giovedì 1 ottobre 2015

4 Ottobre 2015 – XXVII Domenica del Tempo Ordinario

«In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie» (Mc 10, 2-16).
 
La gente corre da Gesù perché sente che le sue parole escono dal suo cuore e parlano al loro cuore; corre da lui perché percepisce che quanto dice è verità: e questo, per i capi, è pericoloso, perché se la gente ascolta Gesù, se lo segue, automaticamente si allontana dalla Legge che essi rappresentano. Ecco allora che arrivano i farisei, i sapienti, con l’intenzione di sconfessarlo: vogliono metterlo in difficoltà, e per questo gli tendono un vero e proprio tranello: “È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?”. Una domanda che può sembrare semplice e innocua, ma che al contrario, qualunque ne sia la risposta, offre interpretazioni contrastanti.
Osserviamo subito alcune sfumature di questa domanda: prima di tutto chiedono se “è lecito”: ora, chi si preoccupata di stabilire fino a che punto una sua azione è legale o meno, dimostra di non ragionare col cuore, con i sentimenti, ma con l’aridità di un regolamento. E ciò rispecchia molto bene la mentalità piccina e puntigliosa dei capi religiosi che la pongono. Secondo poi, il soggetto che deve decidere il ripudio è il “marito”. Perché non dicono anche: “È lecito ad una donna...”? Semplicemente perché alla donna era negato qualunque riconoscimento legale; l’uomo poteva ripudiare la moglie, poteva fare di lei quello che voleva, ma la donna no: anzi, se ci provava, veniva lapidata.
La legislazione mosaica del Ripudio si basava infatti esclusivamente sul diritto dell’uomo; questi era autorizzato a servirsene anche per i più futili motivi: se la moglie usciva con i capelli sciolti, se scambiava qualche parola con un estraneo, se per caso bruciava il pranzo. Insomma, un maschio poteva “scaricare” la propria moglie quando voleva. Ma con quali conseguenze per la donna? Che prospettive poteva avere una donna ripudiata? Nessuna. Una donna sola non aveva diritti, non poteva vivere, non poteva avere un lavoro, non poteva mantenersi. Una donna cacciata da casa era una donna destinata “alla fame”, al disonore, a fare una “brutta fine”, esposta continuamente ad ogni genere di pericoli. Per sopravvivere aveva due sole alternative: o prostituirsi, o appoggiarsi ad un altro uomo, che il più delle volte era già sposato, e cadere automaticamente in adulterio.
Questo diceva la Legge mosaica: ma ciò contrastava con la legge di Gesù, che si fondava sull’amore e sul riconoscimento di una pari dignità per tutti.
Quindi il gioco dei farisei è chiaro: qualunque risposta Gesù cercasse di dare, sarebbe andata contro una delle due leggi, e per lui sarebbe comunque finita male: se si fosse pronunciato a favore del ripudio, avrebbe ottenuto il facile consenso della folla e dei farisei, ma avrebbe rinnegato quanto lui stesso aveva insegnato nel discorso della montagna (Mt 5,31-32). Se invece diceva “no”, si dichiarava contro la Legge di Mosè, e contribuiva ad aumentare l’ostilità di Erode e dei caporioni ebrei nei suoi confronti.
Gesù quindi la prende sapientemente alla lontana. Inizia col chiedere loro: “Che cosa vi ha detto Mosè?”. E loro sicuri: “Mosè ce l’ha permesso!”. “È vero – replica Gesù; ma Mosè ve l’ha permesso non perché lui volesse così, ma a causa della durezza del vostro cuore(Mc 10,5). Che vuol dire: è vero che Mosè vi ha permesso il ripudio, ma non perché questo fosse il progetto iniziale di Dio, ma per rimediare in qualche modo alla crudeltà del vostro popolo nei confronti della donna, alla quale, con la vostra mentalità distorta, riservavate un trattamento disumano; quindi lo ha fatto non perché il ripudio fosse una cosa buona e lecita in sé, ma perché costituiva il male minore. Tutto è riconducibile infatti alla vostra “sclerocardia”, alla vostra “durezza di cuore”, alla vostra totale insensibilità: a quella stessa identica “sclerocardia”, per punire la quale Jahweh, a suo tempo, impedì l’ingresso nella terra promessa a ben seicentomila ebrei (Sir 16,9-20).
Si tratta di una perversione molto grave: è in sostanza la mancanza totale di cuore, di amore; è l’irrigidimento, la sclerotizzazione, la pietrificazione, di ogni sentimento; una situazione di fronte alla quale neppure Dio può fare nulla.
Gesù pertanto non si lascia impressionare per nulla dalla domanda secca dei farisei: non dice né sì né no, ma si rifà al perché originale e profondo dell’esistenza umana: “All’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due ma una sola carne” (Mc 10,6-8).
