giovedì 30 ottobre 2014

1-2 Novembre 2014 – Tutti i Santi e Commemorazione dei fedeli defunti


«Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: Beati i poveri in spirito… ». (Mt 5,1-12).
Il vangelo di oggi ci dice che con Gesù, tutti possono avvicinarsi a Dio. Tutti lo possono incontrare, perché Dio non mette alcuna barriera tra noi e lui. Anzi è proprio Gesù, come ci dice il vangelo di oggi, che attira i discepoli, attrae le folle. Con lui Dio non è più un Dio da temere ma è un Dio che affascina, un Dio Padre di infinita bontà. Quindi non un Dio da evitare, ma un Dio da incontrare, da avvicinare, da cercare. Non un Dio che ci può punire ma un Dio che vuole amarci sempre più. Un Dio che non esige mai qualcosa in cambio da noi, ma un Dio che è lì per dare Lui qualcosa a noi. Il Dio di Gesù non può incutere paura: e se noi abbiamo paura di Dio, vuol dire che il nostro non è il Dio del vangelo.
Gesù dunque, una volta che la folla si è raccolta intorno a lui, proclama le otto beatitudini: perché otto? Perché nella simbologia del cristianesimo primitivo indicava la resurrezione (“l’ottavo giorno”); Gesù, con le beatitudini “della risurrezione”, ci indica infatti lo stile di una vita che non verrà mai meno: chi vive le beatitudini, infatti, vivrà per sempre, vivrà una vita che non sarà mai interrotta dalla morte.
Il segreto per essere felici già in questa vita? Praticare le beatitudini, un condensato del “donare”: infatti “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20,35): più ci doniamo agli altri, più siamo felici. Se vogliamo realizzare in tutti i sensi la nostra vita, dobbiamo donare noi stessi agli altri: al contrario togliere, rubare, tenere solo per sé, per arricchire se stessi, equivale a perdere la vita, significa morire.
I Santi l’hanno capito e l’hanno messo in pratica: santi, oltre a quelli innalzati agli onori degli altari, sono infatti tutti coloro che hanno vissuto, o che ancora vivono, la loro vita per donare, per condividere, non per isolarsi, per chiudersi egoisticamente, ignorando il prossimo.
Dare infatti è sinonimo di amare, e amare significa “creare”: donare cioè qualcosa di noi che faccia nascere e crescere qualcosa nell’altro. È questa nascita che ci procura la gioia più vera, la gioia “divina” del creare, che ci fa sentire realizzati e fecondi.
Noi capiremo che la nostra vita ha centrato il suo senso profondo soltanto quando, donandoci, possiamo essere utili agli altri; perché in questo modo ciò che noi siamo, diventa un bene comune, un bene per tutti, per il mondo intero; vuol dire che siamo importanti non per la fama o per le ricchezze, ma per il nostro amore, per la nostra dedizione, perché il nostro essere, la nostra vita, diventa “vita” per altri.
Questo è il filo conduttore, la filosofia delle beatitudini. In pratica esse ci dicono: “Tu puoi essere felice. E come lo puoi tu, lo possono tutti”. Qui però non funziona come nel commercio: uno vuol comprare qualcosa, paga, e riceve l’oggetto dei suoi desideri o delle sue necessità. Qui non c’è niente da dare, qui c’è solo da darsi; qui non si fa shopping, non c’è da giocare, da divertirsi, ma c’è da mettersi in gioco su tutto; qui non c’è da fare o non fare qualcosa, ma da essere e vivere qualcosa.
Ecco: le beatitudini ci mostrano esattamente come dobbiamo essere. Il mondo, il benessere,l’egoismo,  ci suggeriscono continuamente: “Riguardati, non buttarti via, accontentati di pensare a te stesso, gli altri si arrangino”. Le beatitudini invece: “Non fermarti, punta sempre più in alto, osa, vola ad alta quota, perché tu sei fatto per questo. Questo è ciò che Dio vuole da te e per te, questa è la tua unica felicità. Non hai idea di cosa puoi vivere, di come puoi sentire pieno e grande il tuo cuore! Non hai idea di quanto tu possa amare, quale profondità possano raggiungere i tuoi rapporti, con che ricchezza di sentimenti tu possa sentire, percepire e vivere”.
Le beatitudini non insegnano a non avere contrasti, conflitti, perché non si può vivere senza tutto questo. Non insegnano ad evitare i conflitti ma ad entrarci, a superarli; non insegnano a sottrarsi al dolore ma ad esprimerlo; non insegnano a fuggire di fronte alla paura ma a guardarla in faccia; non insegnano a fuggire i sentimenti ma a viverli. Non sono una soluzione magica, ma un invito a non aver paura, a fidarci di Dio che ci dice: “Ci sono io: e tu con me puoi vivere meglio di quanto credi”.
