giovedì 8 agosto 2013

11 Agosto 2013 – XIX Domenica del Tempo Ordinario

«Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito» (Lc 12,35-40).
Ci sono cose che nessuno può portarci via: la serenità di una vita spesa bene, un ideale per cui combattiamo, soffriamo, resistiamo; la commozione provata nei momenti più importanti e toccanti della vita, come la nascita di un figlio; la risposta d’amore che scorgiamo negli occhi delle persone che amiamo; i colori della natura, il profumo dell'erba appena tagliata, il suono del vento, il canto degli uccelli; la gioia del nostro cuore, quando ci sentiamo vivi, vita in mezzo alla Vita. Questo nessuno ce lo potrà mai portare via. Tutto questo rimarrà sempre in noi. Ma ci sono anche tante cose inutili, zavorra che ci rallenta nel cammino. Cose superflue, a ben vedere nocive, deleterie, cose che abbiamo stoltamente raccolto lungo il corso della nostra vita. Ebbene, liberiamocene, buttiamole via: stiamo soprattutto attenti a non attaccarci ad esse; non facciamo di esse il nostro “tesoro”, il nostro riferimento, l'oggetto dei nostri pensieri quotidiani.
Riempiamo le nostre “borse” di cose vere, procuriamoci beni che non passano, che durano, che non invecchiano, ai quali la ruggine, i ladri e le tarme non possono arrivare.
Il denaro può esserci rubato. Le ricchezze possiamo perderle. L'auto può essere distrutta in un attimo. Gli oggetti più belli e preziosi si possono rompere. Le persone più care possono morire improvvisamente. Tutto ciò che è “materiale” passa. Solo i tesori dell'anima, del cuore, quelli spirituali, celesti, nessuno ce li potrà mai sottrarre. Impariamo a tenere tutto nella nostra anima e non avremo più bisogno di possedere altro. Impariamo ad arricchire la nostra anima, e non avremo più bisogno di ricchezze. Tutto ciò che è temporale, aleatorio, prima o poi lo perderemo. Tutto ciò che non appartiene a questa vita provvisoria (Dio, l’anima), deve costituire la nostra vita piena, adesso e in futuro.
Perché dov’è il nostro “tesoro”, là c’è anche il nostro cuore.
Noi cristiani, proprio perché ci chiamano con questo nome, siamo convinti che Dio sia il centro della nostra vita: come pure l'amore, la famiglia, la vita dei nostri cari, i valori morali e sociali, la ricerca costante del bene. Ma è veramente così? Facciamo una piccola prova. Analizziamo bene ciò che durante il giorno assorbe di più la nostra attenzione: perché è quello che costituisce il nostro “tesoro”. Se il nostro esame sarà onesto, ci renderemo conto che non Dio è il nostro polo di attrazione, ma tanto altro: i soldi? i beni materiali? le ricchezze? il sesso? la voglia di emergere? il pregiudizio sugli altri? l'odio? la vendetta? Ecco: noi siamo esattamente ciò che interessa la nostra mente. Se la nostra mente è pervasa sempre da pensieri negativi, da paura, da una critica distruttiva; se vediamo intorno a noi solo dei nemici da combattere, un mondo disgustoso da dominare; se ignoriamo tutto e tutti e affoghiamo i nostri giorni nei piaceri, nei godimenti della vita, nell’egoismo, nella sopraffazione, vuol dire che noi siamo diventati tutto questo. Vuol dire che siamo diventati così, perché dov'è il nostro “tesoro” (i pensieri, i nostri interessi) lì è anche il nostro cuore (noi stessi). Altro che pensare a Dio!
Non possiamo quindi continuare così: dobbiamo pensare seriamente a cambiare, a disciplinarci, a sostituire quello che è il “nucleo” della nostra vita, il centro dei nostri pensieri.
“Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese…”. Il tempo a nostra disposizione è limitato. Non facciamo l’errore di pensare che il presente sia eterno. Le parole di Gesù hanno un senso ben preciso: “Siate svegli, non dormite, siate consapevoli, state attenti a non prendere sonno”, perché il sonno della ragione genera mostri, perché il sonno dell'anima genera solo morte.
