giovedì 27 ottobre 2016

30 Ottobre 2016 – XXXI Domenica del Tempo Ordinario

«Gesù entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là» (Lc 19,1-10).

Gesù sta continuando il suo viaggio verso Gerusalemme. Gerico, si trova infatti a circa trenta chilometri da Gerusalemme, lungo la grande via di comunicazione che costeggia il Giordano, attraversando la Samaria e la Giudea. Per questa sua posizione la città costituisce un punto strategico dell’amministrazione romana. A Gerico è quindi normale incontrare funzionari imperiali, uomini dell’esercito e “pubblicani”, ossia coloro che gestivano la riscossione delle tasse per conto dei Romani. Da tale attività essi traevano ingenti guadagni, defraudando in particolare la popolazione più debole. Per questo erano a ragion veduta i più odiati da tutti.
Qui a Gerico Gesù incontra Zaccheo, un pubblicano. Ma chi è in realtà questo Zaccheo?
Il suo nome significa “giusto, puro”, ma nessuno dei suoi concittadini, sicuramente, lo considerava tale; nessuno degli uomini, ma Gesù sì. 
Anche se fuori non lo sembriamo, anche se ci comportiamo da “figli di buona donna”, anche se sembriamo dei corrotti o quant’altro, Dio riesce sempre a vedere di noi quella piccolissima parte pura, giusta, il nostro minuscolo seme di bontà, la nostra sconosciuta verginità. Per quanto sgualciti, strappati o rovinati che siano, 50 euro rimangono sempre 50 euro. Il nostro valore e la nostra dignità di uomini non viene mai meno, per quanto ci accada di brutto nella vita.
Zaccheo dunque è un pubblicano: ora, dare del “pubblicano” ad uno, equivaleva dargli dell’immorale, del falso, del ladro, del traditore. I pubblicani erano per gli ebrei gente da odiare, da eliminare, da sterminare. Solo che non potevano. E Zaccheo non è soltanto un pubblicano, ma è addirittura il capo dei pubblicani: è il più ladro di tutti. E tutti lo sanno!
In effetti è un poco di buono, un infedele (venduto ai Romani), un peccatore. E quando la gente dice di Gesù: “È andato ad alloggiare da un peccatore”, dice la verità. Zaccheo era anche molto ricco, perché col suo lavoro aveva rubato tanto. È naturale quindi che un personaggio tanto spietato con i deboli, fosse così odiato.
Cosa potevano aspettarsi di buono da un uomo come Zaccheo? Assolutamente nulla! Eppure...
Zaccheo prima di tutto “cerca di vedere” (zetein idein). Ora, “cercare di vedere” esprime un desiderio: quando dentro di noi proviamo insoddisfazione, tormento, inquietudine, irrequietezza, vuol dire che quello che abbiamo, per quanto sia, non ci basta più. E allora cerchiamo di trovare qualcos’altro che ci soddisfi.
Zaccheo ha tutto, ma quel tutto non gli basta più. Egli vuole felicità, ma la felicità che lui cerca non sta nelle cose, nelle ricchezze, nei beni materiali: sta nei valori della vita. Le cose materiali che abbiamo, ci servono solo per raggiungere quei valori, non possono diventare esse stesse “valori”.
Vogliamo una casa? È un buon desiderio, ma la casa è solo uno strumento. “Casa” vuol dire famiglia, amicizia, amore, comunicazione, intimità, protezione, serenità, ecc. Quando avremo la casa, e sentiremo che la casa da sola non ci da ciò che cerchiamo, la casa non ci basterà più.
Vogliamo sposarci? È un buon desiderio ma il matrimonio è solo uno strumento. Ciò che cerchiamo è l’amore, la tenerezza, l’intimità, la comunicazione, la paternità, ecc. Il matrimonio è solo un mezzo; il semplice fatto di essere sposati, non ci renderà mai felici. Abbiamo tra le mani un “contenitore”, ma vuoto, senza “contenuti”.
Non sono quindi le cose che ci fanno felici ma quello che sta dentro le cose, nel cuore, nell’anima; sono quei valori che nessuna moneta potrà mai comprare.
Per questo Zaccheo è insoddisfatto e per questo “cerca di vedere” oltre. Per questo alza l’orizzonte della sua vita: lascia il banco delle imposte per incontrare Gesù. Ed è meraviglioso, perché Zaccheo decide di fare qualcosa di diverso, di assolutamente nuovo, di impensabile. Se il nostro modo di vivere ci lascia insoddisfatti, ma continuiamo a fare sempre le stesse cose, cosa pensiamo di ottenere? Nulla! Dobbiamo necessariamente cambiare direzione. Dobbiamo guardare da un’altra prospettiva, dobbiamo salire più in alto. La gente invece vorrebbe una vita diversa continuando a fare sempre le stesse cose: ma ciò non è possibile!
