mercoledì 2 luglio 2014

6 Luglio 2014 – XIV Domenica del Tempo Ordinario

«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza… Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro… imparate da me, che sono mite e umile di cuore…» (Mt 11,25-30).
In queste parole possiamo cogliere un’esplosione di gioia di Gesù, un momento di commozione, di illuminazione, di consapevolezza, di stupore, di giubilo. Succede così quando, nel dubbio, nel buio, nell'oscurità interiore, tutto improvvisamente ci diventa chiaro. Fino a poco prima non riuscivamo a capire nulla; poi in un istante, all’improvviso, tutto diventa comprensibile, semplice, alla nostra portata.
Il contesto da cui è tratto il testo di oggi, ci dice che Gesù è triste, si trova in un momento di profonda delusione per la diffidenza di chi gli stava vicino: fa trasparire il volto umano di Gesù, che, come succede spesso a tutti noi, non capisce e non si dà spiegazione di certi comportamenti.
Egli fa il bene ovunque si trova, insegna ad amare, a non giudicare, porta accoglienza e dignità soprattutto dove non sono mai state sperimentate, guarisce, libera, aiuta ciascuno a ritrovare il proprio volto deturpato dalle ferite della vita, a ritrovare il senso di una strada persa o mai trovata, a ritrovare la gioia, l’emozione di vivere: e come risposta la gente lo rifiuta, gli gira le spalle, lo accusa, lo attacca, gli si scaglia contro come se fosse il peggiore dei nemici.
Del resto, ripeto, è una situazione molto comune, una situazione in cui viene naturale anche a noi chiederci: “Cos’ho fatto di male?”. In realtà, nulla.
Ma è proprio in tale situazione che a noi umani è richiesto un primo salto di qualità nel nostro cammino spirituale: dobbiamo cioè passare dal fare ciò che facciamo, aspettandoci il riconoscimento degli altri, al farlo come risposta ad una specifica chiamata di Dio, il cui campo di esecuzione avviene nella riservatezza e nell’umile nascondimento del proprio io.
Consapevoli di operare per la sola gloria di Dio, non dobbiamo dimenticare le parole che Madre Teresa diceva a questo proposito: “Quando fai il bene, gli altri diranno che lo fai per motivi egoistici, per secondi fini, ma tu continua a farlo. Quando hai successo nel bene, ti fai dei falsi amici e dei veri nemici, ma tu continua ad averlo. La sincerità e la franchezza ti rendono vulnerabile, ma tu continua ad essere sincero e franco. Quel che hai costruito in anni di lavoro può andare distrutto in una notte, ma tu continua a costruire. Del tuo aiuto c’è realmente bisogno, anche se la gente ti attacca proprio quando l’aiuti; tu però, aiutala ugualmente. Da’ al mondo il meglio di te; ti tratteranno a pesci in faccia, ma tu continua a dare il meglio di te”.
Purtroppo, al contrario, quando non abbiamo un motivo valido per vivere, quando sentiamo che la nostra vita è inutile o quando, semplicemente, non siamo in grado di reggere le difficoltà del cercare la verità, del trovarla di persona, succede che ci vendiamo a qualche ideologia; troviamo cioè motivazioni pseudo religiose che ci esaltano a livello umano, portandoci a condurre una vita che pensiamo sia meritoria, nobile, retta e santa. E non ci accorgiamo che così facendo, gratifichiamo soltanto il nostro amor proprio. S. Teresa d’Avila diceva: “Dio ci liberi da quelli che vivono in un certo modo credendo di essere dei santi; se quei tizi non fossero così fermamente convinti di essere santi, sarebbe molto più facile convincerli del contrario!”.
Ciò che stupisce nel vangelo di oggi è la reazione di Gesù: in una situazione di profonda delusione, di scoraggiamento, lui – invece di recriminare - innalza un inno alla vita e si lascia stupire da ciò che il Padre fa. Egli non cade nella trappola del negativismo: vede il male, vede l’ottusità e l’oscurità della gente, ma sa vedere soprattutto il bene e la meraviglia che comunque c’è nel mondo.
