giovedì 1 maggio 2014

4 Maggio 2014 – III Domenica di Pasqua

«Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo». (Lc 24, 13-35).
Il vangelo di oggi racconta la delusione dei due discepoli che, abbandonata Gerusalemme, si dirigono verso Emmaus. Camminano e parlano fra loro. È naturale che i loro discorsi siano incentrati sulle ultime ore di vita del loro maestro, la cui tragica fine è ancora impressa dolorosamente nella loro mente. Avevano creduto in Gesù, avevano posto il lui grandi speranze; veramente quest'uomo li aveva "presi", entusiasmati, contagiati. Ma adesso tutto è finito e la loro delusione è grande, enorme, insopportabile, senza fine.
Sembra vederli quei poveretti, quando al tramonto camminano assorti nei loro sconfortanti ricordi: eppure quante volte ci ritroviamo anche noi nello stesso identico stato d’animo: “Questo proprio non mi doveva succedere! Non me l'aspettavo! Non ci voleva! Ed ora cosa faccio?”. E siamo delusi, abbattuti: “Pensavo che le cose andassero diversamente, e invece...”. E siamo infuriati: “perché la vita ce l’ha tanto con me? Che ho mai fatto a Dio di tanto male?”. Quante volte siamo delusi anche noi da come va la nostra vita! Nutrivamo tante speranze, avevamo delle attese, delle aspettative sui nostri rapporti, sul nostro matrimonio, sulle amicizie, sul nostro futuro… e invece, poi, contro ogni logica, tutto è andato storto!
Sì, siamo giustamente e profondamente delusi: e non ci accorgiamo che, sempre nella nostra vita, quando siamo in difficoltà, Gesù si mette al nostro fianco, cammina con noi, percorre la nostra stessa strada. Come succede ai due discepoli di Emmaus, non ci rendiamo conto della sua presenza, non lo riconosciamo. Eppure quella di vederlo è un’esperienza meravigliosa che tutti possiamo vivere, nessuno escluso: è sufficiente avere fede.
Purtroppo però noi ci siamo fatti di Dio un’idea tutta nostra: quando cioè deve intervenire, egli lo fa in maniera forte, straordinaria, si presenta in modo eccezionale, con una presenza sovrumana, con metodi strabilianti: solo così noi lo potremmo riconoscere; solo così potremmo accettare i suoi discorsi, i suoi consigli. Se vuole avvicinarsi a noi, lo deve fare in certi modi, a certe condizioni: siamo noi a dettare le condizioni, a stabilire come, dove, quando. Nella vita abbiamo cose ben più importanti per la testa, che immaginare un Dio che improvvisamente decide di calarsi nella nostra vita, nelle nostre giornate, camminare al nostro fianco, rimanendo in incognito. Non siamo inclini agli indovinelli!
Eppure dovremmo sapere che proprio quando non lo vediamo, proprio quando la nostra vita è uno schifo, arida, quando abbiamo veramente bisogno di Lui, quando lo chiamiamo a gran voce ma lui non si fa vivo, non è Lui che non viene da noi, ma siamo noi che, schiavi dei nostri schemi mentali, non riusciamo a vederlo. E nonostante ciò, Egli ripasserà ancora, correrà da noi ogniqualvolta ci troviamo in difficoltà:ma se noi continuiamo a guardare sempre con il paraocchi, continueremo sempre a non vederlo: questa purtroppo è la nostra grande sventura.
Sì, perché Dio nella sua pazienza, nel suo immenso amore, continua a starci sempre accanto, anche quando noi non lo vediamo, lo ignoriamo. Dio ci parla, ci guida, ci indirizza anche se non ci accorgiamo che è veramente Lui.
Continuiamo testardamente ad andare per la nostra strada, in senso contrario a quello in cui dovremmo andare. Siamo al buio, senza Luce, senza Dio: continuiamo a fare ciò che non dovremmo fare, proseguiamo a casaccio per la nostra cattiva strada, rincorsi dalla paura, dall’angoscia, dal risentimento.
Gli apostoli avevano abbandonato tutto per Gesù: casa, lavoro, famiglia, moglie, figli; in una parola tutte le loro certezze: possiamo quindi capire bene la delusione immensa che hanno provato alla sua morte.
Per loro è stata veramente la “fine del mondo”. Ma, incredibilmente, è proprio in questo “fallimento”, è all'interno di questa amara delusione, che incontrano Gesù.
Quando ci succede qualcosa di grave e il mondo sembra crollare intorno a noi, in realtà è la fine di un nostro mondo, non “del” mondo. Quando ci sentiamo dei falliti, abbiamo mancato solo un nostro obiettivo, un nostro modo di vederci, un modo di pensare, di vivere, ma non siamo “noi” i falliti. È nel bel mezzo delle nostre delusioni, dei nostri fallimenti, che possiamo scorgere Dio al nostro fianco; è proprio allora che possiamo incontrarlo a tu per tu, ascoltarlo, parlargli apertamente. È qui, una volta abbattuti i muri del nostro orgoglio, della nostra caparbietà, delle nostre apparenti sicurezze, che lui può entrare in noi e noi in Lui. È questa l’occasione in cui possiamo fare una esperienza vera e profonda di Dio: è proprio nel nostro fallimento più totale, quando