giovedì 4 luglio 2013

7 Luglio 2013 – XIV Domenica del Tempo Ordinario

«In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada». (Lc 10,1-12.17-20).
Ci troviamo dunque di fronte ad una impellente necessità: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi». Di fronte ad una “materialità” dilagante, di fronte ad un progressivo allontanamento da Dio da parte del mondo, l’uomo ha bisogno sempre più di nuovi inviati che gli offrano spiritualità, fiducia, amore. Nel nostro immaginario, pensiamo spesso che – se avessimo tanti soldi, tanta ricchezza, tante auto, tante possibilità, tanti amici - sicuramente staremmo bene; ci sentiremmo completamente appagati, a posto di tutto.
Ma poi ci accorgiamo che non è così, perché più abbiamo, più vorremmo avere. Più la materialità, le cose caduche, effimere, ci assorbono, più cadiamo nello sconforto; sentiamo il bisogno vitale di un altro tipo di ossigeno, di “spiritualità”, di entrare in un rapporto interiore con Dio, poiché tutto quello che ci accaparriamo in questo mondo, non influisce minimamente sulla nostra “anima”, non ci porta quella linfa vitale, generatrice di autentica felicità e serenità. Siamo tutti “messe” incolta, in attesa di essere curata, coltivata: una “messe” bisognosa dell’intervento determinante di veri operatori di felicità.
La cronaca nera ci riporta sempre più frequentemente di persone che, ricche e fortunate, sterminano improvvisamente la loro famiglia, i loro cari, per poi uccidersi.
Avevano tutto! Ma tutto ciò che avevano non li rendeva felici, non dava loro la voglia, l’entusiasmo di vivere, di combattere per quella felicità vera e duratura, che trascende le cose di quaggiù. Perché questa è una ricchezza che non si compra, non è in vendita, non è di questo mondo: appartiene allo spirito, all’anima!
Guardiamoci attorno: tutti si lamentano, tutti sono arrabbiati, tutti sono nervosi. Eppure oggi economicamente stiamo molto meglio dei nostri nonni: c’è un maggior benessere, possiamo permetterci vacanze, divertimenti, vestiti eleganti, ogni sorta di cibo e tanto altro ancora. Se qualcuno ci chiedesse cosa ci manca, sinceramente non potremmo che rispondere: “Niente”. Ma non è vero. Ci manca invece proprio quella voglia di vivere che avevano i nostri nonni; ci manca il loro gusto del vivere, del combattere; ci mancano le loro convinzioni profonde, la loro religiosità, i loro ideali, nei quali trovavano veramente la forza per vivere e combattere.
Ecco perché oggi in particolare, di fronte a tanta “messe” in sofferenza c'è tanto bisogno di “operai”, di “uomini di Dio”, di preti “convinti”, che parlino al cuore della gente, che indichino loro la strada che conduce a Dio; non servono “funzionari”, “impiegati” della chiesa gerarchica, ma “inviati” innamorati della loro missione divina, fieri di essere stati scelti da Lui, e completamente disponibili a fare la sua volontà. Non possiamo avere tipi, magari culturalmente preparatissimi, ma in totale asfissia di amore e di divino. Assomiglierebbero in qualche modo ad una dotta dichiarazione della Congregazione della Fede o ad un articolo del Catechismo o del Codice: dottrinalmente perfetti, ma incapaci di riscaldare il cuore, inadeguati a metterci in contatto diretto con l’amore del Signore, a farci sentire che siamo i suoi “benvoluti”, quelli che per Lui hanno valore, quelli importanti. Spesso finiamo per essere un “numero” anche per gli operatori di Dio, per la Chiesa di Dio, oltre che per una società tritatutto come quella di oggi.
Eppure, Dio vede la sua “messe” che langue, e manda continuamente nuovi operai: ma questi operai, come si comportano?
I settantadue del vangelo andavano, guarivano le malattie e annunciavano: “Il regno è qui, in mezzo a voi; datevi da fare!”. Non andavano a dire: “Tu devi fare così; tu sei in peccato, sbagli continuamente; il Signore di sicuro ti punirà, perché non sei un bravo cristiano”. Dicevano invece: “Tu sei ammalato nel cuore, ma se lo vuoi, puoi sicuramente guarire, perché il Signore ti ama e ti aspetta nella sua casa”.
La gente purtroppo è piena di malattie, ma non riesce a trovare dei validi “dottori” per guarire. Forse anche perché continua a credere nell'onnipotenza del medico e non si rende conto che la Vera Forza per guarire è dentro di lei, nel suo cuore. Allora più che di cattedratici, ha bisogno di “medici” esperti di anima, capaci di farle “riprendere conoscenza”, di infonderle fiducia, di iniettarle la consapevolezza che Dio, la Forza vitale, è dentro di lei. “Medici” che la facciano pregare, che tirino fuori il suo spirito, che la alimentino del pane celeste, dell’acqua sorgiva che disseta.
