giovedì 11 maggio 2017

14 Maggio 2017 – V Domenica di Pasqua

«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”?

Giovanni, col Vangelo di oggi, ci riporta indietro all’ultima cena, nel momento in cui, dopo aver lavato i piedi ai suoi, Gesù affida loro le sue ultime raccomandazioni, il suo testamento spirituale. Il tempo a sua disposizione è ormai molto poco: Giuda lo ha già tradito, e da un momento all’altro arriveranno le guardie per arrestarlo: Gesù deve dunque cogliere quest’ultima occasione per parlare privatamente con i suoi discepoli, con quelli che l’hanno seguito nel suo lungo trasferimento a Gerusalemme. Essi sono disorientati, non sanno quello che sta per accadere, ma sentono che sarà qualcosa di molto grave. Le domande che pongono al Maestro esigono risposte rassicuranti: non hanno ancora ben chiaro il significato delle sue catechesi, ma in qualche modo si preoccupano del domani; impauriti, hanno il presentimento che ormai l’avventura con Gesù è giunta alla fine, e temono per la propria vita: “Che ne sarà di noi? Cosa ci accadrà? Dove andremo a finire? Non è che ci siamo sbagliati a credere in Te?”.
Pietro, come leggiamo nei versetti immediatamente precedenti, non ha dubbi: lui, qualunque cosa succeda, sarà sempre al suo fianco: “Darò la mia vita per te”. E Gesù, pazientemente, lo mette di fronte al suo imminente tradimento: “In verità ti dico: non canterà il gallo prima che tu non mi abbia rinnegato tre volte” (Gv 13,36-38): paura e debolezza lo renderanno protagonista di questa disavventura che Pietro piangerà amaramente per il resto della sua vita. Tommaso dal canto suo vuol sapere: “Signore non sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la strada?” (Gv 14,5). Filippo, invece, sembra avere le idee più chiare: “Signore mostraci il Padre e questo ci basta” (Gv 14, 8).
Vorrebbero certezze, i poveri discepoli, il loro cuore inquieto le esige. Il verbo greco “atarasso” (turbare), indica appunto una profonda agitazione, sono decisamente preoccupati: “Gesù tu eri tutto per noi, ci avevi appassionato il cuore... avevamo puntato tutto su di te, e adesso?”.
E Gesù li rassicura: “Non abbiate paura. Abbiate fiducia in me e in Dio. Vado a prepararvi un posto!”. Che significa: “Tranquilli, ci rivedremo. Non abbiate timore! Vi ho mai traditi? Vi ho mai lasciati?”.
Possiamo capire lo stato d’animo degli apostoli: anche per noi, di fronte a certe vicende, è decisamente arduo sottrarci alla paura. Non possiamo evitare il dolore. Possiamo però affrontarlo confidando in Gesù, perché ogni amarezza, nel suo profondo, nasconde una sua verità, ogni dolore ha in sé il germe di una grande gioia. Ecco perché in ogni momento difficile della nostra vita, dobbiamo ricordarci sempre chi siamo, chi è nostro Padre.
Quando non siamo capiti e veniamo attaccati da ogni parte, rassicuriamoci, tranquillizziamo il nostro cuore, la nostra anima, affidandoci a Lui: “Anche se gli altri non mi capiscono, il mio Dio mi capisce e mi ama”. E questo ci tranquillizzerà.
Quando ci guardiamo allo specchio e ci vergogniamo di quello che siamo, di quello che facciamo, e ci consideriamo irrecuperabili, diciamoci: “Non aver paura, abbi fiducia, sei figlio di Dio!”. E sentiremo in cuor nostro che la nostra dignità non verrà né rovinata né offuscata; avremo la certezza di poter comunque ripartire, di poter ricominciare, di poterci dare un’altra possibilità, un’altra chance.
Quando dentro di noi infuria la tempesta e ci sentiamo soli in balia delle onde, sbattuti qua e là, e non sappiamo dove andare o cosa fare; quando dobbiamo sostenere una prova impegnativa, un incontro particolarmente difficile, e ci sentiamo inadeguati; quando nella nostra vita dobbiamo affrontare un cambiamento che taglierà tutti i ponti col nostro passato, diciamoci: “Non aver paura, abbi fiducia in Dio, abbandonati alla sua provvidenza; Egli ti aiuterà; non ti lascerà mai solo, è sempre stato tuo amico”. Sono parole semplici che comunque ci infonderanno energia, pace, serenità.
