mercoledì 8 agosto 2012

12 Agosto 2012 – XIX Domenica del Tempo Ordinario

«Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6, 41-51).
Elia mormora, i giudei mormorano, noi mormoriamo: chi non accetta la realtà, se la prende con Dio e mormora. È una constatazione. Triste, ma succede spesso anche a noi! Ciò che non vogliamo accettare lo rifiutiamo. Ciò che critichiamo è ciò che ci rifiutiamo di vivere, di capire. Ma la realtà, fratelli, non si cambia. La realtà si vive, e basta! La realtà è che gli altri sono più sensibili di noi, sono più intelligenti di noi, sono più attraenti o affascinanti di noi. La realtà è che gli altri sono più di noi, e anche se diciamo che va bene così, non è vero, perché vorremmo essere proprio come e più di loro.
La realtà è che se anche siamo importanti, anche se ci riteniamo insostituibili, la vita va avanti anche senza di noi. Perché non siamo altro che una goccia del mare, una foglia dell’albero, una minima parte dell’universo. Inutile illuderci, è così; inutile pensarci unici, celebri, ammirati da tutti: siamo purtroppo destinati ad essere dimenticati. È normale, è giusto che sia così.
La realtà è che tutto inizia e che tutto finisce perché tutto evolve. I nostri figli crescono e se ne vanno; noi invecchiamo e non siamo più guardati per il nostro fascino giovanile; tutto quello che prima avremmo giurato “eterno” adesso non lo è più, quello che prima avremmo giurato di non diventare, ora invece lo siamo diventati. Ed è necessario che sia così, che tutto passi, che tutto divenga, che tutto fluisca, che tutto abbia il suo corso.
La realtà, fratelli, è che siamo bisognosi di aiuto. Vorremmo poter vivere senza dipendere dagli altri, senza dover ricorrere alle attenzioni degli altri; vorremmo essere sempre autonomi, vorremmo condurre la nostra vita come ci piace, senza farci influenzare dagli altri, dal loro giudizio, da ciò che pensano di noi. Vorremmo...
E, invece, ci ritroviamo ad essere deboli, ci scopriamo non più autosufficienti, debilitati, attenti a non deludere chi ci sta vicino per paura che ci rifiuti; ci ritroviamo a dipendere dagli altri, ad aver paura della solitudine, a elemosinare amore in mille modi. È la realtà.
Insomma vorremmo che la realtà fosse come la pensiamo noi, come la vogliamo noi, come la desideriamo noi. E, invece, la realtà è diversa da noi. La realtà è quella che è. La realtà (Dio, la Vita) è più grande di noi; e aver fede, fiducia, significa accettarla, accoglierla, fidarci di lei, lasciarci andare. Nella vita tutto ha un senso anche se noi non lo capiamo. Inutile lottare contro la realtà, perché tanto, ciò che dobbiamo vivere, lo vivremo comunque. Forse conviene lottare insieme a lei. Buona fortuna? Cattiva fortuna? Lasciamo fare alla Vita. Qualunque cosa ci proponga la vita (la realtà), accettiamola! Cerchiamo di capire!
Non facciamo come i giudei che, mentre Gesù parla di una cosa (il pane dal cielo), essi non lo capiscono, capiscono tutta un’altra cosa. Gesù sta su di un piano, i Giudei su di un altro.
Un detto cinese dice: “Quando il dito indica la luna, lo sciocco guarda solo il dito”.
Gli ebrei nel deserto avevano la manna: era il cibo miracoloso. Ma nella manna essi vedevano solo il cibo di ogni giorno, un cibo di cui si stancarono presto. Non sono riusciti a scorgere in esso la bontà di Dio che li accompagnava, che li sosteneva, che provvedeva a tutto e non li abbandonava. Da sciocchi guardavano il dito!
Così succede anche per i giudei che seguono Gesù: Egli sta parlando di cose alte, elevate, profonde; sta mostrando suo Padre, il Dio vero, quello che sazia la vera fame, e loro non riescono ad andare oltre il dito: per loro Gesù non può che essere il “figlio di Giuseppe”; per loro il pane è solo quello di farina, il cielo è solo quello che manda il sole e la pioggia, Dio è solo uno da pregare perché tenga lontano le disgrazie o ci mandi ricchezza e benessere.
Gesù dirà: «Siete ciechi… Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo… e se non cambierete modo di vedere, morirete nei vostri peccati» (Gv 8, 23-24).
Se non sappiamo andare oltre le apparenze, al di là di quello che può sembrare, allora abbiamo decretato la morte della nostra anima. Non guardiamo oltre al dito…
La felicità per molte persone è avere qualcosa. Felicità per loro è avere una posizione da esibire, un auto o una casa da mostrare, una dote da manifestare, una capacità con cui avere successo ed essere stimati. Sono solo ciechi. Felicità è poter sentire la vita che ci abita dentro, che cresce, che diviene, che si espande. Felicità è poter stare bene nel nostro corpo, nella nostra anima, sentire il nostro cuore pulsare e gustare la vita.