Il male che affligge l’umanità, la malattia che più la debilita, proviene dall’anima, dallo spirito, dal suo interiore. Gran parte delle malattie fisiche, provengono proprio dal fatto che è lo spirito ammalato, che è la psiche che sta male. Ora, da dove viene la malattia, proviene sempre anche la guarigione: il problema pertanto non è di trovare la pastiglia giusta, ma di guarire il nostro spirito contaminato, di cambiare, di ritrovare ciò che abbiamo perso, di riscoprire la sorgente vera della salute.
È in questo modo infatti molti “mali” sparirebbero: l'odio, la collera, l'ira, la paura, la vergogna, il senso di colpa che corrode…; che ce ne facciamo di queste malattie che appestano l’anima? Ci va di guarire veramente? E allora, fratelli, tiriamo fuori la grinta: il regno è qui, ora, diamoci da fare.
Gesù prima di tutto dice: “Pregate”; ma subito dopo aggiunge: “Andate”: in altre parole “Vai tu, muoviti!”. Invece noi normalmente ci fermiamo alla prima parola, alla preghiera: “Fa' Signore che succeda qualcosa; manda qualcuno a guarirmi: aspetto”. E sulla seconda, si tira indietro! Non vuole responsabilità.
Oggi in giro si fa un gran parlare di “responsabilità”, che bisogna essere responsabili, ecc. Ma responsabilità, da “respondeo”, comporta necessariamente un “rispondere”. C'è la chiamata (“vocatus”, vocazione) e c'è la risposta (responsabilità). Noi diventeremo grandi, adulti, quando alla chiamata della vita risponderemo di sì: quando cioè assumeremo le nostre responsabilità. Altrimenti rimarremo gli eterni bambini che delegano in tutto la mamma. L'adulto si fa coinvolgere. Il nullafacente chiama sempre in causa gli altri.
Ci lamentiamo perché la politica fa schifo? Rispondiamo noi in prima persona, facciamo le nostre scelte con coscienza, secondo i nostri principi, la nostra fede. Ci lamentiamo perché in parrocchia si potrebbe fare di più? Rispondiamo in prima persona: “Eccoci”, siamo disponibili: siamo pronti a fare il messaggero, l’animatore, il catechista, e perché no, anche a pulire per terra. Ci lamentiamo perché le cose non vanno come dovrebbero? Andiamo avanti! Insomma noi, oltre che criticare e lamentarci, cosa facciamo? Vogliamo un mondo migliore? benissimo, diamoci da fare!
La vita, Dio, ci interpella continuamente, ha bisogno di noi. Egli ci ha “chiamati” all'esistenza, per consentirci di dargli una risposta. Appena ci ha visto, ci ha detto: “Tu! Ho bisogno di te!”. E noi che facciamo? Continuiamo a trastullarci con i nostri inconcludenti teoremi mentali? Dio non sa cosa farsene delle nostre teorie, delle nostre preghiere, dei nostri omaggi, dei nostri “fioretti”. Egli vuole noi. Punto. Ed è ovvio: un innamorato, una innamorata, non sa che farsene dei regali, dei fiori, dei biglietti, delle telefonate, delle promesse, se poi non ottiene l’amore. Dio è innamorato di noi, vuole il nostro amore, la nostra risposta. Tutto il resto non conta!
Bene: noi cosa “portiamo” in questa chiamata? Cosa diamo, cosa trasmettiamo, quando incontriamo le persone, i fratelli, la messe? Alcuni si dicono soddisfatti: “Io sono sempre pronto per gli altri; io do tanto”. Sì, è vero, ma cosa diamo? Non basta dare; l’importante è “cosa” diamo; “cosa” trasmettiamo, quali sono i “messaggi” che portiamo!.
Sarebbe interessante andare dalle persone che frequentiamo e chiedere loro: “Senti dimmi la verità, quando stai con me, cosa ti passo?”. Mah!
Un fiore non ha bisogno di “portare” profumo: ci inonda di fragranza perché lui è così. Così siamo anche noi. Se nel nostro cuore abbiamo la pace, dovunque andremo ne lasceremo il profumo. Se abbiamo guerra, lasceremo macerie.
I settantadue inviati vanno, e tornano entusiasti: “È proprio così, Signore! Come hai fatto tu così riusciamo a fare anche noi!”. È solo questione di fiducia in Lui, nelle sue Parole: se solo ne abbiamo un briciolo, scopriamo improvvisamente che quello che Lui ha fatto lo possiamo fare anche noi: l’importante è credergli e avere la sua forza dentro di noi.
Gesù è felice nel vedere lo stupore, la gioia, dei suoi discepoli; ma raddrizza subito il tiro: “Non siate felici per il potere che avete, per quello che potete fare. Non siete voi ma è la Forza che è in voi che compie tali prodigi. Siate invece felici per aver fedelmente risposto alla chiamata: non importa se non riuscite a fare miracoli, a guarire gli ammalati, a resuscitare i morti; quello che importa è che per la vostra “risposta”, i vostri nomi sono già scritti in cielo”.
Gli uomini, noi, passiamo tutti: tempo qualche anno e i nostri nomi saranno completamente dimenticati. Più nessuno si ricorderà di noi. Così è per i nomi scritti sulla terra, quaggiù; svaniscono nel nulla.
Ma i nomi scritti nel cielo rimangono per sempre. “State tranquilli” ci dice Gesù: “voi mi avete seguito, avete risposto alla mia chiamata: non sarete abbandonati; state tranquilli, nessuna paura, voi siete protetti, salvati; voi siete nel palmo della Mano di Dio. Nessuno da lì potrà mai rapirvi”. Ebbene: nel cuore di Dio nessun nome passa, nessun nome viene dimenticato. Nel cuore di Dio vivremo per sempre. Amen.

 

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