Purtroppo nell’uomo vi sono due tendenze contrastanti: quella del soprassedere, del rimandare, dell’adattarsi, del fermarsi, e quella al contrario dell’andare sempre avanti, del progredire, dell’evolversi, del perfezionarsi. Quante volte capita anche a noi di pensare: “Va bene così; sono abbastanza religioso, amo il prossimo più di tanti altri, faccio le mie elemosine, vado in chiesa la domenica; insomma, penso di essere un buon cristiano e quindi mi fermo qui; che mi serve crescere ancora, continuare a sacrificarmi: in fin dei conti non sono un prete, un frate, una monaca”. Nulla di più sbagliato: la strada da percorrere è in costante salita, pericolosamente sdrucciolevole; fermarsi, significa scivolare giù. Il tempo della vita è sempre mutevole, un costante divenire: il domani non sarà mai uguale all’oggi. Solo ciò che è morto rimane immobile, smette di andare avanti, di crescere, di svilupparsi. Tutte le nostre crisi esistenziali sono causate proprio dallo scontro tra queste due inclinazioni. In pratica una ci dice: “Basta, sta qui; fermati, lascia fare; è difficile; è doloroso; dopo tutto anche così non stai affatto male!”. L'altra, invece, ci sprona: “Non fermarti qui, la vita ti chiama ad una nuova tappa, ad una nuova avventura, devi affrontare anche questo nuovo ostacolo, va avanti, devi progredire”. Ed è quanto praticamente ci insegna il vangelo di oggi. Non dobbiamo dormire sugli allori: nella vita o si va avanti o si torna indietro; o si progredisce o si regredisce. Non esiste una posizione di compromesso.
Quelli che pensano di essere svegli, quando invece dormono, avranno un risveglio molto duro. Sarà una sberla in faccia, un pugno allo stomaco: dovranno fare i conti con una nuova impostazione della vita; dovranno affrontare quella che si chiama “conversione”, cioè il cambiare strada, cambiare vita; si renderanno conto che quella che pensavano fosse vita era invece un letargo, una sterile sopravvivenza, un brancolare nel buio; era solo illusione e falsità.
A proposito del dover prendere in mano la propria vita, c'è una storiella che racconta di un padre che al mattino bussa alla porta del figlio: “Antonio, svegliati, devi andare a scuola”; e Antonio: “Non voglio alzarmi papà; non voglio andare a scuola”. “E perché mai?” esclama il padre. “Per tre motivi”, risponde Antonio. “Prima di tutto, è una noia; secondo, i ragazzi mi prendono in giro; terzo, odio la scuola”. E il padre di rimando: “Bene, adesso ti dico io tre ragioni per cui devi invece andare a scuola: primo, perché è tuo dovere; secondo, perché hai quarantacinque anni, e terzo perché sei il preside”.
Una storiella che farebbe sorridere, se non riflettesse in pieno la voglia che tutti abbiamo di scrollarci di dosso le nostre responsabilità, la realtà della nostra vita, i nostri doveri: una tentazione comune fin troppo frequente.
Dunque, svegliamoci, fratelli; apriamo gli occhi, prendiamo coscienza di chi siamo, da dove veniamo, dove siamo diretti, come viviamo; affrontiamo la realtà che ci circonda. Molte persone purtroppo continuano a trastullarsi con i loro giocattoli (soldi, auto, vestiti, fama, il sentirsi importanti). Dicono che hanno intenzione di crescere, di avere un serio desiderio di Dio, di volere, insomma, uscire definitivamente dall'asilo nido in cui si trovano; ma poi nei fatti non dimostrano alcuna affidabilità, non sono credibili. Vogliono procurarsi invece sempre nuovi “giocattoli”: “Voglio un'altra moglie; voglio altri soldi; voglio divertirmi, voglio solo comodità e benessere; non voglio soffrire, non voglio cose mortificanti e impegnative!”. È una malattia molto frequente. Le persone non accettano di sottoporsi a cure radicali e risolutive: preferiscono un palliativo, un sollievo temporaneo, provvisorio. Meglio qualche compressa, qualche soluzione facile facile, già “pronta all'uso”.
