellati, dei soli, delle galassie intere, riflessi negli occhi premurosi di chi ci vuol bene. Penso che a tutti noi sarà capitato di commuoversi davanti ad un volto segnato dal dolore di una perdita, davanti a scene di altruismo e di amore eroico, oppure semplicemente davanti ad un tramonto e ad un’alba silenziosi: di sentirsi così pieni di gioia, di sensazioni così profonde, di commozioni così intense, da non aver potuto trattenere le lacrime. Ecco: anche tutto questo è “trasfigurarsi”. Una volta pensavo che commuoversi fosse segno di debolezza, di mancanza di virilità. Ma oggi so che vuol dire essere vivi, vuol dire percepire ciò che siamo dentro, condividere con gli altri ciò che essi vivono dentro; vuol dire lasciarsi toccare il cuore, vuol dire lasciarsi colpire e farsi coinvolgere da ciò che succede intorno a noi; vuol dire non essere gelidi come il ghiaccio, impenetrabili come la roccia, insensibili come un organismo inanimato. In una parola vuol dire lasciarsi “trasfigurare”.
Sì, fratelli, sono proprio questi i momenti della nostra “trasfigurazione”; sono i momenti in cui ci rendiamo conto che vale la pena di vivere anche per un solo istante; sono i momenti in cui ci sentiamo “speciali” per essere nel mondo, per esistere, per poter amare, credere, donare. Sono i momenti che ci danno l'energia, la forza e il coraggio di andare sempre avanti e di affrontare serenamente le “discese” dal monte, le croci, le crocifissioni di ogni giorno. Senza queste ricariche di gioia, di felicità, di vita, di infinito, di “Dio”, tutto rimarrebbe drammatico, angoscioso, “nero”, invivibile. Ecco perché dobbiamo permettere alla felicità di entrarci dentro; dobbiamo lasciare che la vita ci immerga, che viva in noi, che sussulti, che si muova, che nasca continuamente. Se ciò non ci accade, dobbiamo preoccuparci, fratelli: se non ci succede, dobbiamo chiederci seriamente se il nostro cuore pulsi ancora o sia già immobile, morto.
Ripeto: questa è la Trasfigurazione, fratelli. Questa deve essere la nostra trasfigurazione. Possiamo averne continue esperienze: basta saperle “vedere”. Per esempio quando nel buio, nello smarrimento di una situazione difficile, veniamo investiti improvvisamente da un raggio di luce e, già persi, ritroviamo Dio, facciamo esperienza di trasfigurazione; quando scopriamo che la nostra vita, così piccola e insignificante rispetto al mondo e ai sei miliardi di uomini che lo abitano, ha un senso e uno scopo ben preciso, noi facciamo esperienza di trasfigurazione; quando percepiamo la bellezza di una persona, la sua forza, la sua sensibilità, anche se al di fuori non trapela nulla, questa è trasfigurazione. Trasfigurazione poi è vedere le persone nella loro essenza; è cioè vedere il loro volto, il loro “essere”, il loro vivere, esattamente come è stato pensato da Dio, ancora “immacolato”, prima di venire inesorabilmente deformato dai giorni, dalle paure, dal dolore, dalle angosce del quotidiano. Così se piangiamo di gioia, se tocchiamo il cielo dalla felicità, se ci sentiamo ricchi, pieni, immensi, caldi come il sole, scintillanti come la neve, potenti come le onde del mare, beh, fratelli, tutto questo è trasfigurazione. Il mondo, nella sua infelicità, dirà che siamo matti: e forse un po’ matti lo siamo anche, ma di certo siamo tanto, tanto felici.
“Tabor”, il monte della trasfigurazione e della felicità, in ebraico significa “ombelico” e anche “principio di luce”. Bene: la trasfigurazione ci invita a tagliare tutti i cordoni ombelicali, tutte le dipendenze ormai inutili, per poter rinascere, crescere, rivivere ogni giorno: se non tagliamo questi cordoni ombelicali, se non recidiamo energicamente certi legami, certe condizioni di vita, convinti di poterle cambiare, modificare, trasformare, non arriveremo mai ad avere vita piena, anzi la nostra esistenza è destinata a cadere inesorabilmente nel nulla, nella morte. Insistere nel voler conservare in noi situazioni negative, esperienze che ci hanno traumatizzato, che ci hanno procurato dolore e disperazione, sperando in una loro catarsi, in una loro rigenerazione, trasformazione, sublimazione, significa solo rimandare una fine già annunciata, una ricaduta ancor più implacabile e devastante.
