mercoledì 12 settembre 2012

16 Settembre 2012 – XXIV Domenica del Tempo Ordinario

«Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: La gente, chi dice che io sia? […] E Pietro gli rispose: Tu sei il Cristo» (Mc 8,27-35).
Gesù sta andando verso Cesarea di Filippo e strada facendo parla con i suoi discepoli.
Del più e del meno. Sa di essere qualcuno per la gente; sa di essere sulla bocca delle persone; sa che si parla di lui; ed è naturale quindi che il discorso cada anche su questo, sull’opinione cioè che la gente ha di lui, chi dicono che egli sia. Ognuno riferisce il sentito dire: qualcuno dice Giovanni il Battista, chi Elia, chi un altro profeta. Ma Gesù non si accontenta e riformula la richiesta: Ma “voi chi dite che io sia?”. Bella domanda. Anche per noi. Tu che leggi, cosa dici? Chi è Gesù per te?
Nella vita arriva un momento in cui tutto ciò che abbiamo imparato, che sappiamo, che conosciamo, non conta più nulla; l’unica cosa che conta è una nostra risposta. Risposta che nessuno può dare al posto nostro.
Nelle questioni essenziali della vita siamo sempre soli, soli con noi stessi e con le nostre decisioni prese o rimandate. Nelle questioni essenziali non conta più niente ciò che ci circonda, ciò che fanno o non fanno gli altri: la domanda inevitabile e improrogabile è rivolta solo a noi e la risposta che conta è solo quella nostra.
L’episodio evangelico di oggi segna una svolta decisiva, un momento cruciale nel vangelo di Marco: Gesù capisce che è arrivato il momento di lasciare tutto e di andare a Gerusalemme; Egli sa bene che laggiù non può contare né sui capi religiosi, né sull’appoggio della gente; e neppure su quello degli apostoli. Quello che lo attende a Gerusalemme è una questione sua, solo sua.
Pietro però comincia proprio qui a capire chi Lui sia veramente. E decide di buttarsi per Lui. Egli improvvisamente percepisce, sente che lì, al suo fianco, c’è la Vita, c’è l’ebbrezza della Vita, c’è il sapore della Vita, e si butta a capofitto, anima e cuore. Da questo momento in poi, pur facendo errori non da poco (lo rinnegherà per ben tre volte!) Pietro non tornerà più indietro su questa decisione. Ha trovato la Vita: come può lasciarla?
Ma veniamo a noi; tocca anche a noi rispondere, fratelli, con altrettanta franchezza e onestà; chiediamoci ancora: “Ma io cosa provo per te, Signore? Chi sei tu per me? Quanto sei importante nella mia vita? Quanto sono disposto a giocarmi per Te?”.
Pietro non ha avuto esitazioni: “Tu sei il Cristo!”; “Tu sei per me la vita, la luce, la sicurezza, la via, il faro, il mettermi in gioco, la verità; tu sei qualcosa che mi ha cambiato la vita, che l’ha resa diversa, piena, intensa, pericolosa”. Ma noi?
Gesù a questo punto ordina ai suoi il silenzio; raccomanda “severamente” di non parlarne con nessuno, di non farne parola con altri. Perché questa raccomandazione? Perché sono risposte private, che riguardano solo Lui e noi, non si possono buttare in pasto alle chiacchiere della gente: sono strettamente personali, ciascuno le deve rispondere per sé. Ciascuno deve scoprire dentro di sé chi è per lui il Cristo. Ciascuno deve trovare da sé la propria risposta.
Nel nostro cammino di apostoli, sapere che Gesù è stato l’amore di tutti i santi, non ci fa avanzare neppure di un millimetro; tocca solo a noi dare spazio alla passione che dorme dentro di noi. Sapere che Gesù è stato la fiamma che ha incendiato il cuore di tutti i mistici, non ci serve a nulla se anche noi non ci lasciamo contagiare da quel fuoco, se non lasciamo bruciare dentro di noi quella fiamma!
Questo è il punto. Pure Pietro non si limita alle belle parole, a fare una bella professione di fede, ma prende una importantissima decisione: economicamente non stava certo male (aveva una famiglia, le sue barche, i suoi garzoni); ma ora decide di lasciare il sicuro, di lasciare le certezze, per un ideale, per quello che Gesù gli offre. E quindi rischia tutto.
È il momento che prima o poi arriva puntualmente anche per noi, fratelli: anche noi, quando avremo trovato la Vita, colui che ci riempie l’anima, dobbiamo deciderci. Dobbiamo seguirlo, dobbiamo abbandonare i nostri dubbi, le nostre paure. Deciderci. E andare.
