giovedì 8 dicembre 2016

11 Dicembre 2016 – III Domenica di Avvento

«Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (Mt 11,2-11).

Il vangelo di oggi ci ripropone la figura del Battista.
Non più un Battista nel pieno del suo vigore, impegnato a tempo pieno nel predicare, nel battezzare, nel portare i suoi ascoltatori alla “metanoia”, ad una conversione decisa e convinta della loro vita; quello di oggi è un Battista solo, isolato da tutti, sbattuto in carcere da Erode Antipa, tetrarca della Galilea, infastidito dai suoi continui richiami e critiche per il genere di vita peccaminosa che egli conduceva con Erodiade. Un Battista piegato ma non domo, che segue comunque con attenzione, attraverso il racconto dei suoi fedelissimi, l’attività e la predicazione di Gesù: un Gesù che, presentatosi anch’Egli sulle rive del Giordano per essere battezzato, lui ha riconosciuto come il Cristo, l’Unto, il Messia di Israele, il Salvatore tanto atteso: “Io ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?” (Mt 3,13-14).
Dalle notizie che i suoi gli riportano, però, quel Gesù Messia gli appare completamente diverso da come lui lo aveva annunciato, da come lui se lo aspettava: un Messia giustiziere, esigente, spietato con chi non era in regola, uno che avrebbe punito senza possibilità di appello tutti i peccatori; un Messia che egli aveva descritto servendosi di immagini terribili, come abbiamo sentito domenica scorsa: “La scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco” (Mt 3,10). Oppure: “Brucerà la pula [gli scarti, coloro che sono senza frutto] con un fuoco inestinguibile” (Mt 3,12). È questo il Messia secondo il Battista: è così che Gesù, secondo lui, si sarebbe dovuto comportare.
Ora invece il Gesù che i suoi gli descrivono, è completamente diverso, diametralmente all’opposto di come lui lo pensava: Gesù è l’espressione di un Dio Amore, un amore universale, che egli offre a tutti indistintamente: un amore che, come il sole, splende su tutti, buoni e cattivi, o come la pioggia che scende su meritevoli e non meritevoli. Il Dio di Gesù è Amore, è un Dio che non giudica, che non condanna, ma al contrario ama e accoglie tutti.
E qui il Battista, completamente spiazzato, entra in crisi. È tormentato da dubbi profondi: non sa più cosa pensare, cosa credere. Nella solitudine del carcere egli vive la sua grande crisi religiosa.
A questo punto, volendo delle conferme, manda i suoi da Gesù, perché chiarisca la sua posizione: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”.
Ma Gesù non risponde in maniera diretta, come lui avrebbe voluto: invita invece gli uomini del Battista a riferirgli semplicemente ciò che accade: “i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!”.
In altre parole è Giovanni che deve darsi una risposta: “Tu Giovanni, cosa ne pensi? Cosa ne deduci da tutto ciò?”. Gesù non gli dice “Sì, sono io colui che deve venire” oppure “No, non sono io”. Gesù gli risponde con un collage di citazioni messianiche del profeta Isaia, che lo rimanda a quello che lui effettivamente sta facendo per le strade della Palestina. “Quello che faccio, che provoco, tutto quello che succede intorno a me, ti deve bastare: sei tu che devi tirare ora una conclusione: perché solo da quello che uno fa’, da quello che uno provoca, è possibile capire chi egli sia veramente”.
Ogni altra considerazione è inutile: il nuovo annuncio di Gesù si spiega da solo.
Il passaggio decisivo dall’antica economia della salvezza a quella nuova, rivoluzionaria, di Gesù, è già in atto. A Giovanni sembrerà la fine, una svolta veramente drammatica: ma il crollo delle sue certezze è necessario, per consentire che qualcosa di veramente nuovo e di più vero, possa nascere in lui.
E mentre gli inviati di Giovanni si allontanano, Gesù ne approfitta per parlare del Battista, chiedendo alla folla che lo seguiva: “Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento” (Mt 11,7). È chiaramente una domanda provocatoria.