In certi momenti della vita, sentiamo un assoluto bisogno di pregare: facciamolo con queste semplici espressioni: confermiamo a Dio la nostra fedeltà, esprimiamogli la nostra totale fiducia, assicuriamogli il nostro amore. Forse non risolveremo granché, i nostri problemi rimarranno insoluti, perché la preghiera non risolve i problemi: in cambio però, sentiremo il nostro cuore invaso da una grande pace; una nuova forza ci conforterà: e sentiremo dentro di noi la certezza che se anche dovessimo sbagliare tutto, se anche tutto dovesse finire, se tutto dovesse crollare, Lui è sempre con noi: in Lui e con Lui non dobbiamo mai nulla da temere. Diamogli solo voce, diamogli spazio, perché Lui solo può rassicurarci, calmarci, consolarci, rafforzarci.
“Nella casa del Padre mio ci sono molti posti” (Gv 14,2). Un “molti posti” che vale “c’è un posto per tutti”. Allora perché temere? Perché aver paura? In Dio c’è spazio per tutti. Non alla rinfusa, non a nostra scelta, a nostro comodo, ma ognuno al “suo” posto. Ognuno deve raggiungere quel posto che Dio gli ha assegnato fin dall’eternità.
Noi in genere ci sentiamo in regola, ci sentiamo “a posto”, se ci comportiamo come tutti gli altri, se ci adeguiamo alla massa. E invece no: pensare una cosa del genere significa non aver capito una verità fondamentale: che Dio non crea, e quindi non gradisce, nessun doppione, nessun duplicato, nessuna fotocopia. Ognuno di noi è “singolo”, è l’originale, unico nella sua realtà. Ogni “imitazione” è una vita sbagliata, non realizzata, non osata. Volendo fare la “controfigura” sbagliamo indirizzo, non arriveremo mai al nostro impareggiabile “posto”. Di più: noi dobbiamo impegnarci a diventare non “come” Gesù, ma “altri” Gesù; non dobbiamo copiarlo, dobbiamo diventare altrettanti “Lui”. In altre parole dobbiamo reincarnarci in Cristo, diventare Cristo, per realizzare con la nostra vita quel progetto che Dio ha da sempre pensato esclusivamente per noi, per realizzare l’unico motivo valido per cui ciascuno di noi esiste: quello di “instaurare omnia in Christo”, di riportare, cioè, di ricostruire, di restituire la dignità iniziale, con Cristo e per mezzo di Cristo, a tutte le creature. Le nostre vite quaggiù non sono infatti “frutto del caso”, ma corrispondono allo specifico disegno di amore profondo, generato dalla mente eterna di Dio. Egli, operando in ciascuno di noi, in modo personalissimo, ci permette di ridiventare nuovi, unici, autentici, creativi, innamorati di Lui come all’origine.
Ecco perché sbagliamo grossolanamente quando guardiamo gli altri “più fortunati” con invidia, con rivalità, con malanimo; sbagliamo quando vorremmo “immedesimarci” in loro, perché il modo con cui Dio vuol crescere in noi, con cui vuole manifestarsi in noi, è “altro” dal loro, è diverso da quello di tutti gli altri. Per molte persone una pluralità di cammini vocazionali significa “divisione”, disgregazione, separazione, quando invece è solo “diversità” di percorrenza del medesimo percorso. Per esse, uniformità, unanimità, identità, uguaglianza, significa “comunione”, invece no: è solo “omologazione”.
Lo slogan di Dio è pertanto: “Ciascuno deve percorrere la sua strada per raggiungere il posto che Io gli ho assegnato”. Vero. Perché ciascuno ha il suo posto, ciascuno ha la sua strada.
Per tanto tempo invece ci siamo sentiti ripetere con insistenza: “Per andare a Dio c’è una strada sola: o percorri questa o non ci arriverai mai... ”, e giù tutta una serie di indicazioni puntigliose, di leggi, di regole, di precetti minuziosi. Ma con ciò significa affermare che tutti siamo uguali, identici, tutti abbiamo le stesse esigenze, le stesse caratteristiche: per cui tutti dobbiamo percorrere la stessa identica strada, tutti dobbiamo avere lo stesso identico modo di vivere e di credere. Ma ripeto: nulla di più sbagliato; basta osservare la natura, guardarsi intorno: non c’è una foglia, un fiore, una pianta che sia uguale ad un’altra. Non c’è un volto, una persona, una storia, che sia identica ad un’altra: tutto è assolutamente unico, originale, diverso.
Tanti posti, quindi, quanti sono i ruoli che ciascuno deve svolgere nel grande progetto divino, e tante le strade per attuarli. C’è chi arriva a Dio attraverso la totale dedizione a Lui e chi arriva attraverso la propria famiglia; c’è chi arriva con una vita contemplativa e monastica e c’è chi arriva passando per una vita mondana; c’è chi arriva a Dio attraverso molti colloqui, molti discorsi, molte parole, attraverso la confusione, e chi invece ci arriva nel silenzio, nella solitudine, nella meditazione. C’è chi arriva ascoltando la “voce” che sente dentro di sé, e chi arriva ascoltando la voce, i suggerimenti di altri. L’importante è passare attraverso Cristo, perché “Io sono la via... la verità... la vita” (14,6).