cioè nessuno più ci stima, quando il lavoro, la vita, la famiglia, non ci danno più alcuna soddisfazione, quando ci accorgiamo di aver perduto la nostra facciata, il nostro buon nome, la nostra onorabilità, quando ci scopriamo colpiti da una malattia che non perdona: è esattamente allora che possiamo sentire in pieno la forza e il conforto del suo amore. È allora che Dio si avvicina a noi: e non perché abbiamo qualcosa di “bello” da offrirgli, ma semplicemente perché lui cerca noi, in tutta la nostra nudità, in tutte le nostre debolezze e miserie. Allora abbiamo la certezza che Lui ci ama semplicemente perché siamo noi, così come siamo; ci chiama con il nostro nome: noi e nessun altro. Allora lo “sentiamo” per davvero; allora conosciamo veramente chi è Dio.
Ogni volta che cadiamo, ogni volta che falliamo, dobbiamo chiederci: “Cosa mi sta dicendo ora Dio? Cosa devo imparare?” E dobbiamo ascoltarlo, perché lui solo ci guida alla salvezza, solo a lui noi interessiamo così come siamo, anche se siamo caduti così in basso. E lui, quando si avvicina, ci fa parlare, ci fa esprimere tutta la nostra amarezza, le nostre delusioni, la nostra tristezza, il nostro malessere, tutti i disagi che abbiamo dentro.
Noi abbiamo bisogno di "tirare fuori" il nostro male, il nostro dolore, tutto ciò che ci opprime. Il dolore è come un veleno: se non lo sputiamo fuori ci uccide. Abbiamo bisogno di "tirare fuori" le nostre gioie, le nostre speranze, la nostra vita, perché prenda forma, perché circoli, perché viva, perché si espanda. Abbiamo bisogno di raccontare le nostre esperienze, il nostro profondo perché raccontandolo lo facciamo esistere.
Chi ha vissuto queste esperienze lo sa: quando i nostri cuori si sono aperti nella preghiera, quando si sono rivelati umilmente in tutta la loro debolezza, quando abbiamo abbassato tutte le nostre maschere, è allora che abbiamo sentito davvero Dio. Chi non vuole aprirsi quando lui si avvicina, decide di non incontrare il Dio della vita. E non capisce che senza la luce di Dio nulla ha un senso: perché è lui che ci indica il filo conduttore che lega tutto ciò che ci succede: è così che possiamo guardare la nostra vita con gli occhi di Gesù, con gli occhi della fede. E la nostra vita acquista allora un senso profondo. Anche le cose apparentemente più negative, come la malattia, le disgrazie più sconvolgenti, acquistano un significato. Non è mai un caso se succedono e viviamo certe cose: e quando ci accorgiamo che tutto accade per un senso, per un motivo, è allora che diventiamo responsabili della nostra vita e di quella degli altri; è allora che non possiamo più vivere con gli occhi chiusi; è allora che sentiamo la nostra vita veramente nelle nostre mani e soprattutto nelle nostre scelte.
Gesù si affianca ai discepoli e li ascolta. Non fa altro. Loro però non lo riconoscono perché sono troppo presi dai loro problemi, dal loro dolore, dalla loro delusione e dalla loro sofferenza. Avviene esattamente anche a noi quando siamo troppo dentro ad una cosa: non vediamo altro che questa. Solamente dopo aver "buttato fuori" tutta la nostra sofferenza potremo "vedere" le cose diversamente. Solo allora potremo vedere Gesù.
E allora quando ci rivolgiamo a Lui, preghiamolo non perché sia Lui a risolvere i nostri problemi, ma perché aiuti noi a vederli e a risolverli. E dobbiamo essere pronti ad accettare la sua risposta. Qualunque risposta.
Il vangelo di oggi, poi, ci dice che tutto questo (Gesù che ci accompagna, Gesù che vuole che ci confidiamo con lui, Gesù che ci spiega che tutto ha un senso positivo nella vita, compresi i fallimenti e le sconfitte) lo possiamo trovare realmente nell’Eucaristia: allo “spezzare del pane” sull’altare, anche i nostri occhi si apriranno, e sentiremo il nostro cuore aprirsi e “ardere” di gioia.
Anche i discepoli lo riconoscono in questo momento; e anche noi, in questo momento, capiremo che Lui è sempre, continuamente, al nostro fianco; capiremo che Lui c’è sempre, quando lo vediamo e anche quando non lo vediamo, quando lo sentiamo e anche quando non lo sentiamo. È una certezza intima, quella che sentiremo, che ci consolerà, ci ricaricherà, ci darà la forza di superare ogni asperità del nostro cammino. In quel momento di grande intimità con Lui, sentiremo il nostro cuore ardere di un fuoco che illumina, che riscalda, che brucia, che spiana ogni difficoltà: e ci sentiremo pronti, nel nostro andare, ad essere anche noi fuoco di luce e di calore per quanti incontriamo. Sì, perché quando abbiamo Dio dentro di noi, non abbiamo più bisogno di trovarlo fuori; quando Dio è dentro di noi, ovunque andiamo, lo porteremo sempre con noi e potremo condividerlo nell’amore e nella carità con quanti incontriamo. Amen.

 

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