“Decidere” significa indirizzare le nostre energie e le nostre scelte verso un obiettivo; vuol dire “tagliare, tagliare via, far accadere” (dal latino de-caedo). “Decidere” è fare un taglio netto: una volta fatto, non si può più tornare indietro. Sono le decisioni che ci guidano, che determinano le svolte alla nostra vita. Le nostre decisioni trasformano il caso in destino. È con il nostro decidere che iniziamo a costruire la nostra vita. Perché quando decidiamo, scegliamo di seguire solo una strada. Quando invece non decidiamo, non ne scegliamo nessuna; anzi, peggio, ci facciamo andar bene quella che altri hanno scelto per noi; e poi, anche il non voler decidere è pur sempre una decisione; discutibile, ma una decisione.
“Decidersi” implica sempre una rinuncia. È la rinuncia consapevole di chi sa che non può fare tutto, e quindi rinuncia a ciò che potrebbe fare di non importante, vitale, e sceglie ciò che per lui è fondamentale, ciò per cui merita veramente di vivere.
Quanta gente si lamenta della sua situazione, fratelli miei: ma chi si lamenta, lo fa perché non ha deciso. Non vuole o non sa decidersi. La nostra vita non ci va bene? Cambiamola! “Ma è difficile! È impegnativo, pieno di imprevisti, di pericoli!”: e allora stiamo come stiamo, ma smettiamola, non lamentiamoci, non facciamoci compatire.
Desiderare di cambiare non vuol dire volerlo: una preferenza, un desiderio, non è una decisione. Decidersi è scegliere e agire in quel senso. Senza ripensamenti.
Le grandi decisioni nascono dentro: “Come voglio vivere? A che livello, a che profondità? Voglio o no faticare per finalmente trovarmi e andare avanti? E poi, soprattutto, quanto lo voglio? Quanto sono disposto a lottare, a soffrire, a cercare? Quanto lo voglio?”.
È la risposta a queste domande, fratelli, che genera le decisioni, nascoste e invisibili, ma che cambiano la nostra vita e ne determinano la qualità.
Anche Gesù fa la sua scelta: sceglie “Dio”. E decide di andare a Gerusalemme. Eppure sa che questa decisione comporterà pericolo, lotta, scontro e, perfino, la morte. Lo sa, e lo dice anche chiaro chiaro ai suoi discepoli.
Ma essi non capiscono ancora. Di fronte alle sue parole, Pietro quasi lo rimprovera. Egli ha altre idee su Gesù. Ha intravvisto la sua divinità, la sua messianicità. Gli dice: “No Signore. Abbiamo tanto successo qui, tanta gente ti segue, sei amato da molti. Perché rischiare così tanto? Se tu muori finirà tutto: che senso ha che tu vada a morire?”. Ma Gesù lo zittisce seccamente: “Via da me satana. Questi sono i tuoi calcoli ma non quelli di Dio. Io devo rimanere fedele a me stesso. È vero, potrei guarire tantissima gente, vivere ancora per tanti anni, essere utile a tante persone. Ma a che serve tutto questo se non sono fedele alla mia missione, a ciò che ho dentro? A che serve tutto questo se tradisco ciò che sono, la mia strada, il mio mandato?”. E nel versetto successivo (che oggi non leggiamo) spiega meglio: “ A che serve all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde la propria anima?” (8,36). Già; a che serve?
A che serve voler “salvare”, cioè fermare, cristallizzare, immobilizzare la vita, quando così facendo la perdiamo? È la legge della vita, fratelli. Se non vogliamo cambiare, se non vogliamo crescere, se non vogliamo svilupparci, automaticamente moriamo. Se non vogliamo ascoltare le esigenze profonde, le chiamate della Vita, abbandoniamo la Vita, ci stacchiamo dalla Sorgente della Vita, ci perdiamo, moriamo.
La vita non si può fermare. Non ci possiamo attaccare né alle relazioni umane né alle grandi idee, ai grandi progetti. Chi vuol seguire Gesù, deve dire semplicemente “no” a quell’atteggiamento naturale dell’uomo che vorrebbe fermare le cose; chi vuol seguire Gesù deve invece muoversi, librarsi in alto, mettere in gioco le proprie idee, le proprie convinzioni, e seguire il Signore della Vita là dove vuole portarci.
Dobbiamo cambiare mentalità, fratelli. Una mamma rimprovera il suo bambino: “Lo sapevi che quando hai rubato i biscotti dalla dispensa, Gesù ti vedeva?”. “Sì”, risponde lui. “E cosa pensi che ti stesse dicendo?”. “Visto che non c’è nessuno, prendine un po’ anche per me!”.
Ecco, dobbiamo fare come quel bimbo: dobbiamo essere creativi, pieni di iniziative, dobbiamo cambiare prospettive, cambiare idee, non possiamo rimanere attaccati sempre alle convinzioni degli altri! Dobbiamo essere critici, aperti e onesti con noi stessi.
La linfa vitale scorre continuamente, va e viene, è Vita; ma nel momento stesso in cui noi blocchiamo questo scorrere, iniziamo irrimediabilmente a scivolare verso la morte. Non possiamo bere acqua putrida, ristagnante; solo l’acqua che scorre, viva e zampillante, è in grado di dissetarci. Amen.

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