Se durante la nostra vita, invece di vegliare, abbiamo preferito dormire, è questa l’ora di svegliarci sul serio. Certo, svegliarci da un sonno comatoso e invalidante, è sempre doloroso: perché improvvisamente tutte le nostre illusioni svaniscono, tutto ciò in cui credevamo, quello che pensavamo fosse vita e verità, quello che era il nostro riferimento, il nostro appoggio, tutto si dissolve nel nulla. In quell’istante ci accorgiamo di non avere più nulla di concreto; non abbiamo più strade conosciute, ci troviamo completamente spogli di tutto, nudi con noi stessi. Unica consolazione è pensare al grave pericolo scampato: potevamo continuare a vivere la nostra non vita, potevamo impastoiarci sempre più nelle nostre illusioni; invece ci siamo svegliati appena in tempo dallo stato di catalessi in cui vivevamo; ed è stata la nostra salvezza.
Ora, completamente svegli, dobbiamo vedere le cose per come sono, nella loro realtà; perché tutto ciò che esiste è realtà, tutto ha un valore di cui siamo chiamati a rispondere: desideri, sentimenti, pregiudizi, ricordi, traumi, complessi, idee giuste e sbagliate; guerra e amore; vita e morte; potere e impotenza. Dobbiamo cioè responsabilizzarci, essere finalmente “consapevoli” di noi stessi, poter chiamare tutte le cose per nome, guardandole in faccia; significa classificare, individuare la vera natura di tutto ciò che c'è in noi e fuori di noi: “Tu sei violenza: questo è il tuo nome. Tu sei trauma: questo è il tuo nome. Tu sei paura, terrore, soffocamento: questo è il tuo nome. Tu sei fallimento, abbandono, tradimento: questo è il tuo nome. Tu sei energia, forza, possibilità: questo è il tuo nome”. Chiamare ogni cosa per nome, come faceva l'uomo all'inizio della creazione, è la forza della vita. Perché chiamare per nome, significa far esistere una cosa, renderla reale, dirle: “Mi piaccia o no, tu ci sei”.
Allora con i termini “vegliare, consapevolezza, lucerna accesa”, il Vangelo oggi ci raccomanda di vedere bene tutto ciò che c'è da vedere, di stare all’erta, di non nasconderci nulla, di chiamare tutto per nome, con il suo nome.
La nostra deve essere un’attesa vigile: non sappiamo quando verremo chiamati all’appello. Sicuramente quando meno ce l'aspettiamo. E allora perché aspettare senza far nulla? Perché sprecare il tempo dell’attesa?
È vero, noi siamo per le comodità. Minimo sforzo, massimo rendimento. Vorremmo poter programmare la nostra fede, sapere in anticipo quanto tempo ancora ci rimane, per poter gestire la nostra vita spirituale con tutto comodo, con calma; per poter camminare senza affanno, avendo davanti a noi, si una salita, ma molto lieve, con gli ostacoli, il percorso, il traguardo, sempre bene in vista. Ma non è così! Noi non sapremo mai come sarà il nostro viaggio, il modo in cui finirà, quale la data esatta della sua fine. È un dono di Dio e Dio non è controllabile.
Tutti noi siamo semplici “amministratori” della nostra vita; il tempo non è nostro, ne abbiamo solo una piccola quantità da gestire. E di come lo avremo impiegato, saremo chiamati a darne conto a Lui. Inutile illuderci. Se dicessimo in cuor nostro: “Beh, sicuramente il padrone non arriverà oggi!”, e ci dessimo alla pazza gioia, a mangiare, a bere e a ubriacarci, saremmo degli emeriti stolti. Come potremmo giustificarci se il padrone arrivasse proprio allora? Sarebbe comunque troppo tardi per piangere sulla nostra infedeltà, sulla nostra stoltezza!
Allora, lo ripeto, non perdiamo altro tempo, fratelli. Siamo vigili. Trattiamo ogni cosa, ogni essere, ogni creatura, con tutto l'amore e il rispetto di cui siamo capaci. Iniziamo soprattutto da noi stessi, dal nostro mondo interiore, dalle persone che ci circondano, dai più vicini, da quelli che in qualche modo “ci abitano”. Stiamo attenti a non addormentarci; non viviamo di sogni, non dissipiamo il nostro tempo, “fregandocene” di tutto e di  tutti. Stiamone certi, il padrone verrà. Non è un monito, una minaccia. È la constatazione di una realtà. Un ricordarci, se mai ce ne fosse bisogno, che prima o poi anche noi dovremo rendere conto di quanto abbiamo avuto in consegna. Amen.
 

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