venerdì 13 marzo 2015

15 Marzo 2015 – IV Domenica di Quaresima (“Laetare”)

«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,14-21).
Nel vangelo di Giovanni solo due personaggi sono chiamati “maestro”: Nicodemo (Gv 3,10) e Gesù (Gv 13,14). Entrambi sono maestri, ma il loro insegnamento è diametralmente opposto.
Ma chi è questo Nicodemo? È un fariseo, un dottore della legge; il suo nome stesso è tutto un programma: vuol dire infatti “vincitore del popolo”; indica cioè un uomo che quando parla ha sempre ragione, nessuno mai è in grado di contraddirlo; un dialettico di grande abilità oratoria: uno studioso che poggia la sua “infallibilità” su una grande conoscenza del testo sacro e della tradizione; doti e meriti dei quali il nostro ne è pienamente consapevole, e apertamente se ne compiace! Il sapere però, per quanto enciclopedico, non è tutto nella vita! Anzi a volte la sua vastità costituisce un grande intralcio per una Vita vera, semplice, serena e felice.
Un fariseo dunque: e sappiamo bene che tra i farisei e Gesù, c'è sempre stata una totale incompatibilità: è quindi ovvio che in occasione del loro incontro non riescano a capirsi, visto che le loro ragioni poggiano su presupposti diversi.
Prima di questo storico incontro, iniziato nei versetti che precedono e concluso con il vangelo di oggi, Gesù ha appena finito quella “purificazione del tempio”, scacciando da esso commercianti, venditori, ladri e quant’altro, (il vangelo di domenica scorsa); anzi, più che “purificato”, come abbiamo detto, lo aveva in qualche modo “abolito”, in quanto quel tempio rappresentava un culto basato sulla “paura” di Dio: in esso, cioè, si presentavano offerte e sacrifici con l’unico scopo di “tenerselo buono”, di evitare la sua “ira”. Una visione di Dio improponibile rispetto a quella nuova e rivoluzionaria, fondata sull’amore e sulla misericordia, proposta da Gesù.
Naturalmente i farisei, dopo quell’affronto violento subito pubblicamente in “casa loro”, erano diventati ancor più furenti nei suoi confronti, al punto che Gesù diventa ancor più diffidente nei loro confronti, “non si fida” per nulla di loro; egli conosce bene come la pensano, e prende le sue precauzioni: è vigile, attento, non si espone troppo, consapevole che essi sono ancor più decisi a strumentalizzare tutto ciò che lo riguarda per combatterlo, ferirlo, condannarlo.
L'incontro col fariseo avviene dunque di notte: forse perché Nicodemo stesso non voleva farsi vedere da nessuno. Del resto come biasimarlo? Egli è un personaggio molto in vista, un personaggio pubblico, stimato dal popolo e dal sinedrio, apprezzato da tutti per la sua competenza e per la sua onestà.
Egli, a differenza dei suoi colleghi, è un testimone oculare attento del “fenomeno” Gesù; e proprio grazie alla sua onestà intellettuale, gli insegnamenti di costui, la sua azione benefica e misericordiosa verso tutti, hanno già in qualche modo minato le sue certezze, procurandogli dubbi e interrogativi sia sulla natura della sua persona, sia sul suo ruolo di divino messia: e da uomo serio e meticoloso qual’era, vuole vederci chiaro.
È comunque emblematico che Giovanni abbia specificato l’ora di questo incontro: “di notte”.
In genere infatti egli usa il termine “notte”, quando vuole riferirsi a quelle “tenebre” che cercano di soffocare la luce di Gesù (anche Giuda esce dal cenacolo in piena “notte” per tradire Gesù); ma in questo caso è molto probabile che egli voglia descrivere proprio lo stato d’animo di quest’uomo che, assalito dai dubbi, si scopre privo di riferimenti certi: la sua anima brancola nel buio della notte, è confusa, si sente frastornata, persa. È quella stessa “notte” in cui anche noi procediamo a tentoni nel buio, spaesati, smarriti; esattamente quando non sappiamo dove andare, immersi nell’oscurità più totale, quando non riusciamo a scorgere, dentro di noi, neppure un barlume di luce e di speranza.