Ogni azione è preceduta da un’altra azione. Vogliamo cambiare il mondo, ma non riusciamo a cambiare il comportamento degli altri? Possiamo sempre iniziare a cambiare ciò che facciamo noi. E se facciamo qualcosa di diverso, forse anche noi avremo una reazione diversa. Dobbiamo imparare a capire che il potere è nelle nostre mani: basta col prendercela con il mondo, con gli altri, con chi ci sta vicino, per quello che gli altri fanno o non fanno per noi. Non ci piace una cosa? Cambiamo il nostro modo di agire, e anche l’altro si adeguerà.
Zaccheo è piccolo. “Piccolo” non indica tanto l’altezza, ma la percezione interiore che lui ha di se stesso. Lui si sente piccolo; non sente il proprio valore, si sente da meno degli altri, si sente inferiore, si sente incapace rispetto agli altri. Il suo problema è il senso di inferiorità.
Finora cos’ha fatto? Poiché si sentiva inconsciamente “piccolo”, ha fatto di tutto per diventare il più grande, il capo dei pubblicani. È per questo che guadagna più di tutti. Pensava che diventando il più ricco, sarebbe stato anche il più stimato da tutti, il più amato: ma nella realtà non è mai così!
Tutti noi proviamo spesso la sindrome di Zaccheo, soffriamo cioè di un senso di inferiorità. In parte è normale. Quando siamo piccoli, non possiamo nulla, non abbiamo la forza per vivere da soli, per procurarci il cibo sufficiente, per difenderci, per affrontare le sfide della vita. Senza gli adulti ci sentiamo persi: siamo piccoli piccoli e loro sono grandi grandi. È chiaro che ci sentiamo inferiori a loro, più piccoli.
Crescendo, per vincere questo nostro senso di inferiorità, abbiamo bisogno di percepire il nostro valore, abbiamo bisogno che chi ci sta vicino ci aiuti a sentire che abbiamo le nostre capacità, le nostre risorse. Con il tempo, poi, ci accorgeremo che anche noi siamo in grado di comportarci come gli altri. E fin qui tutto è normale.
Ma che succede se ad un bambino gli si chiede troppo? Che succede se gli si chiedono cose che per la sua età non può fare? Ne dedurrà che egli non è in grado di farle, non perché è troppo piccolo, ma perché non ne è proprio capace. Che succede se gli si dice di continuo: “Non sei capace; lascia stare, faccio io; lo faccio io altrimenti perdiamo tempo; non vedi che sei un incapace?”. Un po’ alla volta penserà di esserlo per davvero.
Quello che noi esprimiamo di una persona, agisce su di lei. Se diciamo continuamente che uno è “un grande”, prima o poi diventerà un “grande”. Ma se ripetiamo che è “piccolo”, inadatto, rimarrà sempre “piccolo”, diventerà un disadattato.
E cosa succederà? O diventerà un pessimista cronico (“sì, è vero non valgo niente”) o un arrogante (“ti dimostro io quanto posso valere!”). In entrambi i casi l’origine e il problema sono gli stessi.
Ma guardiamo cosa fa Zaccheo, guardiamo il coraggio che ha. Mettiamoci nei suoi panni; tutti lo conoscono, tutti sanno chi è: uno degli uomini più famosi, più conosciuti, più potenti e temuti della città; e lui che fa? Si arrampica come un ragazzino su di una pianta! Ci vuole coraggio!
Egli sa che tutti lo deridono per la sua statura, e lui che fa? Sale su di un albero; sa che tutti lo vedranno e lo derideranno, ma lui ha il coraggio di farlo comunque, vincendo le facili battute e il sarcasmo della gente. Per trovare la propria strada, dobbiamo prima di tutto vincere la paura del giudizio altrui.
E Gesù, dal canto suo, che fa? Gesù non lo prende in giro, non gli fa nessuna predica: non lo vuole né convertire né cambiare. Lo chiama semplicemente per nome. Per tutti gli altri era “il capo dei pubblicani, il ricco”, ma per Gesù è soltanto “Zaccheo”. Chiamare per nome vuol dire dare dignità, dare un volto ad una persona. Gesù gli dice: “Io credo in te Zaccheo; io vedo che in te c’è qualcosa di buono. Per gli altri sei solo un farabutto, ma io vedo che tu sei un uomo come tutti. E tutti gli uomini hanno un angolino del loro cuore sensibile all’amore”. Gli pratica una medicazione salutare, veloce ed efficace: “Scendi subito”. Lo mette cioè di fronte a se stesso: “Chi ti credi di essere Zaccheo? Scendi dal tuo piedistallo, dal crederti chissà chi!”. La prima cosa da fare è ridimensionarsi, vedere se stessi con umiltà: non sentirsi né superiori né inferiori a nessuno.
