giovedì 24 dicembre 2015

27 Dicembre 2015 – Santa Famiglia

«Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte» (Lc 2,41-52).

Luca, nel vangelo di oggi, ci presenta la prima e unica volta in cui Maria parla a Gesù. Egli, tra l’altro, è l’evangelista che più esalta Maria: ebbene, l’unica volta in cui Maria parla a Gesù si deve sorbire un duro rimprovero.
La Liturgia ci presenta questo vangelo a modello della festa della Santa Famiglia, ma a dire il vero più che una santa famiglia sembra una famiglia un po’ scombinata. È un episodio in cui nessuno ci fa una bella figura.
Non ci fanno bella figura i genitori che perdono il figlio e non se ne accorgono! Se ne accorgono dopo una giornata di cammino: ma come si fa!
Non fa una bella figura Gesù: “Volevi rimanere a Gerusalemme? Potevi almeno avvisarci!”, gli dicono giustamente Maria e Giuseppe. E quando i genitori lo trovano dopo tre giorni gli dicono: “Eravamo angosciati, ti cercavamo! Perché ci hai fatto questo?”, Gesù sembra non capire, e li rimprovera: “Perché mi cercavate?”. Poi li tratta da impreparati: “Non sapevate che devo fare le cose del Padre mio?”.
Non fa una bella figura Giuseppe che non vede rispettata la sua autorità di padre né da parte di Gesù (“Cosa vuoi da me!”) ma neppure da sua moglie visto che è lei che interviene, togliendogli la parola (era solo il padre che aveva l’autorità per parlare).
Inoltre, l’unico che ha un nome è Gesù: si parlerà di padre e di madre, di genitori ma non saranno mai nominati né Giuseppe né Maria. Egli ha dodici anni: non è quindi ancora adulto (lo si diventava a tredici anni), ma era usanza far partecipare a quel pellegrinaggio al Tempio anche i ragazzi dodicenni per abituarli al compimento del precetto che l’anno seguente sarebbe diventato obbligatorio.
Luca dice poi che “i suoi genitori, tutti gli anni si recavano a Gerusalemme per la festa di Pasqua”. Quindi, quella di Gesù, è una famiglia religiosa, una che segue scrupolosamente le tradizioni dei padri. Ma qui Luca più che dei fatti storici vuole sottolinearci un pensiero teologico: che a Gesù, cioè, non interessa tanto la tradizione dei padri, quanto di seguire la volontà del “Padre”. E questo è e sarà sconcertante non solo per la sua famiglia ma per tutto il popolo. Perché tutti si aspettavano il Messia in un certo modo e invece Gesù sarà completamente diverso.
Maria e Giuseppe lo sanno già, ma non l’hanno ancora capito. Pensano infatti che Gesù li segua, che segua la tradizione d’Israele. Non capiscono invece che saranno loro a dover seguire Gesù.
“Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme”. E lo trovano nel Tempio, “seduto in mezzo ai maestri”: lo stare in mezzo è l’immagine con cui la Bibbia presenta la sapienza di Dio: Gesù quindi viene presentato come la sapienza divina che “ascolta” ma che soprattutto “interroga”. E quelli che lo udivano “erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte” (Lc 2,47).
Più che stupiti, i dottori della Legge sono “indispettiti”, poiché non accettano le risposte di Gesù; non accettano per principio che qualcuno venga a fare il maestro in casa loro! Tant’è che la volta successiva in cui Gesù entrerà nel tempio, essi cercheranno di ucciderlo.
Oltretutto che fa questo ragazzo? Parla di Dio in una maniera completamente nuova, completamente diversa da quella che essi conoscono e che impongono al popolo: una maniera che solo Lui, come Figlio di Dio, conosce e può sperimentare.
“Al vederlo restarono stupiti” (Lc 2,48). I suoi genitori rimangono sbigottiti, esterrefatti, per ciò che vedono: no, questo figlio non segue la tradizione; non si comporta come loro.
E qui Maria commette il primo errore: lo chiama “figlio” (Lc 2,48) e usa il termine teknon che significa “quello che io ho partorito”: include cioè una connotazione di dipendenza, di legame fisico, che Gesù non accetta. Mai nel Nuovo Testamento questo termine riapparirà applicato a Gesù. In questo caso, per Maria, per la madre, il figlio è qualcuno sul quale lei ha dei diritti, e il figlio è qualcuno che ha dei doveri nei suoi confronti. Potremo tradurlo in italiano “bambino mio” (non “figlio”, che in greco è “uios” non “teknon”) tu sei “quello che io ho partorito”, ossia “quello che mi appartiene”.