Parole che Gesù non pronuncia in ordine casuale: Gesù è infatti la Via che conduce alla Verità; e solo nella Verità, la Vita sarà piena, sensata, realizzata. Vediamo meglio.
Gesù non dice: “Io ho la strada”. Ma: “Io sono la strada”. Gesù non “ha” regole, non ha norme, leggi, indicazioni, da seguire e basta. Gesù “è” un cammino che ci coinvolge continuamente. A quanti gli chiedevano cosa fare per avere la vita eterna, cosa fare per essere felici, cosa fare per andare al Padre, a tutti rispondeva: “Seguimi”. Punto! La fede non è un possesso, un punto di arrivo, una conquista, un qualcosa di “statico” e basta: “Sono battezzato, sono a posto!”. La fede è un cammino senza soste, una progressione dinamica, una conquista in continua espansione.
Gesù non dice: “Io ho la verità”. Ma: “Io sono la verità”. Ci sono molte chiese, molte organizzazioni, molte religioni che si arrogano questo diritto e dicono: “Noi abbiamo la verità”. Ma la verità non è un oggetto che possiamo possedere, possiamo solo “viverla”. Non possiamo “avere” la verità, possiamo solo “essere” veri. Per molte persone la verità è la concordanza di una serie di dati certi. Per Gesù invece “verità” (in greco “aleteia”, togliere il velo) è scoprire la realtà così com’è; in pratica è scoprire ciò che noi siamo realmente.
Gesù non dice: “Io ho la vita”. Dice: “Io sono la vita”. Non dice “vi assicuro” una vita felice, tranquilla, senza sorprese o problemi. Gesù è la vita: “Vuoi vivere veramente? Vuoi realizzarti? Vivi!”. Non ci sono altre possibilità, per provare la ricchezza della vita, che buttarci dentro, dobbiamo vivere la Vita, dobbiamo vivere Cristo. Nessuno lo può fare per noi. O lo facciamo noi o non vivremo mai. Vogliamo conoscere il mare? Dobbiamo immergerci dentro; vogliamo conoscere l’amore? Non basta un libro e neppure centomila trattati: dobbiamo amare ed essere amati; solo così lo conosceremo.
Molte persone confondono “vivere la vita”, con il cercare freneticamente le novità, con il fare qualunque esperienza, con il viaggiare continuamente, con l’interessarsi di tutto e provare qualunque cosa. Ma “vivere”, per il vangelo, significa solo sentire, percepire, sperimentare, apprezzare, la Vita che è in noi. Perché la Vita è già presente in noi, vive già dentro di noi, ci appartiene, ci anima fin dal primo istante del nostro concepimento. “Vivere” allora non è nient’altro che esprimere, concretizzare, dare voce, dare corpo a quella Vita, a quel soffio vitale che vive in noi, che ci fa vivere, e che noi dobbiamo “umanizzare”.
Il Vangelo si conclude infine con alcune parole di Gesù, pronunciate in tono solenne e decisamente profetico: “Chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre”. Parole piuttosto oscure, enigmatiche, difficili. Parole irrealizzabili, perché nessuno di noi può pensare di essere tanto potente, tanto importante, tanto carismatico nelle sue opere, da emulare Gesù. Non ci crediamo perché, se ci guardiamo dentro, quello che ne emerge sono soprattutto le nostre miserie, le nostre debolezze, i nostri tradimenti, il nostro egoismo, il nostro niente.
Ma Gesù non ci guarda come noi; ciò che Lui vede è molto diverso da quello che vediamo noi: lui vede soprattutto quanto possiamo essere forti, quanto possiamo essere fedeli, quanto possiamo amare, quanto possiamo essere altruisti: diventare Lui, dipende allora da noi, dal nostro volerlo con tutte le forze, dal nostro credere in Lui, alle sue parole, dal nostro credere in noi, nel nostro potenziale.
Diceva un saggio: “L’uomo si trasforma in ciò che crede”: se crediamo veramente in Dio, noi possiamo tutto: possiamo sconvolgere, rivoluzionare, trasformare la nostra vita; possiamo non solo fare quanto Gesù ha fatto, ma compiere addirittura opere più eclatanti, più sensazionali. Perché possiamo diventare effettivamente altrettanti Cristo: quel Cristo che una volta incontrato nella nostra vita, non ci permetterà più di essere quelli di prima. Amen.



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