giovedì 23 maggio 2013

26 maggio 2013 – SS. Trinità

«Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà» (Gv 16,12-15).
Oggi la chiesa celebra la festa della Trinità: un Dio che è comunione, relazione, famiglia. Un Dio che non è un'entità di solitudine ma una realtà dinamica, viva, relazionale.
La Trinità non è un problema matematico (come conciliare che Dio sia contemporaneamente Uno e Trino: Padre, Figlio e Spirito Santo) ma è la suprema espressione dell'esperienza che tutti facciamo dell'amore e della comunione umana.
Ciò che importa nell'amore infatti è che si resti uniti e non che ci si “fondi” insieme. È importante donarsi senza perdersi. È quindi importante che rimaniamo uniti senza uniformarci, e divisi senza essere separati. L'amore vero è quello trinitario: unito ma non uniforme, separato ma non diviso.
Dietro alla Trinità, ma anche a tutte le dottrine e i dogmi, c'è l'esperienza di Dio. Cioè: prima viviamo l'esperienza di Dio e poi capiremo chi è. Non scervelliamoci per capire cos'è la Trinità, quando non conosciamo Dio. Perché Dio non è un pensiero, una filosofia, una psicologia, un frutto della ragione, ma Dio è Vita, cammino, esperienza.
La chiesa prima ha vissuto l'esperienza di Dio e poi ha capito cosa voleva dire tutto questo. La Trinità non è frutto di concetti, di filosofie, di “elucubrazioni”; non è uno sforzo di equilibrismo speculativo, che porta la mente a capire chi è Dio. Ma è l'esperienza che si fa parola, comprensione. La Trinità è l'esperienza dei primi discepoli: Gesù, loro amico, loro compagno e loro maestro, si proclamava figlio di Dio e agiva di conseguenza, da figlio di Dio. In quell'uomo c'era Dio! In quell'uomo i discepoli sperimentarono un mondo d'amore, di comunione, di vita così grande, così profonda da non vederne la “fine”. E utilizzarono l'immagine che più poteva esprimere tutto questo: l’immagine di una famiglia, con un Padre, un Figlio e il loro amore rappresentato dallo Spirito.
Questa è la Trinità: la definizione, il dogma e la religione, sono solo la scala per arrivare a quella meta che è Dio. Quando siamo arrivati alla sommità, lasciamo la scala, perché non ci serve più. Definizioni, dogmi, teologie, sono solo la strada che ci deve condurre alla meta. Non confondiamo mai la strada con la meta. Non assolutizziamo mai nessun mezzo, nessuna pratica, nessuna disciplina. Ogni pratica è buona solo se ci porta a Lui. Se si ferma su se stessa è assolutamente inutile. La religione può essere di grande aiuto finché non la poniamo ad un livello superiore a quello di Gesù Cristo.
Quando diciamo che Dio è Trinità, diciamo dunque l'esperienza dell'amore e della comunione. Cioè: siamo distinti, e allo stesso tempo uniti; ma mai fusi. Ciò che conta è che lo Spirito ci tenga uniti, che lo stesso Spirito ci abiti, che ci sia qualcosa che ci leghi.
I rapporti fra un uomo e una donna, fra una mamma e un figlio, fra amici, dovrebbero essere così: uniti, ma distinti; diversi, ma non separati. E l'amore, lo spirito, il profondo, dovrebbero essere la “colla” che li unisce.
Uniti dunque, ma distinti. Viviamo la gioia dell'amore, facciamo cose insieme, progetti, figli, condividiamo tempo, ma non fondiamoci, fratelli. Non siamo, né saremo mai, un'unica cosa. Io sono io e tu sei tu... L'amore, infatti, è la forza che unisce le nostre due sponde e i nostri due argini.
Ci sono tante persone che pretendono che gli altri facciano come loro, che si comportino esattamente come loro hanno stabilito; li vogliono uguali, simili in tutto, non riescono ad accettare che gli altri siano invece entità diverse o siano fatti diversamente. Ma un punto di vista rimane sempre e solo la “vista” da un solo punto di osservazione!
Così molti genitori pretendono che i figli diventino la loro stessa copia, o come loro li pensano. Ma se questo accade li rovinano; li derubano della loro personalità. Se un genitore vuole che il figlio viva per lui (che lo accudisca cioè nella vecchiaia; che raggiunga i successi che lui non ha ottenuto; che faccia da genitore ai loro genitori) inverte il rapporto genitore-figlio: è il genitore che deve accudire e prendersi cura del figlio, non viceversa.
In molte comunità si parla di unità, di comunione, di fraternità, ma questo, a volte, vuol dire che chi non fa come gli altri, chi non fa come il capo o come fanno tutti, è fuori, è escluso.
Dobbiamo essere sicuramente uniti, ma assolutamente distinti. Io sono io e tu sei tu: siamo distinti, due vite diverse. Ma siamo uniti perché ciò che unisce è ciò che condividiamo insieme, è il nostro aprirci e il nostro darci. Se c'è comunione, se c'è dialogo, se c'è profondità, se c'è apertura, allora qualunque divisione viene colmata dai nostri cuori, dal nostro amore, dal nostro spirito.
L'unità pertanto non dipende dal fatto che facciamo le stesse cose insieme, che apparteniamo ad uno stesso gruppo. L'unità è il frutto del nostro amore, del darci reciprocamente il nostro spirito, del condividere ciò che di più prezioso e caro abbiamo dentro.
La chiesa, le nostre famiglie, le nostre comunità, dovrebbero essere esattamente come la Trinità: tutti diversi ma uniti. Dovremmo amare esperienze diverse, cammini non omologati, strade non identiche per tutti. Dovremmo favorire l'unione dei cuori, degli spiriti, delle anime, non l'uniformità. Dio è così!
La festa di oggi parla di un Dio che è famiglia, che è relazione, rapporto.
Una vita senza relazioni non è degna di essere vissuta; una vita senza relazioni non si può definire vita. Le relazioni sono lo strumento con cui impariamo a vivere; le relazioni sono lo strumento con cui noi “portiamo fuori” la vita che abbiamo in noi. Buone relazioni equivalgono ad una vita significativa. Cattive relazioni vogliono dire una vita sempre risentita.
Inoltre: avere relazioni è normale, essere capaci di relazionarsi no.
La festa della Trinità ci invita allora a portare luce sui nostri rapporti e sulle nostre relazioni. La maggior parte delle persone, invece, non si interroga mai sulle proprie relazioni. Sono convinte che per il solo fatto di saper parlare, sappiano anche relazionarsi. Ma non è così.
Alcune relazioni infatti sono dominate dalla paura; altre sono cariche di troppe aspettative; molte sono egoistiche, possessive, dettate dalla paura.
Il vangelo dice: «Ho molte cose ancora da dirvi, ma per ora non siete capaci di portarne il peso». Sì, ci sarebbero molte altre cose da dire, ma per ora va bene così. E continua: «Lo Spirito di verità vi guiderà alla verità tutta intera». È importante che portiamo verità, luce, carità nelle nostre relazioni, altrimenti i nostri legami di vita diventano i nostri legacci di morte, le nostre relazioni d'amore, un cappio al collo; altrimenti sono le relazioni che gestiscono noi, e non noi che gestiamo le nostre relazioni. E conclude: «Quando verrà lo Spirito di verità vi guiderà alla verità tutta intera».
Guardiamo allora, fratelli, alle relazioni d'amore e di verità della Trinità tra Padre, Figlio e Spirito Santo; specchiamoci in esse; e preghiamo perché anche nella nostra vita le nostre relazioni siano sempre più vere. Amen.
 

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