Del resto è un’illusione pensare di poter vivere senza difficoltà, senza conflitti, tensioni o incomprensioni. Noi purtroppo siamo fragili, e poiché non ci sentiamo tanto forti da poter reggere tutti gli urti della vita, i suoi scossoni, le sue tensioni, per evitarli cerchiamo di fuggire dalla realtà, ci rifugiamo in un mondo fantastico in cui sogniamo di vivere senza difficoltà. Le beatitudini, invece, ci riportano alla realtà, ci proiettano nel nostro quotidiano, non abbandonandoci alla nostra fragilità, ma insegnandoci a superarla, a vivere in maniera forte e profonda, con le radici ben salde, proiettati in avanti; ci indicano come essere felici, anche quando le situazioni sembrano insuperabili, difficili, crude, dolorose. E ci dicono: “Vivi con noi, non ti sottrarre, perché anche quello che tu vorresti rifiutare ha un senso; vivi con noi, perché tutto ti serve, tutto devi imparare, soprattutto da ciò che ti succede; vivi con noi e non aver paura, perché Dio è sempre al tuo fianco, non ti abbandona mai. Vivi con noi, e non avrai più nulla da temere!”.
Le beatitudini non sono negative: non inneggiano alla povertà, alla miseria, alla rassegnazione, al piismo, alla tristezza o al dover subire; non dicono che la povertà è un bene: no, perché la povertà è miseria, è la triste realtà della nostra condizione umana, ma dicono con quale spirito dobbiamo cercare di uscirne. Le beatitudini non dicono che essere perseguitati è un bene: no, tutte le persecuzioni sono terribili e spietate, ma d’altra parte non possiamo neppure pensare che tutti ci accettino così come siamo: quindi miglioriamoci. Non dicono che piangere è bello: no, è e sarà sempre doloroso. Ma piangere ci trasforma, ci purifica; il pianto è il modo naturale di esprimere i nostri dolori, le nostre tristezze, i nostri lutti e le nostre perdite. È l’adattamento alla realtà. Non è bello, ma è necessario (che è molto diverso). Le beatitudini non dicono che dobbiamo chiudere gli occhi di fronte a tutto, o di subire le malefatte degli uomini. Dicono al contrario che dobbiamo essere misericordiosi, che dobbiamo avere un cuore grande che giudica le azioni e non gli uomini, i comportamenti delle persone, ma non le persone. Dicono che gli uomini agiscono così perché sono pieni di paura: per questo diventano aggressivi, violenti, indisponenti. Ma ciò non significa che dobbiamo subire tutto; quando c’è da dire “no”, lo dobbiamo dire con tutta la forza che abbiamo.
Le beatitudini non sono degli ordini: “Devi vivere così”. Sono invece delle proposte: “Tu puoi vivere così!”. Ci offrono una possibilità, possiamo sceglierla oppure no. Siamo solo noi a scegliere. Le beatitudini non sono una soluzione ai nostri problemi: ma sono un cammino verso la loro soluzione.
Le beatitudini insomma ci indicano la grande verità della vita: “dove ci possiamo appoggiare? Su cosa possiamo veramente contare? Sulle cose? Tutte passano e si consumano. Sulla gloria? Ma di noi, nel migliore dei casi, quando non ci saremo più, rimarrà forse solo un nome. Sulle persone? Non ci salvano, hanno altre preoccupazioni. Soltanto Dio, Dio solo, è il nostro tutto, il nostro appoggio, il nostro futuro, la nostra salvezza: tutto il resto, tutto ciò che ci circonda, è niente.
L’uomo da solo, senza Dio, è zero assoluto. Nella lingua ebraica “zerà”, oltre a zero, niente, vuol dire anche “seme”. Ebbene: noi siamo zero, siamo nulla, vuoti, poveri del tutto, mendicanti, ma nel nostro essere niente, si nasconde, come un seme, il nostro essere tutto. Nel nostro essere niente c’è il Tutto: nel nostro essere poveri c’è la Ricchezza; e più ci spogliamo, più ci diamo, più siamo al sicuro nelle mani di Dio. Quando poi arriveremo a non avere più nulla del mondo che affascina il nostro cuore, allora avremo il Tutto, avremo Dio. Quando saremo spogli di ogni cosa terrena, quando tutto di noi morirà, allora entreremo nella Vita e Dio ci rivestirà di amore eterno. Amen.
 
 

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