C’è il male nel mondo? Certo, e più cerchiamo, più ne troviamo. C’è il bene nel mondo? Certo, e più cerchiamo, più ne troviamo. C’è negatività nel mondo? Oh sì tantissima, e più la cerchiamo, più la troviamo. C’è positività nel mondo? Oh sì, tantissima, e più la cerchiamo, più la troviamo. Tutto quindi dipende dai nostri occhi, da cosa vediamo. Cosa cerchiamo esattamente? Perché alla fine vedremo e troveremo soltanto ciò che noi “vogliamo” vedere e trovare: nient’altro.
Quando ci guardiamo allo specchio, cosa vediamo? Se pensiamo di riflettere un bel sorriso con i denti allineati, una pelle perfettamente liscia e tonica, magari non li troviamo. Ma se vogliamo cercare le rughe, le troviamo tutte. Quando guardiamo nostro figlio cosa vediamo? Se vediamo che non si è laureato, che non si è affermato come noi volevamo, ci sentiamo profondamente delusi e ci diciamo che, come genitori, abbiamo fallito. Se guardiamo invece che sta crescendo con sani principi, che affronta apertamente e con grande forza interiore le contrarietà della vita, che fa con entusiasmo e in piena libertà le sue scelte, allora non possiamo che gioire ed essere orgogliosi di quel nostro figlio. Perché noi troveremo sempre ciò che cerchiamo.
Lo stesso succede con quello che ci succede nella vita: una crisi, una malattia, può essere un dramma, ma anche una grande occasione di riscatto. Niente è veramente negativo; tutto dipende dai nostri occhi. L’essere pessimisti oppure ottimisti non dipende da ciò che ci succede intorno, all’esterno, ma da ciò che noi abbiamo dentro.
Una buona fortuna? Una cattiva fortuna? Chi lo sa? Lasciamo fare alla Vita.
Ciò che Gesù sta vivendo per colpa della gente non è affatto bello né tantomeno gratificante. Eppure tutto questo non gli impedisce di tenere un cuore capace di stupirsi, di meravigliarsi, di cantare, di gioire, di sorridere e di amare. Con l’aria che “tirava attorno” non c’era poi tanto da ridere: eppure Gesù era capace di sorridere, era capace di tenerezza, di abbracciare, di cantare, di stupirsi e di benedire.
Non permettiamo che i fatti della vita induriscano o inacidiscano il nostro cuore. Teniamolo vivo; teniamolo libero.
Fare esperienza di Dio è una cosa talmente grande, così sublime, che l’unico sentimento che possiamo trovare è lo stupore: “non ho parole…!”. “Mistica” infatti, dal greco miein, vuol dire proprio questo: “Non ci sono parole, è troppo grande”. Ebbene, lo “stupore” è il poter vedere la forza e la bellezza della vita, al di là di ciò che ci succede, al di là di ciò che ci sembra. Lo stupore è una questione di fede: vediamo i problemi, le difficoltà, il negativo, ma non permettiamo che tutto questo distrugga ciò che siamo, la nostra felicità, la nostra serenità; soprattutto distrugga il Dio che abita dentro di noi.
Lo “stupore” è fare l’esperienza che c’è un di più che ci supera, e lasciare che questo di più ci entri dentro. Non è il saperlo con la mente, ma il lasciarsi coinvolgere con il cuore. I bambini vivono di questo.
I bambini infatti non sanno che la mamma li ama, lo “sentono”. I bambini guardano una foglia, le stelle, un gatto: e dietro tutte queste cose vedono un mistero: e si stupiscono, sorridono, e amano.
Un giorno chiesero ad Einstein quale fosse la forza che lo aiutava nel suo continuo studio. Rispose: “L’unica forza che mi spinge nella vita e nel lavoro, è lo stupore, la meraviglia che trovo di fronte alla natura”. Una tradizione araba dice che “il mondo non finirà, fintantoché ci sarà anche un solo uomo che, alzandosi al mattino, guarderà il sole e loderà Dio per questo”.