L’immagine della canna sbattuta al vento, offre un facile riferimento: a differenza degli alberi che oppongono resistenza alle raffiche del vento, fino ad essere talvolta completamente sradicati, le canne si piegano, seguono passivamente qualunque direzione venga loro imposta, si piegano docilmente ad ogni nuovo corso: la canna scossa, è l’immagine dell’opportunista, della persona che riesce a stare sempre a galla, pronta ad adattarsi ad ogni corrente di pensiero, pur di partecipare al potere.
In pratica Gesù chiede: “Cosa pensate di Giovanni Battista? È forse una canna, un opportunista, un uomo che si china supinamente a chi alza la voce? Assolutamente no: egli è inflessibile, incorruttibile, uno che non è sceso a compromessi neppure con l’amico Erode; anzi decidendo di denunciare pubblicamente la sua condotta immorale, ha ottenuto in cambio il duro carcere”.
“Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che hanno morbidi vesti stanno nei palazzi dei re” (Mt 11,8).
Altra immagine improponibile per Giovanni. Coloro che vestono “morbide vesti”, abiti sontuosi, di lusso, sono i cortigiani, ossequiosi ma falsi, che pur di tenersi i loro privilegi, sono disposti ad ogni voltafaccia, in grado di cambiare continuamente idea e casacca pur di conservare il loro prestigio, il loro potere. Forse che Giovanni il Battista è come costoro? No!
“Egli è colui del quale è scritto: “Ecco io mando davanti a te il mio messaggero che preparerà la tua via davanti a te”“ (Mt 11,9). E aggiunge: “non è solo un profeta, ma più di un profeta. È il messaggero, colui che ha spianato la strada al Messia. È il suo apripista, il precursore; il più grande tra i nati da donna.
Sono dunque queste le espressioni usate da Gesù per tessere l’elogio del Battista. Ma subito dopo fa un nuovo paragone: “Giovanni è sicuramente grandissimo, voi tutti lo sapete: ma il più piccolo di quanti seguono il mio vangelo, la mia nuova comunità, è ben più grande di lui”. Perché? Perché come Mosè ha guidato il popolo verso la liberazione, senza poter entrare nella terra promessa, così il Battista non può entrare nel Regno di Dio della Nuova Alleanza. Non basta cioè essere i più grandi nati da donna, ma per entrare a far parte del Regno nuovo, nella nuova società che Gesù ha fondato, è necessario rinascere mediante un radicale cambiamento personale di mentalità e di vita. Il Battista non ha potuto o voluto inserirsi in questa direzione: è morto prima.
Perché nasca in noi qualcosa di nuovo, dobbiamo prima liberarci di ciò che è vecchio, di ciò che ancora esiste, e limita le nostre aspirazioni di cambiamento. Il Battista è certamente un grandissimo personaggio, un profeta che Gesù stesso elogia: ma non è riuscito anche lui a chiudere con la vecchia immagine di Dio, e accogliere il Dio nuovo di Gesù. Non è riuscito a far spazio al nuovo: è rimasto ancorato al passato, per lui sicuro e certo, piuttosto che aprirsi all’incertezza del nuovo, aprirsi totalmente a Gesù. Predicava alle folle un cambiamento radicale, una preparazione risolutiva in vista del Messia, ma quando venne anche per lui il momento di cambiare la sua visione di Dio, non ce l’ha fatta, non ne ha avuto tempo.
In pratica Gesù vuole sottolinearci la pericolosità di un simile comportamento che molto spesso anche noi adottiamo: io sono tranquillo, certo della mia fede, dei miei sentimenti: sono gli altri che devono cambiare!
È la cosiddetta “sindrome dei buoni”. I buoni sono convinti di stare sempre dalla parte giusta: sono gli altri, i cattivi, che devono convertirsi. I buoni indicano agli altri come devono comportarsi: per cui si esprimono sempre “contro” qualcuno o qualcosa: per loro c’è sempre un “male” da combattere, da eliminare, da estirpare. Solo che non si rendono conto che di fronte allo “scandalo” del Vangelo, di fronte alla novità introdotta da Gesù, non sono soltanto i “cattivi” che devono convertirsi a Cristo, ma anche i buoni, quelli che sono convinti di essere “giusti”, quelli che magari sono “perfetti” solo nel loro comportamento esteriore, a termini di legge.