Per poter crescere, per poter procedere spediti nel nostro cammino verso la Luce, senza esitazioni, senza tentennamenti, senza rallentamenti o impedimenti, dobbiamo pertanto essere decisi, dobbiamo recidere senza esitazioni questi “cordoni paralizzanti”.
Uno solo è il cordone ombelicale che non deve essere mai tagliato. È quello che ci tiene legati a Dio. Il Tabor, l'ombelico del mondo, ci dice infatti: “Se sei legato, attaccato a Dio (“religione” da “re-ligo”, significa essere legati a doppio filo); se respiri con Dio e ti nutri di Lui, allora sei al sicuro, sei nella Luce calda e sfolgorante. Questo legame deve durare in eterno, perché vuol dire salvezza, beatitudine, trasfigurazione; troncarlo vuol dire lontananza, condanna, perdizione. È l’unico canale attraverso cui Dio può colmare il tuo cuore di amore. Per quanto in basso tu cada o vada, questo cordone ti terrà sempre unito a Lui, e non correrai mai il pericolo di perderti nel vuoto”.
Allora potremo andare serenamente ovunque la vita ci porti, anche verso le inevitabili “prove”; allora potremo affrontare i momenti più duri e difficili; allora potremo affrontare qualunque difficoltà perché dentro di noi abbiamo energia, forza, entusiasmo: abbiamo Dio nel cuore.
Giunti sulla vetta del nostro Tabor, abituati alle ricorrenti esperienze di “trasfigurazione”, chiediamoci umilmente: “È sempre bello per noi stare qui con il Signore?” “È ancora bello stare con Lui nei momenti di preghiera e di meditazione, nella Messa, in Chiesa, nelle liturgie, nel silenzio della nostra camera?”. Diamoci una risposta sincera in questa quaresima, una risposta come quella di Pietro, piena di entusiasmo e di felicità: «Signore, è proprio bello stare qui con te». È vero, fratelli, è veramente bello stare con Gesù: e tutti, tutti noi che abbiamo sperimentato il suo amore, tutti indistintamente, siamo chiamati a urlare al mondo intero quanto sia bello stare con Dio.
Per farlo però dobbiamo ritagliarci degli spazi di silenzio, dobbiamo dedicarGli tempo, metterci in sintonia con Lui. E per farlo, come suggerisce il Padre, dobbiamo “ascoltare”. Ascoltare il Figlio, ascoltare la Parola, ascoltare noi stessi, ascoltare ciò che di bello, di Dio, hanno da dire ogni uomo, ogni nostro fratello. La bellezza è esperienza che scaturisce dall'ascolto. Per questo dobbiamo ascoltare: perché solo ascoltando riusciremo a recuperare nella nostra vita cristiana il concetto della bellezza di Dio. Si, fratelli: perché è da questo che dobbiamo ripartire: noi viviamo in orrende città, orrende sono le nostre periferie, orribili le proposte martellanti e sguaiate della nostra pubblicità, orribile il linguaggio e le persone che ci raggiungono dal mondo della politica, dello spettacolo, dell’informazione. È proprio vero: abbiamo urgente bisogno di bellezza, della bellezza di Dio che è verità, vita, amore.
Quella bellezza di Dio che rende bella la nostra anima: la nostra vera bellezza, fratelli, non è quella esteriore, quella che rispetta tutti i canoni estetici! Tutti i più bravi chirurghi estetici di questo mondo, non riusciranno mai a trasformarci in “belle” persone! Perché senza la bellezza interiore, la bellezza della nostra immagine di Dio, noi assomigliamo soltanto a fredde, dure e infelici bambole; non certo a “belle” persone!
Riappropriamoci allora, a tutti i costi, di quel senso di stupore e di bellezza che ci porta in alto, lassù, sul monte Tabor, per poter ammirare con sguardo estatico il Cristo trasfigurato. Rigenerati dalla Sua luce, trasformiamo le nostre chiese in altrettanti Tabor, in altrettanti luoghi di “bellezza”: il silenzio, il canto, la fede, i momenti di preghiera e di carità, devono riportare nelle nostre quotidianità un briciolo della bellezza di Dio: una bellezza fatta di gratuità, di gentilezza, di attenzione, di compassione, di amore, di verità e di tenerezza.
Allora la nostra vita sarà bella, fratelli! Sarà veramente bella, perché avremo finalmente imparato a viverla e a donarla. Amen.


Nessun commento: