mercoledì 17 giugno 2015

21 Giugno 2015 – XII Domenica del Tempo Ordinario

«Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (Mc 4,35-41).

Un mare in tempesta è sempre angosciante: perché non solo siamo in balia delle onde, ma non abbiamo punti di riferimento. È un evento che non possiamo controllare, non siamo noi a decidere, dobbiamo solo cercare di uscirne indenni. È lei, la tempesta, che conduce il gioco: siamo certi che passerà, ma non sappiamo né come né quando. E, quel che è peggio, sbattuti dai marosi, ci assale la paura di affondare.
La tempesta è qui apertamente assimilata alle contrarietà della vita. E in questo caso, cosa dobbiamo fare?
Il vangelo di oggi ci dà per certa una cosa: chi ha fede in Dio può superare ogni tempesta, anche la più tremenda. Non è importante quanto sia violenta la tempesta; ma quanta fede abbiamo noi. Infatti, se ci fidiamo, se abbiamo fiducia, insomma se abbiamo veramente fede, nessuna tempesta potrà mai farci affondare.
Sappiamo che Gesù ha attraversato varie volte il lago di Genezareth, un lago abbastanza grande da essere chiamato dagli ebrei “mare”, e può anche essere successo che durante una di queste attraversate i discepoli e il maestro si siano imbattuti in qualche tempesta. Si tratta infatti di un lago particolarmente insidioso, facile alle tempeste improvvise, essendo situato in una depressione di oltre duecento metri sul livello del mare. È chiamato Ajn Allah, l’Occhio di Dio. Solitamente è un lago calmo e tranquillo; ma può succedere che delle forti correnti piombino all’improvviso sulle sue acque, sollevando onde altissime che procurano danni di notevole entità. Tutto avviene in tempi molto brevi: come rapidamente inizia, così altrettanto rapidamente finisce.
Cosa sia realmente successo quella volta, cosa sia accaduto dietro a questo brano del vangelo, non lo sappiamo. Forse c’è stata veramente una tempesta; forse sembrava che Gesù dormisse non essendo spaventato come i discepoli; forse l’improvvisa bonaccia è stata attribuita a Gesù, il quale sarebbe stato così l’autore del loro salvataggio.
Quello che però dobbiamo cogliere, è che questo vangelo, con l’immagine della tempesta, ci descrive le possibili conseguenze cui andiamo incontro ogni volta che dobbiamo compiere un passaggio importante nella nostra vita. Tutti siamo concordi nel voler vivere la nostra vita con grande serenità: speriamo che tutto fili sempre liscio, senza gravi cambiamenti, senza scossoni o sussulti. Per cui ogni novità viene rifiutata, demonizzata, ci fa paura, perché mette in crisi le nostre certezze, i nostri principi. Ma se questo da un lato ci rassicura, dall’altro ci costringe a vivere una vita monotona, priva di novità, di imprevisti, di originalità: insomma, un assoluto piattume!
Ma guardiamo meglio cosa dice il vangelo di questa tempesta.
“Verso sera”: una precisazione che ci dice che il giorno era finito, tutto quanto era accaduto in esso, era stato già vissuto: davanti a loro si prospettava un nuovo giorno da vivere. Esattamente come nella nostra vita: quando un tempo è compiuto, finito, dobbiamo passare a quello nuovo, quello successivo. Non possiamo rimanere attaccati a ciò che c’era ieri, e che oggi non c’è più.
“Passiamo all’altra riva”: è questo l’invito che il Gesù della Vita ci rivolge. E noi: “Ma no, Signore, noi stiamo bene qui; perché dobbiamo cambiare? Chi ce lo fa fare?”. Recalcitriamo, non siamo d’accordo: passare all’altra riva, significa dover cambiare, fare una svolta determinante nel nostro percorso. L’invito di Gesù è perentorio: è Lui stesso che ci spinge verso il nuovo, verso il cambiamento, verso una vita dinamica.
Questa è la nostra esperienza di vita: tutto quello che ci riguarda (le relazioni, la crescita, la scoperta della nostra vocazione, l’educazione, il mondo della fede e dell’anima) è un continuo evolversi, un continuo “passaggio” da una riva all’altra, un’attraversata costante, con cui abbandoniamo territori conosciuti e familiari, per approdare a nuovi orizzonti. E ogni volta dobbiamo lasciare il certo per l’incerto, dobbiamo avventurarci verso un nuovo tutto da costruire.
“Lasciata la folla”: la folla è la normalità, è ciò che tutti fanno abitualmente ogni giorno, sono le nostre esperienze di vita che conosciamo bene, è tutto ciò che sappiamo, che è nostro. Gesù ci invita a lasciare tutto questo: appartiene al passato; noi abbiamo l’oggi, il presente da conoscere, da scoprire, da vivere ex novo su un’altra riva. È la vita: se non lasciamo la famiglia, il nostro nido, non potremo mai diventare adulti. Se non lasciamo la “folla” non diventeremo mai “individui”; se non abbandoniamo le stampelle, non riusciremo mai a capire se abbiamo forza sufficiente per camminare da soli.
“Lo presero con sé, così com’era”: il “nuovo” non è come lo vorremmo noi; è “così com’è”, punto! Noi siamo anche disponibili alla novità, ma vorremmo conoscerla prima, per poterla controllare, gestire; vorremmo essere comunque già pronti ad ogni evenienza. Ma così che novità è? È un “nuovo” già “conosciuto”, un “non nuovo”. La novità invece va presa così come viene, come si presenta, come si propone.
“Una gran tempesta”: ogni volta che lasciamo spazio al nuovo, al cambiamento, cosa ci succede? Una gran tempesta. Sempre così! Ed ogni volta ci sembra di affondare, rimpiangiamo il passato, recriminiamo puntualmente contro la scelta fatta: “Perché non sono rimasto dov’ero? Chi me l’ha fatto fare?”.
“Le onde, il vento”, sono tutte le paure che ci sommergono: “Ce la farò? Ne uscirò?”. Quando affrontiamo un nuovo percorso, è naturale che mille dubbi ci assalgano: se è nuovo, è anche la prima volta che lo affrontiamo e quindi non lo conosciamo; se sapessimo già come muoverci, il nostro percorso non sarebbe nuovo e quindi non ci sarebbe alcuna tempesta.
“E Gesù dormiva”: in quei momenti neppure Dio sembra aiutarci, neppure lui sembra fare qualcosa. Noi preghiamo ma non succede niente. Preghiamo ancora di più, facciamo voti a questo o a quel santo, facciamo promesse a non finire, ma non succede assolutamente niente. E allora ce la prendiamo con Lui, perché non fa proprio nulla, anzi sembra proprio fregarsene di noi e della nostra vita; è come se per lui non esistessimo. “Perché Dio permette queste cose? Se Dio ci fosse veramente, e mi amasse come dice, verrebbe di corsa in mio aiuto. Ammesso anche che ci sia: che me ne faccio di un Dio che non si muove, che per me non fa nulla?”.
Ad un certo punto della nostra vita però, ci rendiamo improvvisamente conto che la sicurezza, la pace, la tranquillità che pensavamo di possedere prima di imbarcarci nella “novità”, altro non era che fumo, ce la raccontavamo e basta. In realtà avevamo messo un tappo sulla nostra vita, per non sentire nulla, per attutire tutto, per illuderci che tutto andava bene! Avevamo paura di guardarci dentro e di scoprire quello che c’era. Preferivamo far finta di nulla.
Ma ora che la Vita ci ha imposto un nuovo passaggio, una tempesta, non possiamo continuare a tirar dritto, facendo finta di niente; non possiamo continuare a cullarci nei castelli in aria. Dobbiamo aprire gli occhi, rimboccarci le maniche, perché la tempesta che abbiamo incontrato altro non è che un passaggio, una evoluzione benefica, una crescita di conoscenza, di vitalità, di maturità, anche se porta con sé un po’ di angoscia, di smarrimento.
Non continuiamo testardamente a voler rimanere sempre fermi, ancorati al porto, in acque tranquille e stagnanti; mettiamo da parte, una buona volta, la paura di imbarcarci nelle difficoltà, nei pericoli, nelle bufere, nelle burrasche; impariamo a dominare il terrore di dover affrontare, se necessario, anche qualche vero e proprio maremoto: sono solo tempeste, sono le nostre compagne di vita. Convinciamoci che c’è il modo per non affondare, per non affogare; invece di fuggire il mare, impariamo finalmente a solcarlo con coraggio.
Non sappiamo cosa ci riserverà la vita? Non preoccupiamoci: quando sarà ora, quando incomberà su di noi la tempesta del momento, sapremo come affrontarla.
Gesù, come ha detto una volta ai discepoli, ripete anche a noi, “Vieni e seguimi!”: un “seguimi!” che significa “Smettila di voler controllare ogni cosa; smettila di voler sapere, di voler pianificare, di voler gestire tutto tu. Seguimi, soltanto, là dove io ti conduco!”.
Se ci fidiamo, se abbiamo fede in lui, se siamo onesti, alla fine scopriremo che seguirlo era l’unica cosa buona da fare. Sì, perché Gesù per noi non è un’idea, un ente astratto, una teoria, ma un qualcosa di molto concreto: è uno che ci sta sempre a fianco, che nella nostra vita ci aiuta sempre, nonostante tutto, e puntualmente. Anche se non ce ne rendiamo conto, anche se non lo vogliamo ammettere.
Avere fede significa pertanto abbandonare per sempre i pensieri di paura, di tristezza, di autocommiserazione, di ripiegamento su noi stessi; significa porre tutta la nostra fiducia in Dio, in Lui, nel Dio della Vita, dell’Amore. “Si nobiscum Deus, quis contra nos? Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?”. Avere fede, per noi che navighiamo nelle tempeste della vita, è sapere che in qualche parte della nostra imbarcazione Lui c’è. Magari dorme, magari non lo sentiamo, magari neppure lo cerchiamo, ma siamo sicuri che c’è! E questo ci deve bastare per andare avanti in serenità, consapevoli che con Lui il nostro viaggio e il nostro approdo avverranno in tutta sicurezza. Amen.

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