giovedì 6 febbraio 2014

9 Febbraio 2014 – V Domenica del Tempo Ordinario

«Voi siete il sale della terra… voi siete la luce del mondo…» (Mt 5, 13-16).
Il vangelo di oggi ci propone due immagini: il sale e la luce. Sale e luce esprimono due effetti completamente opposti. L’effetto del sale non lo vediamo: lo riconosciamo, lo sentiamo, lo percepiamo, ma non lo vediamo. Vi è mai capitato di preparare la pasta e di dimenticare il sale? Lo “sentiamo” immediatamente. Non si vede, ma se manca, lo sentiamo subito. La luce invece si vede, e fa vedere ogni cosa. Avete presente un black-out? La luce scompare e non si vede più niente. Si è completamente al buio!
Sale e luce, dunque, esprimono rispettivamente: qualcosa che non si vede, che si gusta ma non si vede; e qualcosa invece che è molto visibile, che è percepibile da tutti. Noi dobbiamo essere così: nascosti, invisibili, ma assolutamente necessari e riscontrabili.
Prima considerazione: il sale dà sapore; il “sapore” della vita è dato dal “sentire”: sentire noi stessi, ma anche ciò che ci circonda, il canto degli uccelli, il soffio del vento che scompiglia i capelli, un bimbo che piange, persone che ridono... Attraverso questo “sentire”, noi riusciamo a capire un qualcosa in più su di noi, sulla nostra vita; è come avere un'intuizione sulle sue vicende: abbiamo la fortuna di poter godere delle meraviglie del creato, ma dobbiamo fare anche i conti con la gioia e il dolore... Per questo è importante “sentire” le realtà che ci circondano: sono fonti inesauribili di emozioni, di vibrazioni, di vita interiore, di rinascita. Ma noi, noi “sentiamo”? Cosa sentiamo? Quanto sentiamo? Chiediamocelo, perché il “sentire” è vita; e se lo gustiamo, se lo percepiamo, se lo assaporiamo, diventa cibo salutare per la nostra anima.
Cosa succede se gustiamo poco, se sentiamo poco? Cosa succede se abbiamo perso il senso del gusto? Non sentiamo più niente. Diventiamo insensibili, insofferenti verso tutto e verso tutti. E a volte siamo proprio così! Se la vita ci riserva sofferenze, dolori forti, traumi profondi, cosa facciamo per uscirne fuori, per evitare di soccombere, per non farci trascinare alla deriva della vita? Adottiamo una soluzione: tagliamo tutti i ponti con ciò che ci circonda, e così non sentiamo più niente. Ci desensibilizziamo, ci anestetizziamo. Un rimedio valido per quel momento: ma catastrofico se lo continuiamo anche nel futuro, in quanto continueremo ad essere tagliati fuori dalla vita; non sentiremo più nulla: né la gioia, né l'amore, né la vitalità, né la compassione; nulla più ci procurerà commozione, nulla più ci farà tenerezza. Saremo impassibili, indifferenti, lontani e insensibili a tutto ciò che ci offre la vita. Allora ci lamentiamo che la vita è noiosa; che è un tran-tran insopportabile; che è sempre la solita, insignificante; che purtroppo non c’è nulla da fare e bisogna accontentarsi. In realtà la vita è ricchissima; siamo noi che non sentiamo, che siamo in “folle”, che non riusciamo più ad ingranare nessuna marcia.
Ci veniamo a trovare nella stessa situazione di quando, ascoltando musica con le cuffie, qualcuno ci dice qualcosa; diciamo: “Scusa, non ho sentito!”. E cosa facciamo? Ci togliamo le cuffie. Ebbene: nella vita dobbiamo fare altrettanto. Per sentire la “vita”, per gustare il sapore delle cose, dobbiamo togliere i tappi che ci siamo messi. All'inizio forse sentiremo un gran dolore (è proprio per non sentirlo che ci siamo messi i tappi!), ma se avremo pazienza e voglia di superare la situazione, pian piano, risentiremo nuovamente il gusto del bello, del buono; in una parola ci riprenderemo il “sapore” della vita e di ogni cosa del creato.
Altra considerazione: il sapore della vita ci viene dal sentirci utili.
La grande domanda che tutti, prima o poi, ci facciamo – e se non ce la facciamo è perché la risposta potrebbe non piacerci - è: “A che serve la mia vita?”.
Alcune persone, come i genitori, vivono “servendo” i figli (nel senso di essere utili ai figli; far crescere una vita ci fa sentire certamente utili, importanti, orgogliosi; è una cosa meravigliosa). Soltanto che poi i figli crescono, e poiché i genitori hanno ancora bisogno di sentirsi utili, continuano ad intromettersi negli affari dei figli. E si arrabbiano se questi li escludono dalla loro vita.
Altre persone si sentono “realizzate” dal lavoro; poi quando per qualche motivo vengono “scaricate”, vivono questa esperienza come un autentico fallimento totale.
Per altri ancora il “sentirsi utili” diventa una mania, una necessità vitale, per cui se talvolta non vengono “invitati” o coinvolti, si offendono, si risentono, si infuriano, arrivano anche a rompere legami forti di parentela o di amicizia. In questo caso, il “sentirsi utili” coincide con il nostro bisogno di primeggiare, di essere considerati indispensabili, di essere ammirati: e questo non va bene.
