giovedì 7 novembre 2013

10 Novembre 2013 – XXXII Domenica del Tempo Ordinario

«Si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: “Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”...» (Lc 20,27-38).
Questa volta a fare i provocatori di turno sono i Sadducei, uomini dediti più alla politica che alle problematiche religiose. Nonostante fossero i rappresentanti dell’aristocrazia sacerdotale del Sinedrio, tra le altre cose negavano la dottrina della risurrezione dei corpi, elemento basilare della cultura giudaica.
La loro chiara intenzione è quella di deridere Gesù, di metterlo alla prova, di prenderlo in giro; ma poi, come al solito, sarà Gesù che metterà in difficoltà questi “saputoni”, grazie proprio alla stupidità, banalità e inconsistenza della loro richiesta  .
Il caso che pongono è infatti assurdo, inverosimile, perfino grottesco: “visto che la legge mosaica dice: Se una vedova è senza figli maschi, può essere sposata dal cognato per avere una discendenza(Dt 25, 5), di chi sarà moglie, con quale marito si congiungerà, dopo la risurrezione dei morti, una donna che in vita è stata moglie senza figli di sette fratelli?” È evidente che qui essi esasperano il caso, proprio per mettere in ridicolo Gesù.
Ma Gesù che fa? Li ignora, ovviamente; non dà una risposta diretta, ma approfitta dell'occasione per darci due insegnamenti forti.
Il primo insegnamento: per parlare e discutere di ciò che succederà nell’al di là, dopo la morte, non possiamo utilizzare le stesse categorie mentali con cui ci esprimiamo in questo mondo. Tutte le nostre previsioni non sono altro che ipotesi, allusioni, parabole, immagini. I Sadducei non fanno altro che questo: trasferire immagini note, tratte da questa vita terrena, adattandole al mondo che verrà. Del resto ogni religione fa esattamente così quando intende descrivere la vita dopo la morte: immagini di fuoco, latte e miele che scorrono, pascoli erbosi, luce sfavillante, verdi prati, non sono altro che idee tratte dal patrimonio comune della nostra esistenza attuale. Voler descrivere quello che succederà nella vita futura è impossibile, perché ancora non abbiamo alcuna esperienza in proposito: è come se un bimbo ancora nel grembo materno, volesse descrivere il volto della mamma, la fredda lucentezza di un’aurora, la calda evanescenza di un tramonto marino.
Noi non sappiamo come sarà l'aldilà. Abbiamo dei presentimenti, delle intuizioni, dei segnali, delle tracce: immagini come il “tunnel del grande passaggio”; il fuoco dell'inferno; gli angeli con le ali; i diavoli con le corna; Adamo, Eva, il giardino dell'Eden; i tormenti del fuoco; il paradiso, il purgatorio e l’inferno e quant'altro, non sono che dei tentativi, delle previsioni che veicoliamo dalla nostra fede, dai testi sacri, dalla letteratura cristiana; immagini che ci producono delle emozioni, che ci rappresentano situazioni “celestiali”, è vero, ma che non ci dicono assolutamente nulla di come sarà realmente l’aldilà.
Forse un’idea più realistica la possiamo trarre dall’amore: quando siamo veramente innamorati, ci sembra infatti di vivere l'eterno, l'infinito; quando qualcuno ci ama ci sentiamo immortali, eterni, senza fine, immersi in una situazione di totale appagamento, da cui nessuno potrà mai staccarci. Ecco, l’incontro con l’amore di Dio, nella risurrezione dopo la morte, sarà sicuramente così; anzi, sarà così, ma sarà anche tutt’altra cosa; sarà una cosa ancora più avvincente, ancora più estasiante; vivremo una situazione indescrivibile, inimmaginabile, perché priva in assoluto di alcun termine di paragone.