Dio, per molte persone, è una preghiera da dire, un rito da compiere, una “rottura” da evitare, un impiccio di cui non sappiamo che farcene. Sono ciechi! Dio è la sensazione profonda di essere immersi in qualcosa di più grande; è vivere l’esperienza di essere parte dell’immenso, di essere immersi in una corrente oceanica che, nostro malgrado, ci trascina sulla spiaggia della salvezza; è sentirsi amati al di là del bene e del male quotidiano; è sentirsi degni di esistere perché Qualcuno ci vuole; è sentire che non dobbiamo aver paura perché c’è un grande Abbraccio che ci difenderà da ogni pericolo.
I figli, per molti di noi, rappresentano il successo e la realizzazione della nostra vita. Se non li abbiamo, la vita non ha senso; se li abbiamo, devono essere obbedienti, devono diventare i migliori per renderci felici e non deluderci. Siamo ciechi! I figli sono il dono che la vita ci fa per consentirci di esprimere l’amore che ci portiamo dentro; sono il mezzo per realizzare la nostra vita, sono il senso delle nostre giornate. Ma sono un mezzo, non il fine. I figli sono uno stupore da vivere, una meraviglia da contemplare, una scuola di vita da cui impariamo la gratuità (diamo senza avere aspettative), il distacco (li amiamo anche se se ne andranno), l’alterità (sono altri, diversi, opposti da noi), l’umiltà (ci fanno vedere le nostre debolezze, le nostre fragilità, i nostri difetti), ecc.
E così per tutte le cose. Tutto ciò che ci riguarda può essere banalizzato, tutto reso insignificante o inutile; ma tutto può anche essere entusiasmante, profondo, divino. Quando il saggio indica la luna, fratelli, dove corre il nostro sguardo?
Gesù poi dice: «Io sono il pane vivo». C’è un pane vivo e c’è un pane morto. C’è un pane che nutre solo il corpo e c’è un pane che nutre anche l’anima.
La domanda che Gesù pone è: “Che cosa nutre veramente?”. Il pane era il cibo tipico, normale per gli antichi. Dire “pane” significava dire nutrirsi, sfamarsi. Il cibo ci nutre; ogni giorno mangiamo, ne abbiamo bisogno. Ma è sufficiente il pane della terra? O cerchiamo ancora qualcos’altro, qualcosa che soddisfi la nostra anima e il nostro cuore? Il cibo riempie il nostro stomaco, ma cos’è che riempie la nostra anima? Di cosa deve sfamarsi?
Pensiamo che sia sufficiente mangiare tutti i giorni al ristorante? Che sia sufficiente lavorare e avere una bella casa in cui abitare? Che sia sufficiente avere un auto sportiva, dei vestiti firmati, essere rispettati e ammirati dalla gente? Ci siamo mai chiesti perché i maghi e le chiromanti sono sempre pieni di clienti? Perché gli studi dei terapeuti sono sempre stracolmi di persone? Perché siamo così depressi e alienati? Perché siamo così isterici, “schizzati”, tristi, depressi? Cos’è che ci manca? Non abbiamo pane per la nostra anima? Di cosa ci nutriamo?
Ebbene, fratelli, la nostra grande fame è quella dell’amore. Siamo bisognosi d’amore. Abbiamo bisogno di essere amati, che qualcuno creda in noi, che qualcuno ci apprezzi, che ci dia valore e fiducia. Se non siamo amati, siamo nessuno, non valiamo, che ci siamo o non ci siamo è la stessa cosa; vivere o morire non è che cambi poi così tanto. Questa è la nostra fame, fame terribile: e nessuno in questa vita potrà mai saziare pienamente questa nostra fame. Perché noi abbiamo bisogno di un Amore “altro”. Perché la nostra vera fame è Dio.
Noi abbiamo bisogno di sentirci rassicurare: “Non aver paura”; perché siamo sempre in ansia, abbiamo paura: perché la vita finisce, perché la vita passa, perché la vita non dura in eterno, perché i nostri cari muoiono, perché un giorno lasceremo i nostri figli e chi amiamo, perché ci ridurremo a polvere, perché noi da soli non possiamo salvarci. Allora abbiamo bisogno di agganciarci a Lui, di sentire che ci possiamo fidare di Qualcuno, di percepire che non saremo lasciati soli, che non saremo dimenticati, che tutto non finirà nel nulla. Abbiamo bisogno di Qualcuno che ci dica: “Ci sono io, non aver paura. Tu sei nelle mie mani, nel mio Cuore, non cadrai mai nel vuoto. Stai tranquillo”.
Ecco, fratelli: di fronte a tutto ciò – che incoscienza non pensarci prima! – una cosa sola può saziarci, salvarci dalle nostre paranoie. Lui, il Pane vivo. Abbiamo bisogno di quel Pane celeste; abbiamo bisogno di quel Pane vero, di quel Pane che, solo quello, sazia la nostra fame interiore, la nostra fame di Divino. Amen.

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