Gesù sa perfettamente che noi siamo buoni, ma anche cattivi. Per questo abbiamo tutti bisogno di amore e di conversione. Di amore, per non sentirci solo cattivi; di conversione, per non sentirci solo buoni e perfetti. Nessuno è tanto buono da non aver bisogno di convertirsi, e nessuno è tanto cattivo da sentirsi indegno di essere amato.
Quando allora nella nostra vita c’è qualcosa che non va, quando tra noi e i fratelli c’è qualcosa che ci divide, smettiamola di ragionare volendo stabilire chi è il buono e chi il cattivo, chi ha ragione e chi ha torto, chi ha agito giustamente e chi ha sbagliato: perché nella vita dove c’è uno che ha ragione, dall’altra parte c’è sempre automaticamente uno che ha torto.
Dobbiamo invece ragionare diversamente: “Senti, noi due abbiamo un problema in comune. Cosa posso fare io per aiutarti, cosa puoi fare tu per aiutarmi? Come possiamo aiutarci insieme?”.
Sì, perché solo con l’amore tutto diventa superabile! L’amore del Dio di Gesù, che è presente in me, in te, in ciascuno di noi.
Quello di Gesù è il Dio della vita, della libertà, della guarigione, del cambiamento. È il Dio che vive in tutti gli uomini, perché tutti sono Sua immagine. È il Dio che inabita ogni creatura: per cui ogni essere umano è mio fratello, ogni creatura è mia sorella. È Lui che ci chiede di “convertirci”, di realizzarci, di trasformare la nostra irruenza interiore in amore cosmico, universale, di diventare noi stessi “tempio” viventi di Dio e “chiesa” dell’Altissimo. Il Dio di Gesù è il Dio della Luce, della consapevolezza: se entriamo in noi, ci scontriamo con i nostri mostri, i nostri fantasmi, le nostre paure, i nostri condizionamenti, ma incontriamo anche il Dio dell’amore che ci abita, ci ama e ci chiede di amare. È un Dio impegnativo perché ci chiede di lasciarci coinvolgere, di lasciarci plasmare.
Allora non basta dire: “Io credo” e sentirsi a posto. “Sì, d’accordo noi crediamo. Ma in che cosa crediamo? Com’è il nostro credere? È rimasto ancora allo stadio puerile, infantile, immaturo?”. Sì, perché se non siamo mai entrati in crisi, se non abbiamo mai avuto difficoltà nel nostro credere, allora la nostra è una fede che è rimasta bambina, piena di paure, di ansie.
Per trovare Dio, dobbiamo “lasciare Dio”. Quando noi vediamo che i nostri ragazzi nel crescere abbandonano l’immagine di Dio, non è una cosa terribile: è solo una tappa necessaria per la loro crescita spirituale. In realtà non abbandonano Dio, ma solo l’immagine bambina che hanno di Dio. Ciò di cui dobbiamo invece preoccuparci, ciò che purtroppo oggi è molto problematico, è che “dopo” non trovano nulla, non trovano nessun Dio con cui potersi identificare, perché noi adulti non abbiamo fatto nulla per metterli in condizione, un giorno, di incontrarlo veramente. Per questo oggi tanta gioventù non crede, non si converte, non cambia vita. Purtroppo segue solo l’esempio di noi adulti!
Siamo poveri di Dio, è vero; siamo impreparati, insufficienti, distratti, per nulla attenti: ma il “lieto annuncio” di Gesù ci assicura che possiamo ancora vivere esperienze che vanno oltre ogni nostra migliore aspettativa: e non dobbiamo aspettare il paradiso, ma possiamo viverle già quaggiù, su questa terra. Annunciamolo ai nostri figli, ai giovani. Perché possiamo vivere, vibrare, espanderci, amare, sentirci grati, essere felici, e tutto con una tale intensità da farci piangere, fremere, da farci mancare l’aria.
Allora, perché voler continuare a strisciare per terra, a vivere come dei vermi, se abbiamo le ali per volare?
Chi si fida di Dio, si libra in alto. Con Dio tutti lo possiamo! Amen.



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