E subito dopo viene il secondo errore della madre: “Ecco, tuo padre e io angosciati ti cercavamo” (Lc 2,48). E Gesù: “Perché mi cercavate?”. Una risposta, secondo il nostro modo di pensare, assolutamente assurda! Ma non lo è, se seguiamo il ragionamento di Gesù. Anzi la sua è una risposta perfetta, una risposta teologica: Egli praticamente sta prendendo le distanze dalla tradizione di Israele: “Perché mi cercavate nella carovana della tradizione? Lo sapete che io non sono lì! Perché mi cercate lì?”. E conclude con il : “Non sapevate...?” (Lc 2,49). Ebbene, cos’è che dovevano sapere? La madre ha commesso l’errore di dire “tuo padre e io”. “No, attenta Maria; ricordati che mio Padre non è Giuseppe. Il Padre mio è qualcun altro. Tu Maria, lo devi sapere molto bene! Ti ricordi le parole dell’angelo? O te le sei dimenticate?”.
Gesù quindi è estremamente chiaro: io non devo occuparmi di Giuseppe o delle tradizioni ma, letteralmente, è necessario che io sia “en tòis tù patròs mù”: devo cioè essere “nelle cose del Padre mio” (Lc 2,49). In altre parole: “Mio padre non sei tu, Giuseppe, ma Dio”.
Ed ecco il finale: “Ma essi non compresero le sue parole” (Lc 2.50). E possiamo anche capirli!
E questo sarà il motivo conduttore di tutto il vangelo: Gesù nessuno lo capisce: né i suoi genitori, né sua madre, né le autorità religiose, né le istituzioni. Gli unici a capirlo sono quelli lontani da Dio.
Il testo poi prosegue dicendo subito dopo (ma non compare nel vangelo di oggi): “Maria serbava tutte queste cose nel suo cuore”. Ecco, questa è la grandezza di Maria: non capisce ancora il vero senso delle cose, ma rimane aperta. Maria accoglie questi semi, anche se per lei sono sconosciuti o assurdi: un giorno fioriranno.
E concludo: cosa può dire a noi questo vangelo? Che noi nasciamo da nostro padre e nostra madre, è vero: loro ci hanno dato la vita, ma non sono la nostra vita. Li ringraziamo, li onoriamo per un dono che non potremo mai ricambiare ma noi abbiamo un compito e una missione.
Quando un genitore fa di suo figlio la sua unica ragione di vita, vuol dire che questo genitore ha perso la sua vera ragione di vita. Perché dimostra di essere una persona senz’anima, senza prospettive soprannaturali, senza nessun’altra missione, come conseguenza, che quella di ridurre il figlio una sua esclusiva proprietà, uno a suo completo servizio (visto che gli ha dato la vita!).
Noi abbiamo delegato la vocazione divina ad alcune persone (preti, suore, ecc.), come se solo loro avessero una chiamata da Dio. In questo modo ci siamo sì, messi a posto la coscienza, ma non certamente il cuore. Ci siamo mai chiesti perché in certi momenti siamo così tristi? Perché tutti abbiamo un’anima: e la nostra anima, in questa vita, ha una missione, uno scopo ben preciso. Tutti infatti siamo dei “chiamati”. Possiamo raccontarcela come vogliamo, ma nessuno di noi è qui per caso. Possiamo far finta di nulla: nella vita possiamo dedicarci a tutt’altre cose, ma la nostra anima continuerà a desiderare di essere, di fare, di vivere, ciò per cui è stata creata.
La felicità vera è scoprire appunto ciò per cui esistiamo: e siamo infelici quando pensiamo di essere qui per caso, senza uno scopo. Ci sentiamo sperduti perché non sappiamo dove andare (una vocazione è un riferimento chiaro). Siamo annoiati, vuoti, perché scegliamo a casaccio, perché non sappiamo cosa ci serve per davvero, non sappiamo ciò che scegliamo. Siamo pieni di paura perché non abbiamo la forza di seguire la nostra vocazione (tutto è possibile per chi sa dove andare). Le persone fanno tante cose nella vita, ma vivere la propria vocazione, è un’altra cosa! Gesù stesso ha detto: “Io devo occuparmi delle cose del Padre mio”. Anche noi abbiamo una vocazione, non dimentichiamocelo mai! Amen.


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