Lasciamoci stupire da quello che ci circonda! I mistici talvolta dicevano: “Signore sono talmente pieno di gioia che potrei morire”. La vita, dono di Dio, è talmente bella, grande, colma, ricca, entusiasmante che, anche quando a volte è tragica, merita comunque di essere vissuta pienamente e con riconoscenza.
Se noi lasciamo che il volto, il cuore di nostra moglie ci entri dentro, allora la vita è amore. Se lasciamo che il cielo, le stelle, ci entrino nel cuore, allora la vita è piena. Se lasciamo che la passione per una giusta causa ci invada, allora la vita è significativa. Se ci lasciamo toccare dalle parole di un uomo, allora sentiremo che la vita è comunione. Se ci lasciamo toccare dal pianto, dalla sofferenza di un uomo, allora sentiremo che la vita è umana. Se ci lasciamo toccare da ciò che vediamo, da ciò che sentiamo, da ciò che succede, allora certo non capiremo Dio - perché nessuno lo può capire - ma sapremo che lui c’è. Se viviamo così, ricevendo, accogliendo, imparando, allora la vita sarà sempre ricca, sarà sempre piena, sarà sempre colma, sarà sempre leggera: e vivere sarà decisamente bello.
Gesù, con le parole di oggi, si rivolge a tutti gli affaticati e gli oppressi. Chi erano? “Affaticati e oppressi” erano tutti quella povera gente che non riusciva a sostenere il culto pesante della legge ebraica, con le sue prescrizioni, le sue decime (per i poveri era praticamente impossibile essere bravi religiosi). Ai nostri giorni “oppressioni” possono essere tutte quelle false “costrizioni” religiose a cui ci siamo incatenati; costrizioni che non ci lasciano amare, che dopo certi errori ci condannano inesorabilmente. Ebbene, proprio perché siamo “oppressi” da tutte queste nostre “infatuazioni” formali, proprio perché esse ci condannano, ci costringono, Gesù ci chiama per andare da lui. E Lui ci accoglie, perché aspetta proprio noi, gli “oppressi”.
E tutti in qualche modo siamo oppressi: per alcune persone, oppressione è il non riuscire a venir fuori da certi tunnel. Un uomo, per esempio, non riesce a smettere di bere: ci sta provando davvero, ce la mette tutta; per un po’ ce la fa, ma alla prima frustrazione ci ricade. La sua volontà è inefficace, forse perché troppo ferita. Allora si sente indegno di Dio. Ma Dio accoglie proprio tutti gli affaticati e oppressi.
Per altre persone, oppressione è il pretendere l’impossibile da se stessi. Una donna è stata abbandonata dal marito, ha due figli adolescenti, e non è facile educarli da sola. Lei ci prova ma si accorge che non ce la fa, si accorge che per il suo carattere le è impossibile essere dura di fronte a certe scelte dei figli. Allora si addossa tutte le colpe e si sente una cattiva madre; è oppressa da questo peso; ma Gesù che la conosce e vede tutto il suo impegno, la chiama a sé, perché non si giudichi troppo e sia contenta di tutto quello che fa.
Gesù è la casa di tutti quelli che faticano a vivere, di tutti quelli che si sentono feriti, di tutti quelli che sono oppressi da pesi e dolori grandi.
E allora, quando ci sentiamo così, andiamo da Gesù. Lui è sempre pronto ad accoglierci; da Lui potremo trovare sempre un po’ di pace e di ristoro. Andiamo da Gesù: urliamogli tutto il nostro sdegno, le nostre amarezze, le nostre difficoltà. Andiamo da Gesù e sfoghiamo la nostra rabbia; urliamo il nostro peso, piangiamo il nostro dolore, gridiamogli l’ingiustizia degli uomini. Lui ci ascolterà; ci darà forza per andare avanti e luce per trovare altre soluzioni. Amen.

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