Gesù nei suoi inviti è sempre diretto: “Taci, esci! (Mc 1,25); Alzati! (Mc 5,41); Mettiti nel mezzo! (Mc 3,3); Apriti! (Mc 7,34); Vieni fuori! (Gv 11,43)”. Per guarire ci sono delle azioni precise da fare: sono quelle stesse che non vogliamo fare! Zaccheo si crede chissà chi, si atteggia a “sapientone” e si mette sul piedistallo con tutti: “Smettila e scendi giù; sei un uomo come tutti gli altri”. Se non farà ciò che gli viene chiesto, Zaccheo non potrà guarire. Perché ciò che va fatto, dobbiamo farlo, punto! Altrimenti non possiamo proseguire.
L’ordine di Gesù contiene anche le conseguenze del comportamento di Zaccheo: “Se tu continui a startene lassù, a ritenerti intoccabile, più degli altri, ti accadrà che non avrai mai amici, né compagni; nessuno potrà mai entrare in casa tua”.
Quando noi ci crediamo perfetti o più bravi dagli altri, noi ci distinguiamo, ci isoliamo da tutti, moriamo di solitudine. “Vuoi vivere così?” Zaccheo capisce subito: “la vita che conduco non è vita”, e per questo scende.
L’amore è condivisione. L’amore è volere che tutti vivano, che tutti possano diventare il meglio di se stessi, che tutti possano esprimersi, possano fiorire, possano arrivare al massimo delle loro possibilità.
L’amore non è dare ma darsi. Zaccheo si dà, donando ciò che ha. Tutti possono amare, anche se non hanno nulla, anche se sono poveri. Per dare l’amore basta avere un cuore.
Ci si converte non perché ce l’ha detto Madre Teresa di Calcutta o San Francesco d’Assisi, o perché qualcuno ci dice che è bene così, che è importante farlo. Ci convertiamo perché ad un certo punto sentiamo che è necessario cambiare, che o viviamo diversamente da come siamo, oppure moriamo.
Conversione vuol dire tornare sui propri passi, fare una decisa inversione di marcia, cambiare vita per vivere meglio. Non per caso Zaccheo è “pieno di gioia”: finalmente qualcuno ha fatto breccia nel suo cuore, qualcuno ha smesso di giudicarlo per ciò che di lui si vedeva all’esterno; qualcuno finalmente lo ha visto nell’intimo del suo cuore e ha voluto incontrarsi con lui: “oggi devo fermarmi a casa tua”.
L’amore produce dignità: “tu vali per il fatto stesso di esserci, di esistere”. Per cui la decisione di Zaccheo è spontanea: egli si sente amato incondizionatamente, e gli viene naturale fare altrettanto. Gesù non pone condizioni. Gesù non dice: “Ti amo, vengo a casa tua, però tu devi...”. Zaccheo farà lo stesso. Chi gli ha chiesto di dare la metà dei suoi beni ai poveri? Nessuno! Chi gli ha imposto di restituire non il dovuto, ma quattro volte il rubato? Nessuno: questi sono gesti dettati esclusivamente dall’amore. Gesù ha amato Zaccheo gratuitamente e Zaccheo da quel momento ama gratuitamente. L’amore è gratuità, è donare disinteressatamente. È questo l’amore che salva la vita. È quando sentiamo qualcuno che ci dice, o ci fa sentire: “Non voglio nulla da te, non sono qui per questo. Sono qui soltanto perché tu sei importante per me; sono qui solo per aiutarti, se lo vorrai, a raggiungere il meglio di te”.
Zaccheo, senza Gesù, sarebbe rimasto semplicemente il capo dei pubblicani. Gesù gli mostrò che poteva essere un uomo migliore, felice e soddisfatto di sé. Zaccheo ha capito questo: ha accettato umilmente la sua condizione, l’ha riconosciuta davanti a tutti, non curandosi del loro sarcasmo. Ed ha incontrato l’amore. L’amore vero che gli ha cambiato la vita. Quell’amore che gli ha detto: “Voglio il meglio per te, ma sarai tu a decidere cos’è per te questo meglio”.
Per alcune persone l’amore è cambiare l’altro, renderlo come loro lo vogliono. Ma l’amore vero è mettersi a disposizione; non è dare, ma darsi. “Ti dono quello che sono perché tu viva meglio, al massimo di te stesso. E quando sarai diverso da me, e camminerai per la tua nuova strada, allora saprò che ti ho veramente amato”. Amen.


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