Per “essere veramente utili” dobbiamo infatti metterci a disposizione per dare o fare un servizio alla collettività, al prossimo: noi viviamo se il nostro vivere produce “vita”, evoluzione, benessere, amore, crescita; allora, anche se siamo servi, all’ultimo gradino della scala sociale, anche se non appariamo, se non saliamo le vette della notorietà, siamo comunque utili a qualcosa e a qualcuno. Noi viviamo e sentiamo di aver dentro di noi qualcosa di importante, dei talenti, una passione, dei doni, che possono essere utili ai fratelli, a questo mondo: lo rendiamo disponibile, lo offriamo, lo doniamo; e il nostro dono è utile, ci aiuta. Perché in questo c'è sapore, c'è gusto, c’è gioia: anche nel faticare, anche nel lottare, anche nel soffrire, perché ciò fa parte di quello che siamo, e deve servire, rendere un servizio agli altri. Non a caso la parola “sale” in ebraico (melah; m-l-h) ha la stessa radice di “pane” (lehem; l-h-m): il “sapore” infatti proviene dall'essere dono, nutrimento vitale (sale o pane) per qualcun altro.
«Voi siete il sale della terra». Ora, la “terra” è la vita di tutti i giorni: cosa vuol dire allora essere sale, senso, sapore, di questa terra? Vuol dire aiutare le persone a trovare il significato, il senso della loro vita, il senso di ciò che accade. Solo così siamo il sale della terra.
Dobbiamo insegnare alle persone a riflettere su ciò che vivono, a farsi delle domande, ad ascoltare Dio che parla al cuore di tutti, sempre e in continuazione; e lo fa attraverso i fatti, gli eventi e gli incontri di ogni giorno. La gente dice: “Dio? E dov'è?”. Per forza dice così, perché non lo sente, perché pensa che Lui se ne stia altrove, a farsi i fatti suoi, mentre noi dobbiamo arrangiarci quaggiù. Ma non è così: perché Lui, al contrario, ci è vicino, ci parla e ci educa continuamente. E noi dobbiamo farlo capire alla gente, dobbiamo ridare loro il gusto della vita.
La parola sapienza viene dal latino “sapio” che vuol dire “assaggiare, gustare”. Dobbiamo pertanto diventare saggi, sapienti; e lo diventeremo se sapremo “gustare”, quando sapremo imparare dalle nostre esperienze. Tutto insegna o nulla insegna: dipende da noi. La vita è una grande scuola, se si vuole imparare. Ma solo se si vuole imparare.
L'altra immagine del vangelo è la luce. La luce, la lampada ad olio, per una povera casa palestinese era tutto. Per noi, ad esempio, è difficile capire il Salmo: “Lampada ai miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal 118), perché la luce ce l’abbiamo sempre a portata di mano, è sempre a nostra disposizione. Ci basta un pulsante per accenderla! Ma fino ad un secolo fa', anche una piccola lampada o una semplice candela erano fondamentali. Ebbene, Dio è la nostra luce, e noi dobbiamo irradiarla intorno a noi. “Dio” infatti è una parola sanscrita che vuol dire “luce”. E la luce è abbinata alla vita: “Venire alla luce” o “dare alla luce”, significa nascere; “spegnersi”, vuol dire morire. Allora, cosa vuol dire “siete la luce del mondo”? Vuol dire esattamente due cose: “emettere” luce (essere luminosi) e “portare” luce (illuminare).
Emettere luce: tutto l'universo sembra materia ma, come ci insegna la fisica quantistica, tutto invece è luce, energia. Noi siamo materia ma potenzialmente siamo luce. Il nostro compito? Diventare luce, diventare luminosi e illuminati, per illuminare la nostra vita e fare luce in quella degli altri, perché tutti possiamo così vedere la vera entità di ciò che siamo.
La gente si guarda allo specchio e cosa vede? Vede un corpo, grasso o magro, bello o brutto, con la pelle liscia o piena di impurità, di brufoli. La gente mangia, beve, accumula e possiede; vive nel piano della materia. Ma noi dobbiamo far capire alle persone che la vera essenza di ciascuno, non è questa. Noi siamo luce perché abbiamo uno “spirito” che vuol vivere in noi: abbiamo un’anima che vivrà per sempre, e uno Spirito che vuol uscire da noi, che vuole manifestarsi. Ebbene, emettere luce vuol dire entrare in contatto con questo Spirito, e comunicarlo a tutti, per far vibrare la loro parte “vera”, quella interna, quella che c'è in tutti noi. Sì, perché noi siamo anima, siamo spirito; noi siamo emozione; siamo “divino”; siamo energia, siamo canto; siamo musica; siamo luce; siamo fuoco; siamo forza. Noi siamo nel tutto e il Tutto è in noi. Senza spirito, senza interiorità, non c'è luce per noi e neppure per questo mondo. Vi ricordate il volto di Madre Teresa? non era certo bello! Pieno di rughe! Eppure... aveva una luce! Il suo volto e i suoi occhi lasciavano trasparire una luce meravigliosa. Perché dentro di lei c’era Dio, l'Energia, e lo si vedeva chiaramente!
Emettere luce allora vuol dire risplendere, illuminare, far vivere la luce che abbiamo dentro.
Vuol dire far uscire tutta l'energia, la vitalità che abbiamo dentro. Dobbiamo essere sempre il meglio, il massimo di noi. Non possiamo vivere al di sotto di ciò che siamo: risplendiamo, illuminiamo questo mondo con la nostra luce. Cosa aspettiamo? Cosa aspettiamo a diventare una stella nel cielo di questa vita, per illuminare il mondo?
In uno stadio, durante una manifestazione notturna di tanti anni fa, i riflettori improvvisamente si spensero. Allora un uomo urlò: “Tutti quelli che hanno un accendino, lo accendano”. E piano piano uno, due, dieci, cento, mille, diecimila... Lo stadio si illuminò a giorno. Ebbene, tutto il mondo ha bisogno di noi e della nostra piccola luce: e tutto il mondo sarà più luminoso, se anche ciascuno di noi diffonderà la sua luce. Amen.

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