E Nicodemo dice a Gesù: “Sappiamo (parla a nome dei farisei) che sei un maestro venuto da Dio; nessuno può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui” (Gv 3,2). Egli inizia riconoscendo onestamente l’origine divina di Gesù. Tergiversa. Prende tempo, non parla del suo problema personale, dei suoi dubbi, si tiene sulle generali, parla d’altro. La questione è complicata e non sa come affrontarla. Sente chiaramente che gli manca qualcosa, ma non sa cosa. Non conosce la vera natura di questo suo profondo malessere, e soprattutto non capisce perché questo suo “bisogno di verità” sia improvvisamente diventato così tanto urgente. Al suo esterno non traspare assolutamente nulla, nessuno può immaginare tanto disagio in profondità; egli sa simulare molto bene, all’esterno, quella calma e sicurezza che non prova nel suo interno: una situazione ancor più dolorosa da affrontare.
Ma Gesù ha capito tutto, non gli servono tanti discorsi, egli sa perfettamente cosa assilla quel poveretto: “caro amico, è vero: la tua vita così com’è non ti soddisfa, non ti offre soluzioni valide; nessuno, infatti, può vedere il regno di Dio, “se non colui che nasce dall’alto”: in greco ànothen”. Ma ànothen in greco ha due significati: vuol dire sia “dall’alto” che “di nuovo”. E qui Nicodemo si perde, non capisce più nulla, e replica: “Come può un uomo nascere se è già vecchio? Non può mica rientrare nel grembo di sua madre e nascere un’altra volta! (Gv 3,4). Egli prende per buono il significato temporale del termine. Ma anche in questo caso, le parole di Gesù sono chiare: “È vero, tu sei già nato, ma è stata tua madre che ti ha fatto nascere: non sei stato tu a voler nascere, non l’hai scelto tu. È opera sua, non tua. Tu invece devi fare una seconda nascita: questa volta devi essere tu a decidere di “partorirti”, di nascere ad una vita nuova: come? modificando radicalmente quello che sei ora, realizzando tutto il potenziale che c’è in te, espandendo e alzando le tue vedute, affrancandoti dalla tua mentalità legalistica, ormai superata. In altre parole devi cambiare, devi rinascere per vivere una vita completamente nuova. E questo dipende solo da te, da nessun altro. Sarà una nascita dolorosa: ma questa volta sarai tu a soffrire, non tua madre; sei tu che devi porre fine a questa tua vita materiale, per ri-nascere ad un altro mondo, un mondo completamente diverso, un mondo in cui regna lo Spirito, la Libertà, l’Amore. Nel tuo mondo attuale tutti dicono di vivere: ma il loro è un sopravvivere; solo i “rinati” nello Spirito vivono realmente.
“Rinascere dall'alto”, infatti, vuol dire: “Vivere in una prospettiva spirituale, una prospettiva più alta, più ampia, seguendo le ispirazioni dello Spirito. “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito” (Gv 3,3). Se non si vive in questa prospettiva, si rimane radicati nella materialità della vita; rischiamo cioè di vivere unicamente per i soldi, per il successo, per il lavoro, per la carriera, per il divertimento, la famiglia, i figli, il coniuge: rischiamo di trasformare tutte queste cose nella nostra unica missione, nel nostro unico scopo di vita.
Non dobbiamo dimenticarci mai chi siamo (figli di Dio), da dove veniamo (dall'Alto) e dove andiamo (nell'Amore di Dio). Non siamo qui per caso o per sbaglio: siamo qui per un motivo ben preciso, specifico.
E concludo come al solito con una domanda: cosa ci dice in particolare questo vangelo?
Prima di tutto che dobbiamo “fare luce” nella nostra vita. Dice Giovanni: “Chi crede in lui non è condannato” (Gv 3,18). Ora “credere”, per lui, significa “fare luce”, portare la luce là dove regnano le tenebre, lo stato di peccato, in tutte quelle situazioni che odiano la “Luce”. Chiunque fugge dalla verità, chiunque non accetta di conoscere se stesso, chiunque non vuole vivere pienamente la Vita che ha dentro di sé, praticamente rifiuta la Luce, e si condanna da solo. Se facesse luce, il buio, le tenebre che imprigionano la sua anima, scomparirebbero; vedrebbe chiaramente in faccia la sua reale situazione, e prenderebbe quei provvedimenti, adotterebbe quei rimedi, appropriati al caso.
Seconda cosa, dobbiamo assolutamente distogliere lo sguardo da terra; dobbiamo alzare gli occhi al cielo; se ci sentiamo persi, finiti, sul baratro della vita, rivolgiamo il nostro sguardo in alto: è lì che stanno la Forza, la Luce, la Sicurezza. Come gli ebrei con il serpente di bronzo, anche noi dobbiamo guardare con fiducia Gesù, innalzato in croce: perché questo è l’unico modo per salvarci dai morsi velenosi e mortali della vita, l’unico modo che ci fa sentire al sicuro, protetti dalle braccia spalancate e accoglienti della Vita e dell’Amore. Amen.

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