Pronunciando queste parole Gesù compie un atto davvero rivoluzionario per quel tempo. In pratica riconosce dignità e diritti alle donne, ponendole sullo stesso piano del maschio. E forse anche per questo esse in particolare lo amavano: si sentivano da lui considerate, accettate. In lui trovavano dignità, fiducia. Per cui le parole che seguono ne sono l’ovvia conseguenza: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio” (Mc 10,12). Una situazione completamente paritaria: ma per quel tempo questo era impensabile, sconvolgente.
E conclude: “Sicché i due non sono più due ma una sola carne” (Mc 10,8).
Qui dobbiamo fare molta attenzione alle parole di Gesù: Egli non dice che “i due saranno un’unica cosa”: se così fosse, se diventassero semplicemente “uno”, uno dei due sarebbe destinato a scomparire, verrebbe soffocato, ingoiato, “mangiato” dall’altro. Una “carne sola” (in ebraico “basar ehad”, cioè una carne una, unita) indica invece una unione totale, su tutti livelli; indica cioè il “livello divino” di una unione. Se i due non trovano infatti una unità più profonda, oltre quella carnale, non c’è un vero rapporto tra loro, non c’è matrimonio, perché non c’è amore. Questo è il progetto iniziale di Dio: l’amore, l’unità, l’incontro profondo tra i due, maschio e femmina.
È questa l’unione che l’uomo non deve dividere. Se l’uomo divide il rapporto fisico dall’amore, se altera i componenti dell’unione maschio e femmina, allora i due stanno sì insieme ma non potranno mai essere “uno”, non saranno uniti, ma saranno già divisi in partenza, già divorziati dentro.
Quando Gesù allora dice: “L’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto”, non si riferisce tanto alla separazione materiale della coppia, ma da tutto il piano di Dio. Cioè: “Il piano di Dio è l’amore fra i due; se questo cessa, se questo “piano” viene meno, diviso, separato, distinto (cioè: sì allo stare insieme, no alla comunicazione reciproca; sì al rapporto fisico, no all’affetto e all’amore vicendevole; sì alla coppia omosessuale, no alla coppia maschio-femmina; sì allo stare insieme, no all’uguaglianza, ecc.), allora cessa il piano di Dio, cessa il rapporto di coppia.
Perché un rapporto di coppia, nel piano di Dio, è fonte di amore, di felicità, di unità profonda, di procreazione. Se mancano questi elementi, tutto viene meno, non c’è più niente: c’è solo uno stare insieme, vuoto, squallido, senza alcun contenuto.
Non basta allora mettere insieme due corpi qualunque, per essere “una carne unita”: la fedeltà non può consistere soltanto nel “non fare questo o quello, nel non trattare male l’altro, nel non picchiarlo...”. La fedeltà è un valore, e come tutti i valori comporta un coinvolgimento mentale attivo e positivo. La difficoltà in un matrimonio non è tanto quella di “stare insieme per sempre” (indissolubilità giuridica) ma quella di tenere continuamente vivo l’amore: perché se l’amore sarà sempre vivo e palpitante, porterà a quella “indissolubilità dell’anima”, ben più forte e nobile di quella dei corpi; una indissolubilità che trasformerà il rapporto tra i due in un profondo, intenso scambio di sentimenti, di amore, di stima, di comprensione, che avvicinerà la loro vita al modello della vita divina.
Allora, invece di essere come i farisei che si preoccupavano solo se fosse lecito o meno ripudiare la moglie, di giudicare, di condannare, noi dobbiamo lavorare continuamente sulla nostra unione matrimoniale, dobbiamo costruirla, fortificarla, in modo che il nostro amore, curato e perfezionato, assomigli sempre più a quello vero, a quello di Dio, Amore ineffabile. Sì, perché l’amore è meraviglioso! Vivere l’amore ci riempie il cuore, la vita, ci fa vibrare l’anima; per amore siamo pronti a rischiare tutto, a cambiare radicalmente la nostra esistenza, le nostre vedute, le nostre convinzioni; pronti a lasciarci travolgere da quella spirale magnetica, inarrestabile e potente, che ci attira e che trasforma noi e l'altro, in una sola “unica carne”. Una vita senza amore è una vita triste, monotona, piatta, avvilente, sconsolata.
Convinciamoci soprattutto che l’amore è possibile: molte persone oggi non credono più nell’amore, si accontentano di surrogati, si saziano di ripieghi. No: non soltanto è possibile amare ed essere riamati, ma è possibile imparare ad amare sempre più e sempre meglio. L’amore infatti è una scuola permanente: non è un dono, non cade spontaneamente dal cielo, ma deve essere quotidianamente conquistato, perfezionato, cresciuto, accudito, fortificato. Impariamo poi a riconoscere l'amore vero, sano, autentico; a distinguerlo da quello, pur intrigante, ma falso: perché non sempre, e non tutto ciò che ci offrono come amore, effettivamente è amore! Amen.
 

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