La curiosità di sapere ad ogni costo come sarà la fine dei tempi, come sarà la vita oltre la morte, quale sarà il destino delle anime, è spesso di origine morbosa: ci rifugiamo nel futuro perché non sappiamo vivere bene il presente. Siamo insicuri, scontenti, in ansia costante. Basterebbe invece non dimenticare mai una cosa sola: che noi siamo figli di Dio, che siamo figli della Resurrezione, i prediletti, gli amati, i riscattati da Cristo.
Se veramente siamo certi di questo, di che altro dobbiamo preoccuparci? Dove sono ancora le nostre angosce? Mettiamoci nelle mani di Dio e, non temendo il futuro, vivremo bene anche il presente.
“Dio non è il Signore dei morti, ma dei vivi; tutti devono vivere per lui e in lui”. È il secondo insegnamento di oggi: quindi neppure la morte può spezzare questa realtà, questo legame d’amicizia, di amore, di speranza; Dio stesso non si sottrarrà mai a questo rapporto, perché lui è il Fedele. Avere fede nella resurrezione, significa appoggiarsi a questa fedeltà, alla Sua fedeltà; perché Dio è colui che non abbandona. Ogni giorno possiamo sperimentare che Lui è il Fedele: anche se sbagliamo, anche se ci allontaniamo da Lui, anche se in certi giorni non accettiamo quanto Lui ci propone, anche se spesso gli siamo infedeli e lo tradiamo, Lui rimane fedele. Lui è una roccia, Lui è il granito; Lui è la mano che non si stacca mai da noi, che non se ne va, che ci tiene forte, che non ci lascia.
Non sapremo ancora con esattezza cosa voglia dire resurrezione, ma sappiamo che Lui è Vita, è Amicizia, è Amore; è Colui che non abbandona mai chi lo ama.
Sappiamo questo, e questo ci deve bastare.
Affidiamoci a Lui, sicuri che non ci lascerà cadere nel buio. Se la nostra vita rimane appoggiata, ancorata su di Lui, allora anche noi dureremo per sempre, perché Dio è per sempre. Fidiamoci e non temiamo. Ma se Dio è rimasto estraneo, sconosciuto, lontano dalla nostra vita, allora sì che avremo tanta paura: “una paura da morire!”.
Quando invece uno si fida ciecamente, tutto diventa facile e meraviglioso: non c'è più niente da temere perché un angelo è con noi e ci conduce, ci protegge, ci sostiene, ci dice dove andare e dove non andare. Potersi fidare di qualcuno e abbandonarsi è straordinario. Ci si sente al sicuro, protetti, non c'è più niente di cui aver paura. In certi giorni magari non “vediamo” Dio che ci conduce, ma sentiamo comunque che Lui ci porta. E l’importante non è tanto dove andiamo, ma che lui c’è.
Prima di andare nell’aldilà avremo tanta paura, ma poi sarà una grande festa. Ciò che incontreremo sarà molto diverso rispetto a quello che ci aspettiamo, a quello che possiamo anche solo lontanamente pensare. È inutile pensarci; è inutile volersi fare delle idee; è inutile voler sapere a tutti i costi. Tutto sarà compiuto, tutto sarà in pienezza.
La morte è la fine di questa vita, ma è anche inizio di un'altra vita. Si tratta di cambiare casa. Molte persone credono che l'inferno o il paradiso sia un po' come un terno al lotto: non possiamo farci nulla e speriamo che ci vada bene! Ma l'inferno e il paradiso ce lo costruiamo noi. L'inferno o il paradiso ce lo scegliamo noi; è nelle nostre mani. E quando andremo di là, Dio non farà nient'altro che confermare le nostre scelte di quaggiù, quello cioè che noi abbiamo voluto.
Scegliamo la vita! Scegliamo il paradiso! Scegliamo l'amore! Dio non vuole che distruggiamo la nostra vita. Dio non vuole che nessun uomo si annienti o si annulli, che nessun uomo perda se stesso. Mai. Dio non è il Dio della morte. Dio è il Dio della vita e vuole che tutti viviamo e che viviamo in pienezza, che viviamo sviluppandoci, crescendo, e che raggiungiamo la massima vitalità possibile. Amen.



 

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